Copyright

COPYRIGHT Fantasia In Rete 2010-2012 Tutti gli scritti sono riservati e soggetti ad autorizzazione da parte degli Amministratori e degli Autori.
DISCLAIMER " Alcune immagini, fotografie e creazioni grafiche sono state trovate sul Web e non è stato possibile verificare se siano di pubblico dominio o meno. Se non fossero pubbliche, inviare una Email a 'galleschi.stefania@gmail.com' e la grafica in questione verrà rimossa."


" LA FOGLIA CHE NON VOLEVA MORIRE "di Daniela Bonifazi – Stefania Galleschi – Milvia Di Michele – Maria Laura Celli


Si teneva tenacemente attaccata al ramo. Con tutte le sue forze cercava di resistere agli assalti del vento e agli scuotimenti della pianta che, in balia degli eventi atmosferici, agitava come scheletriche braccia i suoi rami nudi. Era l’ultima foglia. Tutte le altre si erano arrese e, rassegnate alla loro sorte, avevano abbandonato ogni tentativo di resistenza e si erano lasciate cadere più o meno lontano dalla madre pianta, spogliata senza pietà delle sue figlie, che per l’estremo saluto avevano indossato i loro vestiti più colorati, trasformando in una festa il doloroso commiato.
– Devi andare anche tu, mia cara. Madre Natura è molto comprensiva, ma quando non si rispettano le sue regole diventa inflessibile, lo sai questo. – disse dolcemente la pianta alla sua ultima foglia. - Come puoi chiedermi di abbandonarti, madre? Guarda in terra…le vedi? Le mie povere sorelle sono prive di vita. A cosa è servito venire al mondo, offrire riparo agli uccelli e ombra ristoratrice, abbellire il paesaggio con la tua chioma folta che tutte noi abbiamo creato per te? Qual è il senso di questa fine ingloriosa? Se il nostro destino è segnato, se non abbiamo scampo, a nulla è servito essere parte della natura. - Dolce figlia mia, l'hai appena spiegato tu quanto sia stata meravigliosa, sui miei rami, la tua presenza e quella delle tue sorelle! Avete abbellito la nostra amata terra, avete dato ristoro a uomini e animali, avete suonato il vostro concerto nei giorni di vento, avete fatto brillare al sole tante goccioline di pioggia, accolte nel vostro grembo, dopo un temporale. Ora la vostra vita si deve concludere, sulla terra è così per ogni creatura, è un destino a cui non si può dire di no. Lasciati andare, figlia mia, troverai conforto nell'essere ancora partecipe del grande ciclo della vita, ora il tuo compito e quello delle tue sorelle sarà di concimare la terra per rinascere in primavera più belle e rigogliose che mai. Così la madre pianta cercò di consolare quella sua ultima figlia abbarbicata alle sue braccia. E un alito di vento improvviso arrivò dal cielo, volteggiò intorno ai rami della grande pianta e la fogliolina capì che davvero era giunta l'ora! Rassegnata si lasciò avvolgere e si staccò teneramente dal ramo.

Ma il vento ebbe pietà del dolore di quella bellissima ultima foglia e non la fece cadere a terra, ma decise di portarla con sé. - Ohi ohi! Mi gira la testa! Dove mi conduci amico vento? Le mie sorelle sono sotto la madre pianta. Non è là che devo cadere anch’io? – domandò la piccola foglia, perplessa e un po’ spaventata. - Ho udito le tue parole e conosco il tuo desiderio, mia dolce…fogliolina. Sai, trascorreremo del tempo insieme tu ed io, perciò credo che tu debba avere un nome. Non voglio chiamarti solo e semplicemente…foglia! - Un nome? Come i bambini che venivano a giocare sul prato accanto alla mia mamma pianta? - Un nome, certo, sceglilo tu. - Uhm…che ne dici di Aurora? Udivo una mamma chiamare così sua figlia e mi è subito piaciuto. Tu sai cosa significhi? - Naturalmente! L’aurora è l’inizio del mattino, quando il sole si annuncia col primo albore, una luce bellissima che saluta la notte e dà il benvenuto ad un nuovo giorno. Devi sapere – continuò il vento dimenticando di parlare ad una foglia che non aveva conosciuto altro se non ciò che vedeva dal ramo al quale era attaccata – che nella mitologia Aurora era la figlia di Iperione… - Mitologia? Iperione? Ma cosa stai dicendo? Io non capisco! - Oh perbacco, scusa piccolina. Io trasporto in genere, ma questa volta mi sono lasciato trasportare. - Trasportare? Da cosa? – domandò la foglia, curiosa. - Dalla mia sapienza. Io viaggio molto e so ascoltare, e ascoltando imparo. Non immagini neanche quanto grande sia la mia conoscenza. Ora tocca a te. Sarò il tuo maestro e la tua scuola sarà il Mondo che ti mostrerò nel nostro viaggio. Tieniti forte. Si parte! E così, vorticando e aumentando la sua velocità, il vento partì con la sua “passeggera” alla volta di un mondo a lei sconosciuto ma che certamente le sarebbe piaciuto, un mondo per lei irreale ma fatto di realtà, di vissuti, di emozioni che fanno battere forte il cuore, che lasciano il segno. Il volo della fogliolina era fantastico. Il suo volteggiare emetteva particolari suoni somiglianti a dolci note musicali. Si sentiva leggera e felice Aurora e, anche se era molto incuriosita da questo viaggio inaspettato, la paura che forse sarebbe durato troppo poco ogni tanto le faceva perdere il sorriso. Pensava al dopo. Che ne sarebbe stato di lei dopo l’esperienza che il vento le stava facendo vivere? Il vento, che tutto sa, percepì il timore di Aurora e la rassicurò: - Non preoccuparti! Siamo solo all’inizio dell’itinerario che ho in mente. Faremo tante tappe e conoscerai nuovi luoghi, persone, animali. Ascolterai suoni diversi e musiche meravigliose, vedrai paesaggi e fenomeni che mai potresti immaginare. Non essere triste e goditi la vacanza. La foglia si sentì appagata e l’eccitazione la colorò di un rosso ancora più acceso. Si lasciò trasportare con fiducia e si assopì, stanca per il troppo volare. Quando si svegliò era adagiata sul robusto ramo di una quercia, circondata da altre foglie verdi e lucide e da strani frutti con una specie di piccolo cappello, che mai aveva visto prima di allora.


La piccola Aurora si spaventò, ma la pianta le disse: - Stai serena. Il vento ti ha condotta qui, anche lui ha bisogno di calmarsi un po’, e mi ha chiesto di badare a te fino a domattina. I raggi del sole che si accingeva a tramontare donarono ad Aurora altri colori. Che bella che stava diventando! Riflessi dorati e purpurei si mischiavano a un verde scuro e intenso, che ancora resisteva attorno alle sue venature. Quasi come una ragnatela partivano dal suo cuore per dipanarsi, assottigliandosi, fino ad ogni sua punta. Ad un tratto la foglia ebbe un sussulto e sospirò, gemendo. - Che hai?- le chiese la quercia, attenta a svolgere bene il compito di " balia" della foglia, affidatole dal vento. - Guarda! Mi sto accartocciando, ho paura che mi romperò in mille pezzi! La quercia sapeva cosa stesse accadendo, ma lo tenne per sé. Lei sapeva tutto della vita e della morte, della disidratazione e decomposizione. Tanti anni aveva vissuto, e tanto aveva visto. Ma la pena prese il sopravvento. La fogliolina era spuntata in Primavera, non aveva compiuto un anno! La pianta secolare si disse che non era giusto vivere solo per breve tempo. Il vento doveva avere un piano, altrimenti perché chiederle di aver cura della sua protetta! - Certo! Forse vuole concederle una proroga, godere di questa estate di San Martino così dolce e consolatoria, farla divertire regalandole un’avventura! Ma non c’era tempo da perdere. Fu così che la cosparse con la “lacrima” di un’oliva nera e matura,
schiacciata inavvertitamente dallo scoiattolino Batuffolo che, a dir la verità, era molto distratto e non guardava mai dove metteva le zampe. 



