Copyright

COPYRIGHT Fantasia In Rete 2010-2012 Tutti gli scritti sono riservati e soggetti ad autorizzazione da parte degli Amministratori e degli Autori.
DISCLAIMER " Alcune immagini, fotografie e creazioni grafiche sono state trovate sul Web e non è stato possibile verificare se siano di pubblico dominio o meno. Se non fossero pubbliche, inviare una Email a 'galleschi.stefania@gmail.com' e la grafica in questione verrà rimossa."


L'ULTIMA LETTERA di Daniela Bonifazi - Maria Laura Celli - Mivia Di Michele - Cecilia Bonazzi



L'ultima lettera

La ragazza era visibilmente spaventata. Gli occhi infossati persi nel vuoto, le occhiaie evidenti e un pallore quasi cadaverico mettevano in risalto il profondo turbamento che attanagliava il cuore di Sara. A nulla era servita  un anno prima la precipitosa fuga dalla sua casa, dalla sua città, dagli amici. Avrebbe dovuto cambiare la sua identità forse, avrebbe potuto recarsi in un posto più remoto, avrebbe… cosa? Non riusciva a pensare razionalmente, le mani tremavano e gocce di sudore le imperlavano la fronte. Furtivamente si avvicinò alla finestra e guardò fuori, di nuovo. L’uomo era sempre là, oltre la strada, in piedi. La fioca luce del lampione gli illuminò il volto, non abbastanza da identificarlo con certezza, ma sufficiente per rinnovare le sue paure. L’incubo non era finito… lui l’aveva trovata, ne era certa! Il cuore sembrava volerle uscire dal petto. Mille pensieri si affollavano nella mente, brividi avvolgevano il suo esile corpo, mille domande senza una risposta si accavallavano turbinosamente. No, non poteva  permettere che la sua vita fosse ancora una volta sconvolta da quell’essere ignobile. Lentamente si allontanò dalla finestra che le proiettava, quasi fosse un film, il suo angoscioso passato. Fece un respiro profondo, nel tentativo di riprendere il controllo dei suoi pensieri e soprattutto delle sue azioni. Doveva essere lucida ora, riflettere prima di agire. Sì, agire era inevitabile se voleva sottrarsi a quel rinnovato incubo, ma questa volta non poteva fare tutto da sola. Aveva bisogno di aiuto. In un anno i suoi contatti col mondo esterno erano stati limitati all’essenziale: sporadiche uscite e sempre dettate dalla necessità. Accadde un giorno un evento del tutto casuale, che tuttavia cambiò radicalmente la sua condizione di quasi reclusa in quella angusta stanza che era riuscita ad affittare ad un prezzo modico. Certo non poteva permettersi un alloggio più confortevole date le sue esigue finanze. Un mercoledì aveva conosciuto Marco, un uomo dall’aspetto gentile che l’aveva salvata dalle malevole intenzioni di un teppista che stava per strapparle di mano la borsa. Sarebbe stato tremendo per la donna. Dei risparmi di mesi di lavoro non erano rimasti che pochi euro, ma di vitale importanza per lei. L’uomo le aveva offerto il suo braccio e un caffè. Si era poi presentato ed avevano fatto un po’ di conversazione. Marco ispirava simpatia e fiducia e a quello seguirono altri incontri, sempre nello stesso bar. Sara era stata costretta ad uscire più spesso nell’ultima settimana, in cerca di un lavoro  che le permettesse di andare avanti, e passando davanti al bar era divenuta consuetudine fermarsi una mezz’ora col suo prezioso amico. La vita forse poteva riservarle qualcosa di buono, dopo tutto. Ma ora, mentre era là, seduta sul letto con la testa tra le mani, la sua mente vacillò: “Come è possibile che mi abbia trovata?  Cosa devo fare? Pensa…pensa! – si diceva stringendo i pugni – Devo trovare una via d’uscita! Marco! Forse Marco può aiutarmi! È l'unica persona di cui possa fidarmi.” Più pensava e più si convinceva che l'unica àncora di salvezza fosse chiedere aiuto al suo nuovo amico, l’unico della sua seconda vita. Prese il cellulare, lo guardò pensierosa, ancora insicura, con le mani che le tremavano. Lasciò passare ancora alcuni istanti, poi lo accese e compose il numero. - “ Marco…ti prego di scusarmi se chiamo ad un’ora così tarda, ma…” – e la voce della donna fu rotta dai singhiozzi e dalle lacrime che, irrefrenabili, le bagnarono le gote.  -“Sara…calmati! Che ti è successo?” Suoni inarticolati arrivarono all’amico che, senza indugiare, esclamò:”Sarò da te tra dieci minuti, a quest’ora non troverò traffico. Hai capito? Arriverò presto…sta’ tranquilla!” – e, afferrate le chiavi della macchina, l’uomo si precipitò fuori dal suo appartamento. Doveva raggiungere al più presto quella ragazza straordinaria che era entrata a far parte della sua vita e l’aveva riempita di nuove speranze. Marco provava per lei sentimenti che andavano ben oltre la semplice amicizia, ma non aveva mai trovato il coraggio di esprimerli. In fondo era così poco tempo che si frequentavano e lui aveva timore che una sua mossa azzardata avrebbe rovinato quel rapporto che ogni giorno si faceva più saldo e bello.