Quella non era la sua prima vittima, purtroppo. Come suo ultimo desiderio, l’oliva aveva chiesto che fosse conservata una goccia di sè, perchè un giorno qualcuno potesse trarne giovamento. - Prendila!- le disse la quercia con la sua voce calda di mamma, vedrai come ti sentirai meglio! L’olio della piccola oliva operò un vero e proprio miracolo, una sorta di lifting senza bisturi. La piccola foglia tornò ad essere compatta e levigata, senza più screpolatura alcuna.
- Oh! Mi sento come nata una seconda volta. Grazie quercia e grazie a te, generosa oliva! - E me? Nessuno ringrazia me che ho portato qui l’oliva? – esclamò con un pizzico di rammarico Batuffolo. - Beh, di certo non ti aspetterai che io ti sia riconoscente per avermi calpestata – rispose l’oliva – ma prima o poi la mia fine sarebbe stata questa. Meglio aver donato nuova vita ad Aurora che finire maciullata al frantoio. Lo scoiattolo non replicò. In effetti non sapeva cosa dire e preferì tacere. A quel punto si sentì una folata giungere da est e il vento tornò a movimentare un po’ la vita del bosco. - Caspita! Hai fatto una cura di bellezza mia piccola amica? – disse con enfasi rivolgendosi alla fogliolina. - Pare di sì! – si gongolò Aurora. - Bene! Sei in forma perfetta per proseguire il nostro viaggio dunque. - Oh, che bello! Dove mi porti oggi? - Sarà una sorpresa! – e il vento non aggiunse altro, ma soffiando energicamente sollevò la foglia che fece appena in tempo a gridare: - Addio quercia! Addio Batuffolo! Addio mia cara oliva! E via, verso una nuova avventura! Non aveva la minima idea di cosa sarebbe accaduto, ma fiduciosa ed eccitata si affidò completamente al suo amico vento. Il viaggio non fu molto lungo; presto giunsero in una cittadina, con case e villette molto graziose, un parco pieno di alberi e con una grande fontana dalla quale zampillava di continuo acqua chiacchierina. Che novità per Aurora, che mai aveva visto nulla di simile! D’improvviso si ritrovò adagiata sul davanzale di una finestra dischiusa. Voci argentine ne uscivano a tratti. Il vento soffiò piano per farla avvicinare ancora un poco, tanto da permetterle di vedere l’interno. La foglia non sapeva contare, ma vide tanti visetti simpatici che sorridevano e una signora dall’aspetto gentile. - Chi sono? – chiese incuriosita.

- Sono alunni, mia cara, e questo edificio che vedi si chiama scuola. Quella signora è una maestra ed ha il compito di insegnare ai bambini tante cose. - Davvero? - Certo! Osserva e ascolta, potrai imparare anche tu qualcosa di nuovo. E la fogliolina fece silenzio, guardò i bimbi tracciare dei segni colorati su fogli bianchi. D’un tratto quei segni presero forme che lei conosceva bene: foglie! Erano foglie come lei! Stava per dire qualcosa ma la voce della maestra frenò la sua intenzione. - Bene, ragazzi! Vedo che avete ben rappresentato l’autunno. Abbiamo parlato delle piante che lasciano andare le loro foglie per proteggersi dal freddo invernale. Esse non potrebbero sopravvivere al gelo e neanche la pianta. Il destino delle foglie è segnato, e si ripete ogni anno al sopraggiungere della stagione autunnale. Con l’aiuto del vento e come tante farfalle colorate esse abbandonano la madre pianta e cadono a terra, ma la loro non è morte, solo trasformazione. In primavera la pianta si rivestirà di nuove foglie e così via. Certo è triste vedere gli alberi spogli della loro bella chioma e molti poeti hanno voluto esprimere con bellissimi versi questo fenomeno. Ora vi leggerò una poesia…ascoltatela e poi ne discuteremo. “L'altra sera, portò via tante foglie secche il vento. Quanta pena avranno gli alberi, questa notte senza stelle!” Allora Aurora capì. Madre Natura non era cattiva, ma saggia. 
Madre Natura
Tuttavia una grande tristezza la colse mentre ascoltava la lettura della maestra, e nostalgia per le sue sorelle e mamma pianta, che immaginò sola e pervasa da un profondo turbamento.
- Ehi piccola! Non fare così, ti prego - sussurrò il vento - se ti ho condotta qui è solo perché tu comprendessi che in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, come disse uno studioso molto importante. Le tue sorelline saranno per sempre parte di questo mondo, in qualsiasi forma. - Dovrei essere con loro – disse mestamente Aurora – e non desiderare qualcosa di diverso. Non voglio avere privilegi, non è giusto! - Il tuo non è un privilegio, solo un cambio di programma. A volte succede, sai? Forse il destino ha in serbo per te proprio qualcosa di diverso, chissà! Ora bando alla tristezza, si riparte! - Dove mi porti amico vento? - C’è un posto che hai desiderio di conoscere? - Sai, quando ero assieme alle mie sorelle, come ti ho già detto, spesso sotto la folta chioma di mamma pianta venivano a giocare molti bambini. Che allegria! Sentivo i loro racconti e le loro risate. Parlavano di un posto chiamato “mare”, di castelli di sabbia, tuffi e corse sulla spiaggia. Dal loro entusiasmo ho capito che questo mare deve essere qualcosa di speciale. Mi piacerebbe tanto vederlo! - Detto e fatto, piccola mia. Ti condurrò al mare! – e il vento sollevò Aurora ancora una volta, per poi farla volteggiare nell’aria. Aumentò la sua velocità, tanto che la fogliolina non riusciva più a distinguere i particolari dei luoghi che attraversavano. Tutto era sfocato e indistinto, ma non si lamentò: era ansiosa di giungere a destinazione. Ad un tratto il vento diminuì la sua potenza e si placò, posando Aurora sulla sommità di un pino marittimo. - Guarda davanti a te. Quello è il mare! – disse, aspettando la reazione della foglia. Alla vista dell’enorme distesa di acqua azzurra come il cielo, la piccola Aurora ammutolì, colpita da tanta magnificenza. - Il mare! – sussurrò. Sopraffatta dall’emozione, la foglia commentò: - Com’è grande! Ora capisco perché i bambini ne parlavano così tanto. Deve essere bellissimo volarci sopra come fanno quegli uccelli!

- Sono gabbiani – le spiegò il vento – e se osservi con attenzione li vedrai tuffarsi in acqua per prendere qualche pesce che li possa sfamare. - Eccone là uno! E un altro! Oh come mi piacerebbe andare ancora più vicino. - Bene, ti ci porterò, ma dovrai fare molta attenzione a non cadere o sarà la fine per te. E il vento, come promesso, regalò ad Aurora un’esperienza esaltante. La piccola foglia si ritrovò a vorticare sul mare, su e giù, facendo a gara con i gabbiani per raggiungere quasi le nubi e poi ridiscendere in picchiata quasi a lambire l’acqua. - Salve Tramontana! – gorgogliò il mare – Era da un po’ che non ti facevi viva. - Salve a te, mare! – rispose il vento. - Tramontana? – esclamò Aurora – Che significa? - Oh, devi sapere che io ho molti nomi, a seconda della direzione da cui provengo e dalla forza con la quale soffio. Ora sono Tramontana e vengo dal Nord. Il mare è calmo quando arrivo io, come in questo momento, vedi? - Brrrr! Che freddo! – si lamentò la foglia. - È colpa mia! – disse il vento - Il luogo da cui giungo è gelido. Ma non preoccuparti, ti porterò al caldo. Il sole sta per tramontare e tu devi riposare. Ti saluto mare! -Ciaooooo! – gridò Aurora mentre veniva rapita dal suo mezzo di trasporto…aereo! Giunsero ben presto, data la velocità di Vento Tramontana, in un luogo che Aurora non riusciva a distinguere dato che le tenebre si erano impadronite dello spazio.
'Vento' Van Gogh
- A domani, amica mia! – disse il vento. - Non resti con me? – chiese la foglia. - Non posso. Devo trasportare delle nuvole lontano da qui, in un bosco che ha tanto bisogno di pioggia. Gli alberi stanno soffrendo la sete e tu sai quanto l’acqua sia importante per una pianta, vero? - Oh, certo…aaahhhh! La piccola Aurora sbadigliò e, con voce assonnata aggiunse: -Stai attento e…torna da me. Se il vento fosse in grado di sorridere, sicuramente lo avrebbe fatto in quel momento, piacevolmente sorpreso dal legame affettivo che si era instaurato con la fogliolina. Scappò via per assolvere al suo compito, mutandosi in Scirocco e caricandosi di umidità per portare la pioggia nel bosco, che attendeva fiducioso un po’ di sollievo. Quando Aurora si destò, il mattino seguente, si scoprì adagiata su una panchina di legno, che si trovava in un giardinetto ben curato, con ciclamini variopinti e altre piante a lei sconosciute. Un movimento improvviso la distolse dall’osservazione dell’ambiente circostante, spaventandola. “Chi o cos’era quel batuffolo di pelo che si avvicinava? Aurora pensò che se poteva comunicare con la sua mamma pianta e col suo amico vento, forse poteva farlo anche con quello strano essere. - Non farmi del male, ti prego! – sussurrò. - Cosa? Male…io? Ma che sciocchezza! Chi sei e dove sei, tu che parli e ti nascondi! - Qui, proprio davanti a te, sono una foglia! - Oh! Già già, sei proprio una foglia! Che ci fai qui? - È una lunga storia! – rispose Aurora. - Non mi piacciono le lunghe storie, quindi mi presento e ti saluto, bella mia. Io sono un coniglio, vivo in questo luogo e sono simpatico a tutti. Mangio l’erba e, devo dirtelo, sei fortunata ad essere quasi secca, altrimenti avresti corso un serio pericolo con me. Addio!