Quando Sara udì bussare alla porta trasalì, scuotendosi da una sorta di stato catatonico in cui versava ormai da parecchi minuti, quelli trascorsi dopo la telefonata a Marco. La donna si alzò di scatto col cuore in gola, una mano sulla bocca forse a frenare l’impulso di gridare, il terrore del dubbio. Chi c’era fuori?  -“Sara, apri!” – la voce familiare e rassicurante la rincuorò. Aprì la porta e subito la richiuse alle spalle di Marco, tirando poi un sospiro di sollievo e gettandosi ancora tremante di paura tra le braccia dell’uomo, che la cinse con tenerezza. “Sei qui!” – sussurrò alzando il volto e carezzando con la mano la gota dell’uomo, che la guardò dolcemente e le sorrise, rassicurante: “Sono qui…non aver paura, non sei sola, di qualunque cosa si tratti, l’affronteremo insieme. Ora siediti e raccontami tutto. Devo sapere, lo capisci, vero? Non posso aiutarti altrimenti!” Sara annuì e lui la guidò fino al piccolo divano, versò poi dell’acqua in un bicchiere e glielo porse. La donna  bevve avidamente. “È una lunga storia. – disse guardandolo. “Ho tempo, non ti preoccupare!” –  commentò Marco con un sorriso. “Ok! – Sara deglutì e sospirò - Dopo il diploma mi sono iscritta all’Università, facoltà di medicina, con l’intenzione di specializzarmi in neurochirurgia. È stato facile superare il test di ammissione, mi ero preparata molto bene, grazie anche all’aiuto di una dottoressa che conosco benissimo, in verità il chirurgo che ha operato d’urgenza mio fratello Luca dopo un terribile incidente stradale. Lui era in moto ed ha riportato lesioni gravissime. Dopo il delicato intervento per quindici giorni gli sono rimasta sempre accanto, parlandogli, facendogli ascoltare la sua musica preferita, pregando che si svegliasse e tornasse da me, ma una fredda e nebbiosa mattina di dicembre il mio Luca se n’è andato. Giurerei che un attimo prima di spirare le sue labbra si fossero schiuse in un sorriso appena percettibile, come se si sentisse a casa finalmente. E forse era davvero così, forse aveva finalmente trovato la pace e la serenità che in vita gli era preclusa, nonostante i suoi sforzi di fuggire da un incubo che perseguitava lui e me da tanti, troppi anni. Ci facevamo forza a vicenda e insieme tentavamo di andare avanti, sperando ancora in un futuro migliore. Sola! Ero sola e svuotata di ogni energia, della volontà di continuare a vivere con quel dolore lancinante che mi spaccava il cuore. La dottoressa Mariani fu di grande conforto, mi affidò alle cure di un suo collega psicologo che mi aiutò almeno in parte a  superare il trauma della perdita di quel ragazzo meraviglioso che era stato per me fratello, amico confidente e che amavo incondizionatamente. Emma, la dottoressa,  continuò ad essere presente nella mia vita, andando ben oltre i suoi compiti di neurochirurgo ed assumendo il ruolo di protettrice. Anche lei era rimasta sola dopo la morte del marito. Non avendo figli mi ha adottata. È stato grazie a lei se ho deciso che il mio futuro sarebbe stato la medicina. Volevo salvare vite, se possibile, quante più vite potessi. -“Questo ti fa onore, mia cara. Ti guardo negli occhi e vedo sofferenza, paura, ma anche la straordinaria forza che ti ha dato coraggio finora. Non mollare proprio adesso Sara. Non mollare!” – disse con voce carica di sentimento Marco. - “Parla ancora con me Sara, sento che c’è dell’altro, qualcosa di terribile che ancora non mi hai detto…confidati se vuoi che riesca ad aiutarti. Ti prego…abbia fiducia!”La donna alzò lo sguardo, smarrita, tornando alla realtà. Si rese conto che aveva parlato più per se stessa che per Marco.  Improvvisamente sentì di nuovo quella fitta, la prova della sua  perdita  totale di fiducia in tutti. Sì in tutti, anche in Marco. Chi era in fondo quell’uomo? Lo conosceva appena. Come aveva potuto pensare che lui potesse aiutarla?  Sara era stata tradita troppe volte e sempre da chi diceva d'amarla, perfino dalla madre...quella volta...tanti anni fa...Era piccola allora, e l'episodio le sembrò grave solo per la sua tenera età. Non riusciva a capire tante cose, non comprendeva perché la sua mamma non c’era più, e neanche il suo papà. Lei e Luca vivevano in una strana casa, dove c’erano tanti altri bambini; dormivano in grandi stanze con tanti letti e mangiavano tutti insieme. Un giorno suor Cecilia le si avvicinò e le disse che sua madre sarebbe venuta nel pomeriggio: “Dovete prepararvi per uscire, tu e il tuo fratellino. – disse – Vieni, andiamo a prendere Luca.” Sara volle a tutti i costi indossare il suo vestitino preferito, di chiffon rosa con le balze e aspettò, aspettò insieme a Luca, eccitata all’idea di andare con la sua mamma alla festa di Primavera. Allora non se ne era andata per sempre! Era tornata a prenderli. Il suo cuoricino era colmo di gioia. Ma il tempo passava. Oh, quanto a lungo aveva atteso, seduta con le manine in grembo, fiduciosa. Ma lei non venne…non venne!  La delusione fu cocente, ma Sara non pianse. Non aveva più lacrime e voleva proteggere Luca. Era così piccola, ma quel pomeriggio la bimba scomparve. In qualche modo si era trasformata in adulta. Smise di sperare e di aspettare, ma non di porsi domande. Ricordò la vita di prima, di poco tempo addietro. Ricordò le liti familiari, la sera in cui trovò sua madre che piangeva silenziosamente, per non farsi sentire, la porta sbattuta poco prima e le grida sconnesse di suo padre. Da adulta vera ora poteva supporre che si fosse ubriacato, come sapeva succedesse quotidianamente, e fosse andato probabilmente a puttane dopo aver preteso dalla mamma i pochi euro che lei era riuscita a risparmiare.
Da quando  aveva perso il lavoro, la sua compagna era diventata la bottiglia, la rabbia e l’odio. A farne le spese la moglie e i figli, vittime della sua frustrazione e dell’incapacità di reagire alle avversità della vita.   “Mamma l'aveva lasciato proprio per questo?” La donna se lo chiedeva, ma sapeva che gli abbandoni non avvengono mai da una parte sola, che ci si lascia in due, ognuno va per la sua strada incurante delle ripercussioni psicologiche della loro decisione sui figli. Nella mente si susseguirono dei flash back, come innumerevoli proiezioni in 3D su uno schermo cinematografico, facendole male, ferendola. Si accavallavano episodi e sogni mescolando i loro confini, confondendola, come quando da piccola andava sulla giostra, quella veloce per gli adulti e quando scendeva, dopo ogni giro, provava la terribile sensazione di essere travolta da un vortice e poi cadere in un baratro senza fine. Di certo c'era un filo che però doveva unire il tutto, sentiva che c'era un filo...che tuttavia le sfuggiva, quasi mimetizzato dentro immagini e voci confuse. Sara si distolse dai suoi pensieri: “ Perdonami Marco, ancora non riesco a dirti niente. Se puoi, stammi vicino.” Era così disperata! Marco le carezzò i capelli, aggiustò una ciocca scomposta. – “Vieni qui!”- le disse, e la strinse forte tra le braccia. Sara restò per un attimo dentro il caldo di quell'abbraccio, rilasciando i muscoli tesi e alleggerendo i pensieri... un lungo attimo in cui s'illuse di potersi affidarsi all'amico, poi lo allontanò da sé con delicatezza, accarezzando il bavero della sua morbida giacca e  il petto, finchè la sua mano sentì qualcosa di duro nella sua tasca destra, qualcosa di cui comprese la forma. Infilò la mano e trasse fuori una calibro 38 nera, lucida e fredda al tatto.