E il coniglio si allontanò sparendo dietro un cespuglio e lasciando senza parole la povera Aurora che avrebbe tanto desiderato fare quattro chiacchiere. Ma per fortuna ecco di nuovo quella folata ormai familiare che annunciava il vento, di ritorno dal suo viaggio. La foglia gli raccontò quanto accaduto poco prima ed il suo amico le spiegò che alcune creature preferiscono stare per i fatti propri e non amano socializzare. - Dobbiamo andare, sei pronta? – le chiese poi. - Ma tu non ti fermi mai? – replicò Aurora. - Mai! – rispose il vento. - Sarai molto stanco allora. Quanto lunga è la tua vita? – chiese ancora la foglia, curiosa. - Io esisto da sempre e sempre esisterò, mia cara. È così triste veder morire le creature del Mondo, ma è anche bello vederle nascere o rinascere a nuova vita, come accadrà alle tue sorelle. Madre Natura ha le sue leggi e le sue regole, che non sempre vengono rispettate purtroppo, e ciò causa sofferenza e a volte anche la scomparsa dalla faccia della Terra di animali e piante di cui gli uomini non hanno cura. Ma ora basta con questi discorsi. Voglio che tu sia felice, mia piccola amica e desidero mostrarti molti altri luoghi ancora. “ Pffssssss!!!!!!!” – soffiò il vento senza più indugiare e Aurora fu risucchiata verso l’alto, verso nuove avventure. Il vento non si risparmiò e la condusse in posti meravigliosi. Fu quasi un viaggio del Mondo e alla fogliolina sembrava di sognare. Un giorno però, durante una pausa, Aurora si sentì dire queste parole: - L’inverno è ormai alle porte ed il mio lavoro aumenterà. Non potrò più occuparmi di te, piccola. Per questo ho pensato di trovarti una casa e un posto sicuro dove potrai stare. - Oh no! Non voglio lasciarti. Siamo amici! Non è così? Tu mi hai detto che l’amicizia è il sentimento più bello che ci sia, che unisce e ci fa sentire importanti per qualcuno. - Noi saremo amici per sempre Aurora, e ti prometto che ci rivedremo. Non so dove né quando, ma noi ci ritroveremo. Abbi fiducia in me e pensami, come io penserò a te. Ora cerca di ritrovare la tua allegria, perché il posto dove ti condurrò tra poco ne è colmo. Ti divertirai come mai prima d’ora.
E il vento mantenne la sua promessa, conducendo la sua cara, piccola amica…al circo! 
Che emozione per Aurora vedere elefanti, orsi, leoni e pantere ammaestrate! E i pagliacci poi, così colorati e divertenti! Ma ciò che la fece rimanere a bocca aperta, si fa per dire, furono i trapezisti: volteggi in aria e acrobazie che somigliavano molto a quelle che lei stessa faceva ogni giorno, sospinta dal vento.
-Vuoi provare? – le chiese l’amico. - Davvero posso? - Mmm…direi di sì! E senza aggiungere altro il vento la soffiò in alto, ma questa volta fece sperimentare ad Aurora l’ebbrezza del volo acrobatico. Che spettacolo vederla piroettare assieme ai trapezisti, unirsi a loro nei volteggi con grande maestria. Il pubblico, esaltato e rapito dall’esibizione, attendeva con ansia la conclusione di ogni esercizio e poi si lasciava andare gridando:- Bravi! Bravi! Gli applausi, anche se chiaramente non rivolti a lei, minuscola e praticamente invisibile alle persone che dall’alto apparivano piccole piccole, eccitavano la foglia e lei si sentiva partecipe del successo degli acrobati. Aurora la star del circo! Ma ogni bella fiaba ha una fine. Mentre i trapezisti scendevano con abilità scivolando lungo una corda, a raggiungere terra, un lieve soffio sollevò Aurora dal trampolino su cui era appoggiata. Il vento le sussurrò: - Addio, mia piccola e dolce compagna di viaggio. Il tuo si conclude qui. Ti voglio bene, e ogni volta che vedrò sorgere l’alba mi ricorderò di te Aurora. E la fece cadere in grembo ad una ragazza che assisteva allo spettacolo circense. La giovane non se ne accorse subito. Era rapita dallo sguardo del suo ragazzo e dalla carezza sui lunghi capelli biondi che la fece rabbrividire di piacere. Ah…l’amore! Che meraviglioso sentimento! Teneri gesti e parole dolci sussurrate, sentirsi soli anche fra tanta gente, sognare ad occhi aperti un futuro da fiaba. Gli applausi al termine dell’esibizione dei trapezisti distolse i ragazzi dal momento magico che stavano vivendo. Fu allora che la giovane si accorse di Aurora. - E tu come sei finita qui? – disse – Devi aver volato parecchio o forse cercavi lavoro nel circo. Eh eh! Ti è andata male poverina! Certo che sei proprio bella con questi colori così accesi e caldi! Non meriti di marcire in un posto qualsiasi. Ti prenderò con me e ti conserverò tra le pagine del mio diario. - Ma cosa fai? Parli con le foglie adesso? – la prese in giro il ragazzo. - Certo! Ma guardala! Mi parla dell’autunno, dei suoi profumi e del suo fascino. Se mi vuoi, caro, devi prendermi così come sono: un’inguaribile romantica! – e sorrise con dolcezza. - È ciò che amo di te, oltre alle straordinarie altre tue qualità. E adottiamo questa fogliolina allora! Fu così che Aurora si trasferì tra le pagine di un diario e condivise i segreti e i pensieri della sua nuova mamma, come le faceva piacere considerare la ragazza. Oh, ma Aurora sapeva essere discreta e non li rivelò mai a nessuno. Perciò non chiedete, cari lettori; dalla nostra piccola amica non saprete nulla. Questo sì che è un lieto fine, non credete?

Autori: Daniela Bonifazi – Stefania Galleschi – Milvia Di Michele – Maria Laura Celli

Tutte le immagini sono tratte dal Web

E VISSERO TUTTI di Cecilia Bonazzi-Milvia Di Michele- Maria Laura Celli -da una proposta di Rossella Calvi


E VISSERO TUTTI 

Il principe azzurro si chinò su Biancaneve, la baciò e lei, come d’incanto aprì gli occhi dal ungo sonno a cui era destinata .
“Oh !”, sospirò Biancaneve.
Il Principe Azzurro sorrise dolcemente e vissero tutti felici e contenti.
“Eh, no!”, tuonò improvvisamente una voce.
“Come sarebbe a dire, eh no ?” chiese il Principe sorpreso.
I sette nani si strinsero l’un l’altro sconvolti dai repentini eventi.
“Oh, anzi: HO FATTO UN SOGNO!” urlò Biancaneve.
“Sì, cara, hai dormito per lunghi giorni e col mio bacio ti ho risvegliata” la rassicurò il Principe.
“No, guardate ragazzi, non è così che deve finire la storia” riprese Biancaneve “Non è per niente così ! Io sono stanca, sono stufa che tutte le volte arrivi qualcuno a svegliarmi !”.
I sette nani si guardarono attoniti e Dotto disse: “Ma noi pensavamo che tu fossi morta, per via di quella mela avvelenata”.
“Ma quale mela avvelenata ! Ero solo in profonda riflessione, in meditazione per trovare la mia strada, per capire chi sono veramente e cosa voglia dalla vita !”
“Ma mia cara, ci sono io, ora, qua, solo per te. Ho cavalcato giorni sul mio magnifico destriero bianco, seguendo tutte le indicazioni della fiaba, non tralasciando nulla, nulla al caso…”
“Mi dispiace tanto Principe Azzurro, ma non penserai che ti chiami per sempre Principe Azzurro, vero? Avrai bene un nome !” disse Biancaneve.
“Veramente, questo nome mi è stato dato” si scusò timidamente il principe.
“E allora, ho fatto un sogno e intendo realizzarlo ! Buona giornata a tutti !”. E con queste parole Biancaneve si dileguò nel fitto della foresta.
Il Principe Azzurro e i sette nani, Brontolo, Dotto, Pisolo, Eolo, Mammolo,Gongolo e Cucciolo, rimasero senza parole; si guardarono in silenzio e altrettanto silenziosamente andarono ognuno per la propria strada.
La notizia non impiegò molto a diffondersi nei villaggi vicini né, tanto meno a raggiungere i regni confinanti. Ma si sa, passando di bocca in bocca una notizia assume forme, colori e tonalità diverse. Gli esiti, però furono immediati.
Cenerentola non andò al ballo.
Non cominciamo a farle complimenti e a dire che -lei sì, lei è una ragazza seria!-
Non andò perché non era stata invitata, e lei è una che non s’imbosca alle feste.
Rimase a casa, davanti al focolare, con il suo vestitino cencioso.
Già: se fosse andata al ballo che vestito avrebbe messo?
Ma il problema non ci fu ,perché non andò.
-Come passerò questa notte di festa?- si disse
Cercò in giro e trovò un grande foglio bianco. Questo aveva: un foglio bianco, cenere e carbone e..se stessa.
Allargò ben bene il foglio bianco per terra, davanti al caminetto acceso,prese una ciotolina che riempì di cenere e carbone raffreddato, si sdraiò a pancia in giù sopra una vecchia coperta di lana ruvida abruzzese,tutta colorata e..iniziò.
-A fare che?-…Ma a dare vita alla festa, alla sua festa!
Disegnò una bella scalinata e, sulla scalinata, lei che scendeva con un leggero vestito elegantissimo tutto di voile ( un po’ grigio…ma cenere aveva!), poi disegnò un salone magnifico con lampadari enormi e colmo di gente elegante , una marea di gente che non ballava più, ma si era aperta come il mar Rosso per farle largo.
E fu l’invitata d’onore di una festa da favola. E non scappò mica a mezzanotte- perché mai?-
Rimase lì, dentro il suo disegno in festa, se non per sempre, per molto, moltissimo tempo.
E l’altra festa? Quella alla quale non era andata?
Quella, sa come è andata chi ci andò.
Già, ma chi andò al ballo al posto di Cenerentola?
“E chi ci mando ora al ballo, al posto di Cenerentola ?” si chiese ansiosa la fatina.
“Cappuccetto Rosso è ancora troppo giovano e ha in mente solo il lupo, Jasmin, sì, Jasmin potrebbe essere un’idea, ma è già una principessa, non avrebbe senso, non potrei fare nessuna magia..”.
Proprio in quel momento passava per strada una giovinetta vestita di stracci che cercava di vendere fiammiferi.
“Hey, tu !” gridò la fatina “Vieni un po’ qua!”
“Dice a me signora?...Guardi che non ho fatto niente”
“Sì, sì, lo so; senti un po’ moretta, ti piacerebbe andare al ballo di corte ben vestita e sposare il giovane principe?” Spiegò la fatina.
“Ma, veramente, io” Cercò di scusarsi la piccola fiammiferaia; ma non fece in tempo a concludere la frase che la fatina l’aveva già vestita di un elegantissimo vestito, trasformato i topini in bianchi cavalli, la zucca in carrozza e caricata la ragazza sulla carrozza stessa la spedì al castello; ma nella fretta commise un errore. Già, perché quando si fanno le cose di fretta è facile sbagliare e allora è meglio andare contro corrente, fermarsi e respirare. Ma ormai era fatta.
Così la piccola fiammiferaia si presentò al ballo con uno stivale n.40 alto fino al ginocchio e, quando nella fretta di rientrare a casa prima della mezzanotte, inevitabilmente lo perse (perché le fiabe richiedono sempre una loro trama avvincente), il principe provandolo a più di cento fanciulle nei giorni seguenti, non riuscì più a ritrovare la dolce dama che lo aveva smarrito. Dal canto suo, la giovinetta, raccolti i suoi pochi stracci e con un ultimo incantesimo della fatina che trasformò nuovamente la zucca in carrozza e i topini in bianchi cavalli, si diresse di gran carriera nel regno vicino, dove trovò lavoro nel bosco, al servizio di sette simpatici omini che cantavano e lavoravano tutto il giorno. A lei era sempre piaciuto fare le pulizie di casa.