Lo stupore si unì a una sorta di soddisfazione, per la conferma dei suoi dubbi. – “Avevo ragione! - disse  a voce alta, ma rivolta a se stessa - Mai fidarsi...mai fidarsi!”  Marco si precipitò a dirle: - “Non è come pensi, Sara!”
“Non ti avvicinare! Stai lontano da me!” – urlò la donna.
“Calmati, ti prego. Non ti fidi più di me ora ? Solo perché porto un’arma regolarmente registrata? Posso proteggerti, sono qui per questo.”
Sara non disse più nulla, restò a fissarlo come se volesse leggergli dentro, ma non ci riusciva, non sapeva più quale fosse la verità. Forse non lo aveva mai saputo, ora meno che mai. Teneva l’arma in mano e spostava continuamente lo sguardo dagli occhi di Marco al bavero della sua giacca. Non sapeva più cosa fare, cosa dire, cosa pensare. Poteva fidarsi di lui e chiedergli di aiutarla a liberarsi di quell’uomo che in strada attendeva, oppure lasciare tutto e scappare, fuggire nuovamente da tutto e da tutti.
-“Sara, ascoltami”- disse di nuovo Marco.
Ma  Sara non voleva più ascoltare nessuno. Continuava a stringere tra le mani la pistola e non sembrava intenzionata a lasciarla andare, era un’ opportunità, forse l’unica o l’ultima, un’opportunità per difendersi finalmente. Non poteva lasciarsela sfuggire.
-“Sara…- riprese Marco –Hai sofferto molto, ma questo non significa che tu debba fuggire ogni volta che ti senti minacciata o pensi che qualcuno possa ferirti nuovamente. Tu devi ascoltarmi!”
- “Ma tu che ne sai!”- sbottò Sara mettendosi a girare pericolosamente per la stanza con l’arma in mano, al culmine dell’agitazione. “Tu che ne sai di come ci si sente? Come puoi dirmi cosa devo o non devo fare?”
- “Sara. Ti prego, calmati!”-  sussurrò gentilmente Marco.
-Tu che ne sai? – ripetè la donna -  Pensi di sapere tutto di me? Pensi di conoscermi, di conoscere la mia odissea?”
- “No, Sara io…”- tentò di replicare Marco, ma lei non l’ascoltava. In preda all’isteria si muoveva a scatti, e  puntava la pistola verso di lui o in altre direzioni senza rendersi conto di ciò che faceva e continuava a ripetere le stesse domande come un disco che si fosse incantato.
Era evidente che la ragazza si trovava in uno stato psicologico che non le permetteva di rendersi conto  della pericolosità dei suoi gesti, ma Marco non si stancava di tranquillizzarla e di cercare di riportarla in sé. Ancora una volta le si rivolse con calma e con un tono suadente: -“Sara, nessuno vuole farti del male, siamo qui solo per aiutarti.” A queste parole Sara si fermò nel mezzo della stanza, con gli occhi sgranati. Il tremore delle sue mani divenne più evidente e si diffuse a tutto il corpo.
- “Siamo ? Tu… e chi? Quell’uomo in strada! Siete complici!”- e puntò la pistola decisamente contro Marco.
- “ Sara no!- alzò la voce Marco – L’uomo in strada è un mio amico.”
- “Non è vero! - urlò Sara – Non è vero! Lui, lui… non so chi sia…o forse sì…mi stai mentendo...”- e si interruppe, ma non distolse la mira.
-“ Invece devi credermi, e se ora ti siedi e ti calmi ti spiegherò. Ti prego. Se avessi voluto farti del male ne avrei già avuto l’opportunità. Pensaci…è un po’ che ci frequentiamo e mai, mai ti ho mancato di rispetto, nonostante i miei sentimenti che ormai credo siano palesi. Mi hai chiamato tu, ricordi? Perché lo avresti fatto se in fondo al tuo cuore non avessi pensato che potevi avere fiducia in me? Ti prego…” – continuò Marco tendendole la mano.
Sarà guardò l’uomo negli occhi e vi lesse sincerità e amore. D’un tratto si sentì spossata e barcollò, lasciando cadere le braccia e chiuse gli occhi. Marco la sostenne e le tolse l’arma con cautela: “Non temere…vieni Sara, – aggiunse guidandola dolcemente fino al divano – ti prendo dell’acqua.”
La donna bevve, accorgendosi di avere la gola riarsa. Paura, sgomento e confusione si alternavano in lei, ma ora si sentiva meglio. Alzò il volto a guardare Marco con aria interrogativa, e aspettò.
“D’accordo…è giunto il momento della verità. Devi sapere che il nostro primo incontro non è stato casuale; l’uomo che ti ha aggredito era un mio collega. Sono un poliziotto, Sara. Avevo bisogno di accorciare le distanze tra noi, per proteggerti meglio.”
“Come…come sapevi che avevo bisogno di protezione?”
“Tua madre…sì lo so che pensi ti abbia abbandonata, ma non è così, credimi. Ascolta, – l’uomo frenò la reazione di Sara inducendola a tacere appoggiandole un dito sulle labbra – circa due mesi fa si è presentata da noi una donna, il viso emaciato e gli occhi infossati. Si capiva che non stava bene. Il destino ha voluto che fossi io a prendere la sua deposizione o meglio…denuncia. Mi ha raccontato che molti anni or sono aveva chiesto il divorzio da un marito alcolizzato e violento. Il suo piano era di tenerlo nascosto, anche a te, e fuggire con i suoi figli il più lontano possibile da quella vita assurda. Vi amava moltissimo entrambi. Purtroppo la sera in cui, approfittando dell’assenza di tuo padre, ti disse che avreste fatto una bella vacanza, aprendo la porta si trovò davanti il marito, completamente ubriaco, che la spinse in casa urlando di portargli da bere. Lo ricordi, Sara?”
La donna annuì: “ Non sapevo cosa fare, ero in preda al panico, aspettando la sua reazione. Mi…ci picchiava sempre quando rincasava in quelle condizioni, ma quella sera mia madre reagì, per difendermi. Lui allora la colpì ancora e ancora e quando si accorse della valigia perse ancor più il lume della ragione, poi la spinse fuori dalla porta d’ingresso gridando: “ Fuori di qui sgualdrina…fuoriii! Se ti rivedo ti ammazzo hai capito…vi ammazzo tutti!”
“Lo so…lo so…tua madre me l’ha detto.”
“Ma perchè non tornò a prendermi? Da quel giorno Luca ed io vivevamo  nel terrore, prigionieri nella nostra casa, in balìa di quell’uomo che non posso chiamare padre. Un padre dovrebbe essere qualcuno di cui potersi fidare, non un aguzzino violento e vendicativo…sì, se la prendeva con noi per il fallimento della sua vita e del suo matrimonio. Piangevamo di paura e ricordo che avevamo sempre fame. Il più delle volte non si ricordava neanche di darci da mangiare, e quando lo faceva erano solo avanzi che raccattava chissà dove. Una sera non tornò. Mio fratello e io rimanemmo abbracciati tutta la notte, tremando per il freddo. Il mattino dopo io aprii la porta di casa e uscimmo in strada. Ci sedemmo sui gradini esterni e…non ricordo molto bene cosa accadde dopo, solo che ci ritrovammo in quello che ora so essere un orfanotrofio. Non ho più visto mio padre…fino a un anno fa, quando il mio incubo si è materializzato nuovamente. Ma perché mia madre scomparve se mi voleva bene?”