Anche la Bella addormentata cambiò il corso degli eventi della sua storia e sbottando disse: “Non voglio il solito principe azzurro bello, coraggioso e perfetto ! Il mio principe deve essere gentile, sì, ma anche un po’ ruvido, coi capelli lunghi, deve suonare la chitarra, cantare e recitare !”.
E così fu.
I principi azzurri, scossi dagli eventi si radunarono in assemblea per deliberare .
Non mancarono i curiosi, re, regine, principesse, gente del popolo e cantastorie, altrimenti come avrebbe potuto arrivare a noi ciò che successe in seguito.
Ognuno proponeva qualcosa: una gara, una esibizione , un dono, ecc ecc.
Un pastorello con il gregge che passava di lì, sentendoli accapigliare pensò di proporsi ma in modo assai semplice:
mise in una tazza di coccio il latte delle sue caprette, sfoderò lo zufolo e suonando si avvicinò ad una principessa.
Il buon profumo del latte appena munto era una delizia e faceva immaginare un sapore! La principessa gradì molto il dono, bevve con gusto e schioccò un bel bacio sulla guancia del pastorello, diventato rosso fuoco (come l’altra, anche se non baciata)
I Principini Azzurri esclamarono in coro: OH!!!!!
-Tutto qua? – aggiunse il Principe di Biancaneve.
-Tutto qua?- ripeterono in coro tutti gli altri principi delle favole tradizionali.
La principessa rise di cuore:
-TUTTO QUA , TUTTO QUA!
Un bel bicchiere di latte appena munto, che bontà!
Sapete? Io adoro la semplicità!
Ma quale fu la sorpresa di tutte le regine, principessine, o aspiranti tali, quando si accorsero che i Principi Azzurri ridevano tutti a crepapelle e, ridendo ridendo, buttavano via cappelli con la piuma, vestiti scomodi e demodè, spade, corone e ciondoli d’oro.
Pareva che i Principi non aspettassero altro che di essere liberati da quell’ambaradan che accompagnava la loro entrata in scena.
Uno solo di loro disse: posso tenere con me il mio cavallo bianco?
-Perchè,a cosa ti serve? chiese la principessa.
-Oh sapessi,bella principessa!!!Il mio grande desiderio è di mettere in groppa tutte le principesse e portarle a fare un giro nel bosco;chissà, potremmo incontrare la principessa che ha dormito con un pisello sotto il materasso e il gruppo sarebbe completo. Cosa ne pensi?


Così si radunarono principi e principesse, nani e servi, pastorelli e cantastorie e partirono alla ricerca della principessa mancante.
Più si inoltravano nel bosco e più l’aria diventava fresca e carica di umidità, il sole filtrava a mala pena fra i fitti rami pieni di foglie degli alberi e ogni angolo, ogni suono, ogni ombra stuzzicava l’immaginazione degli avventurieri. Quando il sole tramontò e la notte si fece buia come non mai, accesero un fuoco e attorno ad esso si sedettero a raccontare storie e a passarsi il paiolo del cibo; già, mangiavano tutti nello stesso paiolo: principi e principesse, nani, servi e pastorelli, si passavano il mestolo e per tutti c’era un sorso di buona minestra perché nel momento del bisogno scompaiono i ranghi e le caste e appare magicamente la convivialità e il mutuo soccorso.
Improvvisamente un’ombra apparve tra i cespugli e il gruppo si zittì.
Un lupo, vecchio ma con ancora la sua dignità, si avvicinò. Lo accompagnava una vecchia col naso bitorzoluto e il bastone sul quale si appoggiava e una ragazzina col cappuccio rosso in testa.
-E voi chi siete ?- Chiese Brontolo.
- Sono Cappuccetto Rosso – rispose la ragazzina – E questa è la mia nonnina; lui, invece è Lupo. Abbiamo saputo che state cercando una principessa e noi possiamo aiutarvi –
- E come piccola ?- Chiese dolcemente Cenerentola.
-Intanto non mi devi chiamare piccola perché sono già in età adolescenziale e certi appellativi non li sopporto ! Secondo, noi siamo della zona, Lupo ha un buon fiuto e nonnina conosce tutti ! –
Il gruppo rimase sorpreso ma accettò l’aiuto dei nuovi arrivati; vennero preparati tre nuovi giacigli (uno anche per Lupo, s’intende!) e fu offerto loro del cibo.
L’indomani il gruppo riprese il viaggio con Lupo in testa.
Un giorno di cammino, una notte di riposo; un’altra mattinata di cammino e arrivarono ad una radura dove sorgeva una dignitosa casetta di legno circondata da un curatissimo giardino; all’entrata una donna anziana stava pulendo e un anziano uomo, con una cesta di panni appena lavati si avviava a stendere dopo aver dato un bacio alla donna.
-Ecco la principessa che state cercando – disse nonnina.
Uno dei principi incredulo si avvicinò alla donna e chiese: - Tu sei la principessa che dormì con un pisello sotto il materasso accorgendosene ?-
-Sì; beh, veramente non riuscii a dormire a causa di quel legume e me ne andai dal castello- rispose
-Oh !- esclamarono in gruppo i presenti.
-Ma, ma tu..non sei come noi: per te il tempo è passato e sei invecchiata !- Osservò Cappuccetto Rosso.
-Ma così morirete !- Esclamò Cucciolo, uno dei sette nani.
-E con questo ? Però potremo dire di essere veri -.
-Superai la prova – continuò l’anziana donna - Ma volevo e voglio essere amata per quel che sono e non per le prove che supero ! Perché mettere alla prova una persona, perché umiliarla ? Per mostrare la propria forza e nascondere le proprie insicurezze? No, vi dico, l’amore non è il vestito che indosso o la scarpetta che perdo o il cavallo bianco che sfoggio in parata..-
 -Questa è una risposta che ognuno di voi dovrà trovare dentro di sé e non sarà unica per tutti, ma sarà unica per ognuno di voi, di noi-.
Principi e pastorelli, nani, principesse e lupi, adolescenti, serve, anziani e cantastorie si guardarono in silenzio. Il sole era alto nel cielo e riscaldava l’aria di mezzogiorno. In un angolo ombreggiato del giardino si apparecchiò per tutti e ognuno portò qualcosa, ognuno fece qualcosa, ognuno portò una parte di sé stesso: chi cucinava, chi raccoglieva erbe da cucinare; chi suonava lo zufolo; chi disponeva le vettovaglie, chi spentolava il cibo umile, ma mai come in quell’occasione buono e saporito. Ognuno condivideva ciò che aveva. Ognuno condivideva ciò che era.

-Sì, è vero, sono invecchiata, ma questo perché ho vissuto; ho accettato, abbiamo accettato, io e il mio compagno, di vivere nella realtà e non più in una fiaba -.
Tutti i presenti pendevano dalle labbra della donna come se aspettassero una risposta decisiva per la loro vita, una verità, la Verità. -E allora cos'è l’amore ?- chiese la piccola Fiammiferaia.
Passò così l’intero pomeriggio e la notte; poi l’indomani ognuno riprese la strada per la propria dimora un po’ più ricco e un po’ più vero di quando era partito. 
E così le fiabe divennero "una fiaba"le storie divennero realtà e i personaggi,arricchiti di tante verità condivisero la "verità della vita"

Autori: Cecilia Bonazzi-Milvia Di Michele- Maria Laura Celli -da una proposta di Rossella Calvi

Tutte le immagini  sono tratte dal Web

L'ULTIMA LETTERA di Daniela Bonifazi - Maria Laura Celli - Mivia Di Michele - Cecilia Bonazzi



L'ultima lettera

La ragazza era visibilmente spaventata. Gli occhi infossati persi nel vuoto, le occhiaie evidenti e un pallore quasi cadaverico mettevano in risalto il profondo turbamento che attanagliava il cuore di Sara. A nulla era servita  un anno prima la precipitosa fuga dalla sua casa, dalla sua città, dagli amici. Avrebbe dovuto cambiare la sua identità forse, avrebbe potuto recarsi in un posto più remoto, avrebbe… cosa? Non riusciva a pensare razionalmente, le mani tremavano e gocce di sudore le imperlavano la fronte. Furtivamente si avvicinò alla finestra e guardò fuori, di nuovo. L’uomo era sempre là, oltre la strada, in piedi. La fioca luce del lampione gli illuminò il volto, non abbastanza da identificarlo con certezza, ma sufficiente per rinnovare le sue paure. L’incubo non era finito… lui l’aveva trovata, ne era certa! Il cuore sembrava volerle uscire dal petto. Mille pensieri si affollavano nella mente, brividi avvolgevano il suo esile corpo, mille domande senza una risposta si accavallavano turbinosamente. No, non poteva  permettere che la sua vita fosse ancora una volta sconvolta da quell’essere ignobile. Lentamente si allontanò dalla finestra che le proiettava, quasi fosse un film, il suo angoscioso passato. Fece un respiro profondo, nel tentativo di riprendere il controllo dei suoi pensieri e soprattutto delle sue azioni. Doveva essere lucida ora, riflettere prima di agire. Sì, agire era inevitabile se voleva sottrarsi a quel rinnovato incubo, ma questa volta non poteva fare tutto da sola. Aveva bisogno di aiuto. In un anno i suoi contatti col mondo esterno erano stati limitati all’essenziale: sporadiche uscite e sempre dettate dalla necessità. Accadde un giorno un evento del tutto casuale, che tuttavia cambiò radicalmente la sua condizione di quasi reclusa in quella angusta stanza che era riuscita ad affittare ad un prezzo modico. Certo non poteva permettersi un alloggio più confortevole date le sue esigue finanze. Un mercoledì aveva conosciuto Marco, un uomo dall’aspetto gentile che l’aveva salvata dalle malevole intenzioni di un teppista che stava per strapparle di mano la borsa. Sarebbe stato tremendo per la donna. Dei risparmi di mesi di lavoro non erano rimasti che pochi euro, ma di vitale importanza per lei. L’uomo le aveva offerto il suo braccio e un caffè. Si era poi presentato ed avevano fatto un po’ di conversazione. Marco ispirava simpatia e fiducia e a quello seguirono altri incontri, sempre nello stesso bar. Sara era stata costretta ad uscire più spesso nell’ultima settimana, in cerca di un lavoro  che le permettesse di andare avanti, e passando davanti al bar era divenuta consuetudine fermarsi una mezz’ora col suo prezioso amico. La vita forse poteva riservarle qualcosa di buono, dopo tutto. Ma ora, mentre era là, seduta sul letto con la testa tra le mani, la sua mente vacillò: “Come è possibile che mi abbia trovata?  Cosa devo fare? Pensa…pensa! – si diceva stringendo i pugni – Devo trovare una via d’uscita! Marco! Forse Marco può aiutarmi! È l'unica persona di cui possa fidarmi.” Più pensava e più si convinceva che l'unica àncora di salvezza fosse chiedere aiuto al suo nuovo amico, l’unico della sua seconda vita. Prese il cellulare, lo guardò pensierosa, ancora insicura, con le mani che le tremavano. Lasciò passare ancora alcuni istanti, poi lo accese e compose il numero. - “ Marco…ti prego di scusarmi se chiamo ad un’ora così tarda, ma…” – e la voce della donna fu rotta dai singhiozzi e dalle lacrime che, irrefrenabili, le bagnarono le gote.  -“Sara…calmati! Che ti è successo?” Suoni inarticolati arrivarono all’amico che, senza indugiare, esclamò:”Sarò da te tra dieci minuti, a quest’ora non troverò traffico. Hai capito? Arriverò presto…sta’ tranquilla!” – e, afferrate le chiavi della macchina, l’uomo si precipitò fuori dal suo appartamento. Doveva raggiungere al più presto quella ragazza straordinaria che era entrata a far parte della sua vita e l’aveva riempita di nuove speranze. Marco provava per lei sentimenti che andavano ben oltre la semplice amicizia, ma non aveva mai trovato il coraggio di esprimerli. In fondo era così poco tempo che si frequentavano e lui aveva timore che una sua mossa azzardata avrebbe rovinato quel rapporto che ogni giorno si faceva più saldo e bello.
Quando Sara udì bussare alla porta trasalì, scuotendosi da una sorta di stato catatonico in cui versava ormai da parecchi minuti, quelli trascorsi dopo la telefonata a Marco. La donna si alzò di scatto col cuore in gola, una mano sulla bocca forse a frenare l’impulso di gridare, il terrore del dubbio. Chi c’era fuori?  -“Sara, apri!” – la voce familiare e rassicurante la rincuorò. Aprì la porta e subito la richiuse alle spalle di Marco, tirando poi un sospiro di sollievo e gettandosi ancora tremante di paura tra le braccia dell’uomo, che la cinse con tenerezza. “Sei qui!” – sussurrò alzando il volto e carezzando con la mano la gota dell’uomo, che la guardò dolcemente e le sorrise, rassicurante: “Sono qui…non aver paura, non sei sola, di qualunque cosa si tratti, l’affronteremo insieme. Ora siediti e raccontami tutto. Devo sapere, lo capisci, vero? Non posso aiutarti altrimenti!” Sara annuì e lui la guidò fino al piccolo divano, versò poi dell’acqua in un bicchiere e glielo porse. La donna  bevve avidamente. “È una lunga storia. – disse guardandolo. “Ho tempo, non ti preoccupare!” –  commentò Marco con un sorriso. “Ok! – Sara deglutì e sospirò - Dopo il diploma mi sono iscritta all’Università, facoltà di medicina, con l’intenzione di specializzarmi in neurochirurgia. È stato facile superare il test di ammissione, mi ero preparata molto bene, grazie anche all’aiuto di una dottoressa che conosco benissimo, in verità il chirurgo che ha operato d’urgenza mio fratello Luca dopo un terribile incidente stradale. Lui era in moto ed ha riportato lesioni gravissime. Dopo il delicato intervento per quindici giorni gli sono rimasta sempre accanto, parlandogli, facendogli ascoltare la sua musica preferita, pregando che si svegliasse e tornasse da me, ma una fredda e nebbiosa mattina di dicembre il mio Luca se n’è andato. Giurerei che un attimo prima di spirare le sue labbra si fossero schiuse in un sorriso appena percettibile, come se si sentisse a casa finalmente. E forse era davvero così, forse aveva finalmente trovato la pace e la serenità che in vita gli era preclusa, nonostante i suoi sforzi di fuggire da un incubo che perseguitava lui e me da tanti, troppi anni. Ci facevamo forza a vicenda e insieme tentavamo di andare avanti, sperando ancora in un futuro migliore. Sola! Ero sola e svuotata di ogni energia, della volontà di continuare a vivere con quel dolore lancinante che mi spaccava il cuore. La dottoressa Mariani fu di grande conforto, mi affidò alle cure di un suo collega psicologo che mi aiutò almeno in parte a  superare il trauma della perdita di quel ragazzo meraviglioso che era stato per me fratello, amico confidente e che amavo incondizionatamente. Emma, la dottoressa,  continuò ad essere presente nella mia vita, andando ben oltre i suoi compiti di neurochirurgo ed assumendo il ruolo di protettrice. Anche lei era rimasta sola dopo la morte del marito. Non avendo figli mi ha adottata. È stato grazie a lei se ho deciso che il mio futuro sarebbe stato la medicina. Volevo salvare vite, se possibile, quante più vite potessi. -“Questo ti fa onore, mia cara. Ti guardo negli occhi e vedo sofferenza, paura, ma anche la straordinaria forza che ti ha dato coraggio finora. Non mollare proprio adesso Sara. Non mollare!” – disse con voce carica di sentimento Marco. - “Parla ancora con me Sara, sento che c’è dell’altro, qualcosa di terribile che ancora non mi hai detto…confidati se vuoi che riesca ad aiutarti. Ti prego…abbia fiducia!”La donna alzò lo sguardo, smarrita, tornando alla realtà. Si rese conto che aveva parlato più per se stessa che per Marco.  Improvvisamente sentì di nuovo quella fitta, la prova della sua  perdita  totale di fiducia in tutti. Sì in tutti, anche in Marco. Chi era in fondo quell’uomo? Lo conosceva appena. Come aveva potuto pensare che lui potesse aiutarla?  Sara era stata tradita troppe volte e sempre da chi diceva d'amarla, perfino dalla madre...quella volta...tanti anni fa...Era piccola allora, e l'episodio le sembrò grave solo per la sua tenera età. Non riusciva a capire tante cose, non comprendeva perché la sua mamma non c’era più, e neanche il suo papà. Lei e Luca vivevano in una strana casa, dove c’erano tanti altri bambini; dormivano in grandi stanze con tanti letti e mangiavano tutti insieme. Un giorno suor Cecilia le si avvicinò e le disse che sua madre sarebbe venuta nel pomeriggio: “Dovete prepararvi per uscire, tu e il tuo fratellino. – disse – Vieni, andiamo a prendere Luca.” Sara volle a tutti i costi indossare il suo vestitino preferito, di chiffon rosa con le balze e aspettò, aspettò insieme a Luca, eccitata all’idea di andare con la sua mamma alla festa di Primavera. Allora non se ne era andata per sempre! Era tornata a prenderli. Il suo cuoricino era colmo di gioia. Ma il tempo passava. Oh, quanto a lungo aveva atteso, seduta con le manine in grembo, fiduciosa. Ma lei non venne…non venne!  La delusione fu cocente, ma Sara non pianse. Non aveva più lacrime e voleva proteggere Luca. Era così piccola, ma quel pomeriggio la bimba scomparve. In qualche modo si era trasformata in adulta. Smise di sperare e di aspettare, ma non di porsi domande. Ricordò la vita di prima, di poco tempo addietro. Ricordò le liti familiari, la sera in cui trovò sua madre che piangeva silenziosamente, per non farsi sentire, la porta sbattuta poco prima e le grida sconnesse di suo padre. Da adulta vera ora poteva supporre che si fosse ubriacato, come sapeva succedesse quotidianamente, e fosse andato probabilmente a puttane dopo aver preteso dalla mamma i pochi euro che lei era riuscita a risparmiare.