“Non lo fece, Sara. Dopo che tuo padre la cacciò di casa era distrutta e vagò senza meta e senza sapere cosa fare. Finì per strada, vivendo di elemosina. Mangiava quando poteva e dormiva ovunque potesse trovare un riparo. Ma non vi abbandonò mai, non del tutto. Si teneva a distanza, per paura di vostro padre che aveva giurato di ucciderla se solo avesse osato ripresentarsi dinanzi a lui, ma vegliava su di voi da lontano. Le bastava vedervi al di là dei vetri delle due uniche finestre della vostra casa. Perse la capacità di agire con razionalità, altrimenti avrebbe potuto chiedere aiuto, ma la sua mente era perduta in un limbo senza fine. Solo sporadicamente ricordava chi fosse. Una mattina fu trovata semiassiderata su una panchina del parco e ricoverata in ospedale prima e in una casa di cura poi. Nel frattempo tu e Luca avete vissuto in orfanotrofio fino alla tua maggiore età, che aspettavi con ansia per poter organizzare una nuova vita per tuo fratello e te. Trovasti un lavoro e una camera in affitto. Poi l’incidente di Luca, l’adozione della dottoressa Emma, l’università e…il ritorno di tuo padre. Ma questa è storia recente, la conosci. Sai che lui era scomparso all’improvviso perché era stato arrestato per omicidio volontario dopo che, ubriaco fradicio, aveva picchiato a morte una donna che somigliava a tua madre e…a te Sara. – disse indicando su una piccola mensola una foto incorniciata che ritraeva la mamma della ragazza da giovane. Stessi occhi, capelli e lineamenti della figlia.-  Dopo quindici anni di detenzione era uscito di prigione per buona condotta. Buona condotta! Da non credere! Aveva abbindolato tutti, poichè in cuor suo covava ancora rabbia e odio contro il mondo intero per la vita che era stata rubata a lui e a Luca, della cui morte aveva avuto notizia da un secondino. Non ebbe pace finchè non riuscì a ricomporre il mosaico, a sapere dove fossero finite sua moglie e sua figlia, che riteneva responsabile della perdita del figlio. Mi dispiace, tuo padre aveva dovuto seguire un programma di disintossicazione dall’alcol in prigione, ma una volta uscito ricominciò a bere e la sua follia riemerse. Non riusciva ad accettare con razionalità quanto accaduto, rifiutava ogni spiegazione logica e ha cominciato a odiarti con tutte le sue forze. Il suo unico figlio maschio…morto! Sfruttò le sue vecchie conoscenze e rintracciò tua madre. La minacciò, ma ben presto si rese conto che la donna non sapeva nulla. Alla fine riuscì a trovarti.”
“Sì…riuscì a trovarmi. – sussurrò Sara – Non era cambiato affatto, la prigione l’aveva indurito ancor più anzi. Non aveva più alcuna tutela legale su di me, ma non gli importava. Giurò che mi avrebbe ripresa, con la forza se necessario. Emma mi aiutò a fuggire e venni in questa città. Ma dimmi di mia madre, ti prego.”
“Fu sempre la dottoressa che, avendo scoperto che tua madre era viva e stava meglio dopo le cure del centro psichiatrico, le indicò come raggiungerti. Purtroppo lo scoprì anche tuo padre, non so come.”
“E’ stato terribile risentire la sua voce al telefono mentre urlava che non mi sarei mai liberata di lui, che me l’avrebbe fatta pagare. Era inconcepibile per me tutto quell’odio che mi gettava addosso. Vivo  nel terrore da allora. Quando ho visto l’uomo laggiù in strada ho creduto che fosse lui.”
Sara guardò Marco con aria interrogativa.
“Tua madre ha deciso di rivolgersi alla polizia e…ha trovato me. Era in stato confusionale e il suo racconto è stato frammentario, anche se ho capito la situazione. Ho deciso di darle il tempo di riprendersi. Ho  telefonato al convento delle suore Benedettine, pregando la Madre Superiora di ospitarla per la notte. Non aveva che da attraversare la strada, il portone era già aperto e suor Margherita la stava aspettando, ma il destino ha deciso diversamente…un autista distratto l’ha investita. È morta Sara! La tua mamma è morta. Solo la morte poteva impedirle di raggiungerti e proteggerti. Ora è con tuo fratello Sara, e sono certo che entrambi veglieranno sempre su di te. Non è riuscita a dirmi il suo nome, un indirizzo, non aveva documenti con sé e questo mi ha impedito di identificarla subito, ma poi l’assistente del medico legale incaricato dell’autopsia ha trovato  una busta tutta accartocciata in una tasca della sua giacca. C’era scritto: Per mia figlia Sara. Conteneva un indirizzo, il tuo, e una lettera per te, che non avrebbe mai spedito, desiderando tuttavia che tu la leggessi. Sapeva bene che non poteva avvicinarsi alla tua casa, temeva per la sua e la tua incolumità.  Ignorava che tu e Luca foste finiti in un orfanotrofio e che suo marito fosse un assassino. Sentiva il bisogno di esprimere tutto il bene che vi voleva, il suo rammarico per non aver potuto fare nulla per salvarvi da quella belva umana che un tempo era stato un marito e un padre, aveva bisogno del tuo perdono Sara, con la speranza che questo terribile segreto fosse svelato a qualcuno che ti potesse salvare. Sara, quel messaggio è arrivato fino a me, il destino ha voluto che fossi  io a prendermi cura di sua figlia, anzi, ha fatto di più, ci ha unito, perchè io ti amo... E tu Sara? Mi ami tu?” Sara era rimasta ad ascoltare in silenzio. Si perse nello sguardo adorante dell’uomo. L'amava, certo che l'amava. Dagli occhi  sgorgarono  lacrime, l'emozione la travolse, ma era ancora troppo tesa e impaurita per dirglielo e inoltre c'erano ancora particolari da sapere. – “Perché mi state proteggendo? No…non dirmi che mi ha trovata!”
Marco sospirò: “ Tuo padre non è in sè, lo sai, altrimenti non potrebbe desiderare il tuo male...il male della propria figlia.
Ma è ormai convinto che tu sia la causa di ogni suo guaio, che tu sia indemoniata, e che il diavolo sia entrato in te per distruggere la sua famiglia. Ti ho già detto che ora sa che vivi in questa città, ma non dove abiti. Ha fatto di tutto per rintracciarti, e per il suo comportamento che rasentava la follia è stato ricoverato in manicomio, ma ne è fuggito da un po' di giorni, sa nascondersi mascherandosi continuamente, andando in giro soprattutto di notte, cercandoti. Il suo dottore mi ha spiegato che è ad uno stadio estremo di pazzia e che non fa più solo propositi di scongiuri nell'ombra, vuole definitivamente liberarsi del suo nemico infernale, di te Sara… ammazzandoti. Per questo devi essere protetta.”
“MIO PADRE!. ..MIO PADRE!... MIO PADRE!...- Singhiozzò la ragazza battendo i pugni sul divano e fissando il vuoto.”
“E’ una vittima piccola, proprio come te. Vittima della follia che ha stravolto la sua mente e guidato le sue azioni. La violenza non è mai giustificabile, ma devi capire che tuo padre è un uomo che va aiutato. Non è sempre stato così. Ho fatto delle indagini, interrogato i vostri vicini e i vecchi amici dei tuoi genitori. Mi hanno detto che il matrimonio dei tuoi genitori è stato felice i primi anni, ancor più quando siete arrivati tu e tuo fratello. Il primo giorno che tuo padre rientrò ubriaco a casa, in un orario del tutto inusuale, tua madre non sapeva come gestire quell’uomo che inveiva contro tutto e tutti, poi cominciò a tirare oggetti dappertutto, rompendo vetri e fracassando mobili. Quando la tua mamma tentò di fermarlo, di farlo calmare, lui la colpì in pieno volto facendola cadere e si accanì su di lei con calci e insulti. Era fuori controllo. Il signor Ferri, il vostro vicino, accorse immediatamente, ma tuo padre non lo fece entrare. Gli intimò di non intromettersi in faccende che non lo riguardavano. L’uomo fu incerto sul da farsi. Voleva chiamare la polizia, ma poi decise di aspettare. Non udendo più alcun rumore rientrò in casa e…non fece nulla. “Tra moglie e marito non mettere il dito!” – pensò quel vigliacco.
“Ma cosa successe poi?” – chiese Sara.
“L’alcol rese tuo padre inoffensivo per molte ore. Si addormentò sul divano. Tu e Luca per fortuna non eravate in casa, ma al nido, dove vostra madre vi portava ogni mattina per poi andare al lavoro nella panetteria della signora Camilla, per contribuire al bilancio familiare. Quando fu in grado di rialzarsi, dolorante e confusa dagli ultimi assurdi avvenimenti, si ricompose e nascose un occhio tumefatto dietro un paio di occhiali scuri, poi venne a prendervi. Aveva paura di tornare a casa, ma disse a se stessa che doveva esserci una spiegazione valida e voleva sapere. Perciò tornò.