Da quando  aveva perso il lavoro, la sua compagna era diventata la bottiglia, la rabbia e l’odio. A farne le spese la moglie e i figli, vittime della sua frustrazione e dell’incapacità di reagire alle avversità della vita.   “Mamma l'aveva lasciato proprio per questo?” La donna se lo chiedeva, ma sapeva che gli abbandoni non avvengono mai da una parte sola, che ci si lascia in due, ognuno va per la sua strada incurante delle ripercussioni psicologiche della loro decisione sui figli. Nella mente si susseguirono dei flash back, come innumerevoli proiezioni in 3D su uno schermo cinematografico, facendole male, ferendola. Si accavallavano episodi e sogni mescolando i loro confini, confondendola, come quando da piccola andava sulla giostra, quella veloce per gli adulti e quando scendeva, dopo ogni giro, provava la terribile sensazione di essere travolta da un vortice e poi cadere in un baratro senza fine. Di certo c'era un filo che però doveva unire il tutto, sentiva che c'era un filo...che tuttavia le sfuggiva, quasi mimetizzato dentro immagini e voci confuse. Sara si distolse dai suoi pensieri: “ Perdonami Marco, ancora non riesco a dirti niente. Se puoi, stammi vicino.” Era così disperata! Marco le carezzò i capelli, aggiustò una ciocca scomposta. – “Vieni qui!”- le disse, e la strinse forte tra le braccia. Sara restò per un attimo dentro il caldo di quell'abbraccio, rilasciando i muscoli tesi e alleggerendo i pensieri... un lungo attimo in cui s'illuse di potersi affidarsi all'amico, poi lo allontanò da sé con delicatezza, accarezzando il bavero della sua morbida giacca e  il petto, finchè la sua mano sentì qualcosa di duro nella sua tasca destra, qualcosa di cui comprese la forma. Infilò la mano e trasse fuori una calibro 38 nera, lucida e fredda al tatto.
Lo stupore si unì a una sorta di soddisfazione, per la conferma dei suoi dubbi. – “Avevo ragione! - disse  a voce alta, ma rivolta a se stessa - Mai fidarsi...mai fidarsi!”  Marco si precipitò a dirle: - “Non è come pensi, Sara!”
“Non ti avvicinare! Stai lontano da me!” – urlò la donna.
“Calmati, ti prego. Non ti fidi più di me ora ? Solo perché porto un’arma regolarmente registrata? Posso proteggerti, sono qui per questo.”
Sara non disse più nulla, restò a fissarlo come se volesse leggergli dentro, ma non ci riusciva, non sapeva più quale fosse la verità. Forse non lo aveva mai saputo, ora meno che mai. Teneva l’arma in mano e spostava continuamente lo sguardo dagli occhi di Marco al bavero della sua giacca. Non sapeva più cosa fare, cosa dire, cosa pensare. Poteva fidarsi di lui e chiedergli di aiutarla a liberarsi di quell’uomo che in strada attendeva, oppure lasciare tutto e scappare, fuggire nuovamente da tutto e da tutti.
-“Sara, ascoltami”- disse di nuovo Marco.
Ma  Sara non voleva più ascoltare nessuno. Continuava a stringere tra le mani la pistola e non sembrava intenzionata a lasciarla andare, era un’ opportunità, forse l’unica o l’ultima, un’opportunità per difendersi finalmente. Non poteva lasciarsela sfuggire.
-“Sara…- riprese Marco –Hai sofferto molto, ma questo non significa che tu debba fuggire ogni volta che ti senti minacciata o pensi che qualcuno possa ferirti nuovamente. Tu devi ascoltarmi!”
- “Ma tu che ne sai!”- sbottò Sara mettendosi a girare pericolosamente per la stanza con l’arma in mano, al culmine dell’agitazione. “Tu che ne sai di come ci si sente? Come puoi dirmi cosa devo o non devo fare?”
- “Sara. Ti prego, calmati!”-  sussurrò gentilmente Marco.
-Tu che ne sai? – ripetè la donna -  Pensi di sapere tutto di me? Pensi di conoscermi, di conoscere la mia odissea?”
- “No, Sara io…”- tentò di replicare Marco, ma lei non l’ascoltava. In preda all’isteria si muoveva a scatti, e  puntava la pistola verso di lui o in altre direzioni senza rendersi conto di ciò che faceva e continuava a ripetere le stesse domande come un disco che si fosse incantato.
Era evidente che la ragazza si trovava in uno stato psicologico che non le permetteva di rendersi conto  della pericolosità dei suoi gesti, ma Marco non si stancava di tranquillizzarla e di cercare di riportarla in sé. Ancora una volta le si rivolse con calma e con un tono suadente: -“Sara, nessuno vuole farti del male, siamo qui solo per aiutarti.” A queste parole Sara si fermò nel mezzo della stanza, con gli occhi sgranati. Il tremore delle sue mani divenne più evidente e si diffuse a tutto il corpo.
- “Siamo ? Tu… e chi? Quell’uomo in strada! Siete complici!”- e puntò la pistola decisamente contro Marco.
- “ Sara no!- alzò la voce Marco – L’uomo in strada è un mio amico.”
- “Non è vero! - urlò Sara – Non è vero! Lui, lui… non so chi sia…o forse sì…mi stai mentendo...”- e si interruppe, ma non distolse la mira.
-“ Invece devi credermi, e se ora ti siedi e ti calmi ti spiegherò. Ti prego. Se avessi voluto farti del male ne avrei già avuto l’opportunità. Pensaci…è un po’ che ci frequentiamo e mai, mai ti ho mancato di rispetto, nonostante i miei sentimenti che ormai credo siano palesi. Mi hai chiamato tu, ricordi? Perché lo avresti fatto se in fondo al tuo cuore non avessi pensato che potevi avere fiducia in me? Ti prego…” – continuò Marco tendendole la mano.
Sarà guardò l’uomo negli occhi e vi lesse sincerità e amore. D’un tratto si sentì spossata e barcollò, lasciando cadere le braccia e chiuse gli occhi. Marco la sostenne e le tolse l’arma con cautela: “Non temere…vieni Sara, – aggiunse guidandola dolcemente fino al divano – ti prendo dell’acqua.”
La donna bevve, accorgendosi di avere la gola riarsa. Paura, sgomento e confusione si alternavano in lei, ma ora si sentiva meglio. Alzò il volto a guardare Marco con aria interrogativa, e aspettò.
“D’accordo…è giunto il momento della verità. Devi sapere che il nostro primo incontro non è stato casuale; l’uomo che ti ha aggredito era un mio collega. Sono un poliziotto, Sara. Avevo bisogno di accorciare le distanze tra noi, per proteggerti meglio.”
“Come…come sapevi che avevo bisogno di protezione?”
“Tua madre…sì lo so che pensi ti abbia abbandonata, ma non è così, credimi. Ascolta, – l’uomo frenò la reazione di Sara inducendola a tacere appoggiandole un dito sulle labbra – circa due mesi fa si è presentata da noi una donna, il viso emaciato e gli occhi infossati. Si capiva che non stava bene. Il destino ha voluto che fossi io a prendere la sua deposizione o meglio…denuncia. Mi ha raccontato che molti anni or sono aveva chiesto il divorzio da un marito alcolizzato e violento. Il suo piano era di tenerlo nascosto, anche a te, e fuggire con i suoi figli il più lontano possibile da quella vita assurda. Vi amava moltissimo entrambi. Purtroppo la sera in cui, approfittando dell’assenza di tuo padre, ti disse che avreste fatto una bella vacanza, aprendo la porta si trovò davanti il marito, completamente ubriaco, che la spinse in casa urlando di portargli da bere. Lo ricordi, Sara?”
La donna annuì: “ Non sapevo cosa fare, ero in preda al panico, aspettando la sua reazione. Mi…ci picchiava sempre quando rincasava in quelle condizioni, ma quella sera mia madre reagì, per difendermi. Lui allora la colpì ancora e ancora e quando si accorse della valigia perse ancor più il lume della ragione, poi la spinse fuori dalla porta d’ingresso gridando: “ Fuori di qui sgualdrina…fuoriii! Se ti rivedo ti ammazzo hai capito…vi ammazzo tutti!”
“Lo so…lo so…tua madre me l’ha detto.”
“Ma perchè non tornò a prendermi? Da quel giorno Luca ed io vivevamo  nel terrore, prigionieri nella nostra casa, in balìa di quell’uomo che non posso chiamare padre. Un padre dovrebbe essere qualcuno di cui potersi fidare, non un aguzzino violento e vendicativo…sì, se la prendeva con noi per il fallimento della sua vita e del suo matrimonio. Piangevamo di paura e ricordo che avevamo sempre fame. Il più delle volte non si ricordava neanche di darci da mangiare, e quando lo faceva erano solo avanzi che raccattava chissà dove. Una sera non tornò. Mio fratello e io rimanemmo abbracciati tutta la notte, tremando per il freddo. Il mattino dopo io aprii la porta di casa e uscimmo in strada. Ci sedemmo sui gradini esterni e…non ricordo molto bene cosa accadde dopo, solo che ci ritrovammo in quello che ora so essere un orfanotrofio. Non ho più visto mio padre…fino a un anno fa, quando il mio incubo si è materializzato nuovamente. Ma perché mia madre scomparve se mi voleva bene?”