“Credo di ricordare vagamente quel giorno…la mamma era silenziosa, non rideva come di solito. Sì…ricordo. Ci abbracciò così forte da farci male e poi ci diede del gelato per merenda. Poi tutto la situazione è diventata sempre più difficile…A volte di notte avevo un incubo ricorrente: ero nel bosco e vagavo nell’oscurità, senza meta...quando all’improvviso un branco di lupi famelici mi circondava. Ringhiavano e mi mostravano i loro denti aguzzi. I loro occhi erano come infuocati e io mi mettevo le mani sul viso e urlavo…urlavo…Mi svegliavo sudata e piena di terrore, e la mamma era accanto a me e mi rassicurava. Ora mi sembra di rivivere quell’incubo…solo che al posto dei lupi è mio padre che mi minaccia, e la mia mamma non c’è a rassicurarmi.”
“Ci sono io amore…ci sono io…risolveremo tutto vedrai. Ora devi riposare, sei esausta.” – e Marco fece distendere la sua dolce ragazza sul letto e la coprì amorevolmente. Gli occhi e la bocca di Sara si chiusero, lasciandola cieca e muta, in balìa della stanchezza e del dolore che la ragazza provava per tutto ciò che le era stato negato nella vita. Poi il sonno ristoratore prevalse su tutto.
Quando riemerse dalla nebbia e il ritorno alla coscienza la riportò alla realtà, la giovane sobbalzò gemendo, disorientata. Ma aprendo gli occhi vide Marco seduto accanto a lei, come faceva la sua mamma quando doveva scacciare i lupi della sua fantasia. Il ragazzo le sorrise: “E’ tutto finito Sara…l’abbiamo trovato!...Tuo padre!...Non hai più motivo di aver paura…Il tuo incubo è finito!”
“Che cosa accadrà ora?”
“Nascosto da qualche parte in quell’uomo c’è ancora il padre amorevole che ti voleva bene, prima che il demone della follia si impadronisse di lui. Forse…col tempo e le cure potrà riemergere dall’ombra. Bisogna credere che ogni essere umano sia recuperabile.”
Marco prese tra le sue le mani di Sara e le baciò con tenerezza. Poi le porse la lettera che sua madre le aveva scritto e, accarezzandole il viso, si allontanò.
Sara la tenne qualche secondo tra le mani, poi la portò al volto e sentì l’odore della sua mamma, quella buona fragranza che la metteva di buonumore ogni volta che l’abbracciava. Aveva il profumo dei bei ricordi. La rivide assorta, seduta in cucina mentre scriveva e scriveva…Alzava lo sguardo e le sorrideva quando lei, piccola, le chiedeva cosa stesse facendo. “Scrivo una lettera, amore.” – rispondeva. Ne scrisse così tante. Chissà che fine avevano fatto? Ora aveva in mano la sua ultima lettera.
 Con gesti calmi e misurati la ragazza aprì la busta, ne estrasse il foglio e cominciò a leggere.

Mia dolcissima Sara,
 la vita è stata dura con te, con tutti noi, nessuno escluso. Avrei voluto evitarti tutte le sofferenze che hai dovuto patire, avrei voluto essere più forte, proteggere te e tuo fratello. Vi ho amato più d’ogni alta cosa al mondo e nulla è cambiato. Sono morta anch’io dentro quando ho saputo che il mio Luca non c’è più, il mio tenero frugoletto che non ho visto crescere, così come non ho visto te, mio tesoro. L’oscurità mi ha avvolto per tanti, troppi anni, ma ora finalmente ti ho ritrovata e so che stai bene. Ci rivedremo presto bambina mia, te lo prometto. Ti starò accanto e ci sarò di nuovo quando avrai paura dei lupi, sarò lì ad asciugarti le lacrime, a lenire le ferite della tua anima, ti cullerò tra le mie braccia. Ma prima farò ciò che devo, per proteggerti. Perdonami se non l’ho fatto prima.  Questa volta non esiterò bambina mia. Non dovrai mai più avere paura, né fuggire di nuovo. Sarai al sicuro. A presto.                                                              
                                                                                                  La tua mamma che ti adora
  
Sara non era abituata a manifestare le sue emozioni davanti agli altri, ma si lasciò andare. Marco la lasciò piangere sul suo petto e la strinse a sé, ogni tanto le baciava i capelli. La ragazza sentiva una sensazione di vuoto e di pena, ma pian piano si lasciò trasportare da un sentimento nuovo, meraviglioso, da cui era sopraffatta. Il futuro era pieno di promesse.



Daniela Bonifazi - Maria Laura Celli - Mivia Di Michele - Cecilia Bonazzi

Le immagini sono state tratte dal web