“Non lo fece, Sara. Dopo che tuo padre la cacciò di casa era distrutta e vagò senza meta e senza sapere cosa fare. Finì per strada, vivendo di elemosina. Mangiava quando poteva e dormiva ovunque potesse trovare un riparo. Ma non vi abbandonò mai, non del tutto. Si teneva a distanza, per paura di vostro padre che aveva giurato di ucciderla se solo avesse osato ripresentarsi dinanzi a lui, ma vegliava su di voi da lontano. Le bastava vedervi al di là dei vetri delle due uniche finestre della vostra casa. Perse la capacità di agire con razionalità, altrimenti avrebbe potuto chiedere aiuto, ma la sua mente era perduta in un limbo senza fine. Solo sporadicamente ricordava chi fosse. Una mattina fu trovata semiassiderata su una panchina del parco e ricoverata in ospedale prima e in una casa di cura poi. Nel frattempo tu e Luca avete vissuto in orfanotrofio fino alla tua maggiore età, che aspettavi con ansia per poter organizzare una nuova vita per tuo fratello e te. Trovasti un lavoro e una camera in affitto. Poi l’incidente di Luca, l’adozione della dottoressa Emma, l’università e…il ritorno di tuo padre. Ma questa è storia recente, la conosci. Sai che lui era scomparso all’improvviso perché era stato arrestato per omicidio volontario dopo che, ubriaco fradicio, aveva picchiato a morte una donna che somigliava a tua madre e…a te Sara. – disse indicando su una piccola mensola una foto incorniciata che ritraeva la mamma della ragazza da giovane. Stessi occhi, capelli e lineamenti della figlia.-  Dopo quindici anni di detenzione era uscito di prigione per buona condotta. Buona condotta! Da non credere! Aveva abbindolato tutti, poichè in cuor suo covava ancora rabbia e odio contro il mondo intero per la vita che era stata rubata a lui e a Luca, della cui morte aveva avuto notizia da un secondino. Non ebbe pace finchè non riuscì a ricomporre il mosaico, a sapere dove fossero finite sua moglie e sua figlia, che riteneva responsabile della perdita del figlio. Mi dispiace, tuo padre aveva dovuto seguire un programma di disintossicazione dall’alcol in prigione, ma una volta uscito ricominciò a bere e la sua follia riemerse. Non riusciva ad accettare con razionalità quanto accaduto, rifiutava ogni spiegazione logica e ha cominciato a odiarti con tutte le sue forze. Il suo unico figlio maschio…morto! Sfruttò le sue vecchie conoscenze e rintracciò tua madre. La minacciò, ma ben presto si rese conto che la donna non sapeva nulla. Alla fine riuscì a trovarti.”
“Sì…riuscì a trovarmi. – sussurrò Sara – Non era cambiato affatto, la prigione l’aveva indurito ancor più anzi. Non aveva più alcuna tutela legale su di me, ma non gli importava. Giurò che mi avrebbe ripresa, con la forza se necessario. Emma mi aiutò a fuggire e venni in questa città. Ma dimmi di mia madre, ti prego.”
“Fu sempre la dottoressa che, avendo scoperto che tua madre era viva e stava meglio dopo le cure del centro psichiatrico, le indicò come raggiungerti. Purtroppo lo scoprì anche tuo padre, non so come.”
“E’ stato terribile risentire la sua voce al telefono mentre urlava che non mi sarei mai liberata di lui, che me l’avrebbe fatta pagare. Era inconcepibile per me tutto quell’odio che mi gettava addosso. Vivo  nel terrore da allora. Quando ho visto l’uomo laggiù in strada ho creduto che fosse lui.”
Sara guardò Marco con aria interrogativa.
“Tua madre ha deciso di rivolgersi alla polizia e…ha trovato me. Era in stato confusionale e il suo racconto è stato frammentario, anche se ho capito la situazione. Ho deciso di darle il tempo di riprendersi. Ho  telefonato al convento delle suore Benedettine, pregando la Madre Superiora di ospitarla per la notte. Non aveva che da attraversare la strada, il portone era già aperto e suor Margherita la stava aspettando, ma il destino ha deciso diversamente…un autista distratto l’ha investita. È morta Sara! La tua mamma è morta. Solo la morte poteva impedirle di raggiungerti e proteggerti. Ora è con tuo fratello Sara, e sono certo che entrambi veglieranno sempre su di te. Non è riuscita a dirmi il suo nome, un indirizzo, non aveva documenti con sé e questo mi ha impedito di identificarla subito, ma poi l’assistente del medico legale incaricato dell’autopsia ha trovato  una busta tutta accartocciata in una tasca della sua giacca. C’era scritto: Per mia figlia Sara. Conteneva un indirizzo, il tuo, e una lettera per te, che non avrebbe mai spedito, desiderando tuttavia che tu la leggessi. Sapeva bene che non poteva avvicinarsi alla tua casa, temeva per la sua e la tua incolumità.  Ignorava che tu e Luca foste finiti in un orfanotrofio e che suo marito fosse un assassino. Sentiva il bisogno di esprimere tutto il bene che vi voleva, il suo rammarico per non aver potuto fare nulla per salvarvi da quella belva umana che un tempo era stato un marito e un padre, aveva bisogno del tuo perdono Sara, con la speranza che questo terribile segreto fosse svelato a qualcuno che ti potesse salvare. Sara, quel messaggio è arrivato fino a me, il destino ha voluto che fossi  io a prendermi cura di sua figlia, anzi, ha fatto di più, ci ha unito, perchè io ti amo... E tu Sara? Mi ami tu?” Sara era rimasta ad ascoltare in silenzio. Si perse nello sguardo adorante dell’uomo. L'amava, certo che l'amava. Dagli occhi  sgorgarono  lacrime, l'emozione la travolse, ma era ancora troppo tesa e impaurita per dirglielo e inoltre c'erano ancora particolari da sapere. – “Perché mi state proteggendo? No…non dirmi che mi ha trovata!”
Marco sospirò: “ Tuo padre non è in sè, lo sai, altrimenti non potrebbe desiderare il tuo male...il male della propria figlia.
Ma è ormai convinto che tu sia la causa di ogni suo guaio, che tu sia indemoniata, e che il diavolo sia entrato in te per distruggere la sua famiglia. Ti ho già detto che ora sa che vivi in questa città, ma non dove abiti. Ha fatto di tutto per rintracciarti, e per il suo comportamento che rasentava la follia è stato ricoverato in manicomio, ma ne è fuggito da un po' di giorni, sa nascondersi mascherandosi continuamente, andando in giro soprattutto di notte, cercandoti. Il suo dottore mi ha spiegato che è ad uno stadio estremo di pazzia e che non fa più solo propositi di scongiuri nell'ombra, vuole definitivamente liberarsi del suo nemico infernale, di te Sara… ammazzandoti. Per questo devi essere protetta.”
“MIO PADRE!. ..MIO PADRE!... MIO PADRE!...- Singhiozzò la ragazza battendo i pugni sul divano e fissando il vuoto.”
“E’ una vittima piccola, proprio come te. Vittima della follia che ha stravolto la sua mente e guidato le sue azioni. La violenza non è mai giustificabile, ma devi capire che tuo padre è un uomo che va aiutato. Non è sempre stato così. Ho fatto delle indagini, interrogato i vostri vicini e i vecchi amici dei tuoi genitori. Mi hanno detto che il matrimonio dei tuoi genitori è stato felice i primi anni, ancor più quando siete arrivati tu e tuo fratello. Il primo giorno che tuo padre rientrò ubriaco a casa, in un orario del tutto inusuale, tua madre non sapeva come gestire quell’uomo che inveiva contro tutto e tutti, poi cominciò a tirare oggetti dappertutto, rompendo vetri e fracassando mobili. Quando la tua mamma tentò di fermarlo, di farlo calmare, lui la colpì in pieno volto facendola cadere e si accanì su di lei con calci e insulti. Era fuori controllo. Il signor Ferri, il vostro vicino, accorse immediatamente, ma tuo padre non lo fece entrare. Gli intimò di non intromettersi in faccende che non lo riguardavano. L’uomo fu incerto sul da farsi. Voleva chiamare la polizia, ma poi decise di aspettare. Non udendo più alcun rumore rientrò in casa e…non fece nulla. “Tra moglie e marito non mettere il dito!” – pensò quel vigliacco.
“Ma cosa successe poi?” – chiese Sara.
“L’alcol rese tuo padre inoffensivo per molte ore. Si addormentò sul divano. Tu e Luca per fortuna non eravate in casa, ma al nido, dove vostra madre vi portava ogni mattina per poi andare al lavoro nella panetteria della signora Camilla, per contribuire al bilancio familiare. Quando fu in grado di rialzarsi, dolorante e confusa dagli ultimi assurdi avvenimenti, si ricompose e nascose un occhio tumefatto dietro un paio di occhiali scuri, poi venne a prendervi. Aveva paura di tornare a casa, ma disse a se stessa che doveva esserci una spiegazione valida e voleva sapere. Perciò tornò.
“Credo di ricordare vagamente quel giorno…la mamma era silenziosa, non rideva come di solito. Sì…ricordo. Ci abbracciò così forte da farci male e poi ci diede del gelato per merenda. Poi tutto la situazione è diventata sempre più difficile…A volte di notte avevo un incubo ricorrente: ero nel bosco e vagavo nell’oscurità, senza meta...quando all’improvviso un branco di lupi famelici mi circondava. Ringhiavano e mi mostravano i loro denti aguzzi. I loro occhi erano come infuocati e io mi mettevo le mani sul viso e urlavo…urlavo…Mi svegliavo sudata e piena di terrore, e la mamma era accanto a me e mi rassicurava. Ora mi sembra di rivivere quell’incubo…solo che al posto dei lupi è mio padre che mi minaccia, e la mia mamma non c’è a rassicurarmi.”
“Ci sono io amore…ci sono io…risolveremo tutto vedrai. Ora devi riposare, sei esausta.” – e Marco fece distendere la sua dolce ragazza sul letto e la coprì amorevolmente. Gli occhi e la bocca di Sara si chiusero, lasciandola cieca e muta, in balìa della stanchezza e del dolore che la ragazza provava per tutto ciò che le era stato negato nella vita. Poi il sonno ristoratore prevalse su tutto.
Quando riemerse dalla nebbia e il ritorno alla coscienza la riportò alla realtà, la giovane sobbalzò gemendo, disorientata. Ma aprendo gli occhi vide Marco seduto accanto a lei, come faceva la sua mamma quando doveva scacciare i lupi della sua fantasia. Il ragazzo le sorrise: “E’ tutto finito Sara…l’abbiamo trovato!...Tuo padre!...Non hai più motivo di aver paura…Il tuo incubo è finito!”
“Che cosa accadrà ora?”
“Nascosto da qualche parte in quell’uomo c’è ancora il padre amorevole che ti voleva bene, prima che il demone della follia si impadronisse di lui. Forse…col tempo e le cure potrà riemergere dall’ombra. Bisogna credere che ogni essere umano sia recuperabile.”
Marco prese tra le sue le mani di Sara e le baciò con tenerezza. Poi le porse la lettera che sua madre le aveva scritto e, accarezzandole il viso, si allontanò.
Sara la tenne qualche secondo tra le mani, poi la portò al volto e sentì l’odore della sua mamma, quella buona fragranza che la metteva di buonumore ogni volta che l’abbracciava. Aveva il profumo dei bei ricordi. La rivide assorta, seduta in cucina mentre scriveva e scriveva…Alzava lo sguardo e le sorrideva quando lei, piccola, le chiedeva cosa stesse facendo. “Scrivo una lettera, amore.” – rispondeva. Ne scrisse così tante. Chissà che fine avevano fatto? Ora aveva in mano la sua ultima lettera.
 Con gesti calmi e misurati la ragazza aprì la busta, ne estrasse il foglio e cominciò a leggere.

Mia dolcissima Sara,
 la vita è stata dura con te, con tutti noi, nessuno escluso. Avrei voluto evitarti tutte le sofferenze che hai dovuto patire, avrei voluto essere più forte, proteggere te e tuo fratello. Vi ho amato più d’ogni alta cosa al mondo e nulla è cambiato. Sono morta anch’io dentro quando ho saputo che il mio Luca non c’è più, il mio tenero frugoletto che non ho visto crescere, così come non ho visto te, mio tesoro. L’oscurità mi ha avvolto per tanti, troppi anni, ma ora finalmente ti ho ritrovata e so che stai bene. Ci rivedremo presto bambina mia, te lo prometto. Ti starò accanto e ci sarò di nuovo quando avrai paura dei lupi, sarò lì ad asciugarti le lacrime, a lenire le ferite della tua anima, ti cullerò tra le mie braccia. Ma prima farò ciò che devo, per proteggerti. Perdonami se non l’ho fatto prima.  Questa volta non esiterò bambina mia. Non dovrai mai più avere paura, né fuggire di nuovo. Sarai al sicuro. A presto.                                                              
                                                                                                  La tua mamma che ti adora
  
Sara non era abituata a manifestare le sue emozioni davanti agli altri, ma si lasciò andare. Marco la lasciò piangere sul suo petto e la strinse a sé, ogni tanto le baciava i capelli. La ragazza sentiva una sensazione di vuoto e di pena, ma pian piano si lasciò trasportare da un sentimento nuovo, meraviglioso, da cui era sopraffatta. Il futuro era pieno di promesse.



Daniela Bonifazi - Maria Laura Celli - Mivia Di Michele - Cecilia Bonazzi

Le immagini sono state tratte dal web

Il SEGRETO DI PULCINELLA di Milvia Di Michele-Cecilia Bonazzi-Serenella Menichetti-Maria Laura Celli-De Gaetano Francesco-Stefania Galleschi-Daniela Bonifazi-Rossella Ceccarelli

Questa poesia ha vinto il premio "Creatività" alla prima edizione nazionale del Concorso "PULCINELLA ERRANTE" di Cava dei Tirreni 

Disegno tratto dal web

Il segreto di Pulcinella
Un bel giorno ti sei annoiato
dal tuo mondo te ne sei andato.
Sei arrivato tra luna e stelle
dove son io con le mie sorelle.
Pulcinella mio, te ho aspettato
che girovagando vai per il creato.
Di te molte cose ancora non so,
ma se non le so, le conoscerò.
Intanto siedi su questa nuvoletta
e dimmi quel che il cuore ti detta.
Vuoi davvero scoprire cosa c’è
in questo cielo che piace tanto a me?
Davvero vai in giro cercando i sogni?
Su, dillo pure! So che non ti vergogni!
-Vergognarmi? No di certo, lo sai!
Dunque, la mia storia ascolterai.
Son Pulcinella con il naso curvo
son grande signore vestito da servo
e dietro una mascherina tutta nera
c’è un animo puro che sempre spera
che la povera gente abbia un po’ pace,
anche se chi dovrebbe difenderla tace.
Io fo piroette per poter camuffare
tutta la voglia che ho di strillare:
che non va bene, che così non va,
che domani il sole ancor splenderà,
e sarà un sole che illuminerà tutti,
i poveri, i ricchi, i belli ed i brutti.-
Mio dolce Pulcinella per te scenderò
da questo cielo in cui rifugiata sto,
tra questa luna e le mille stelle
in compagnia delle mie sorelle,
e ogni giorno arriva ancor qualcuno
che sulla terra starebbe a digiuno.
Qui si mangia però solo fantasia...
Dite la vostra, che ho detto la mia!
Chi c’è qui intorno
Che mi dà il buon giorno?
Una mano ti porgo
e il mio sguardo m’accorgo
si rivolge a te che ti rifugi
e osservi dai pertugi
 questo cielo pieno di stelle.
Siamo anche noi fratelli e sorelle,
e a te mio caro Pulcinella
che salti di stella in stella
piroettando fra sogni e realtà,
dico sì, è vero,
il sole splende sul mondo intero.
Perciò usciamo, balliamo e cantiamo
fra questa musica tenendoci per mano.
Musica soave è la vita
e tutti quanti ci invita
ad osservare, assaporare, amare
tutte le cose, anche quelle amare,
spesso son proprio quelle
a far notar la luce delle stelle.
Ora Pulcinella è giunta l'ora di andare,
chiudi gli occhi e comincia a sognare.
Dentro ogni sogno troverai un paesaggio
dove vive chi ha ancora il coraggio
di lasciarsi andare ai sogni e al cuore
anche se a volte ha qualche pudore
di mostrare le sue nascoste debolezze
in cambio soltanto di carezze,
o del sorriso di un bambino
incontrato lungo il cammino,
che dopo avergli narrato la sua storia
di lui sempre porterà memoria.
Oh! Vivere dentro il cuore di fanciullo
grande sogno che da sempre cullo!
E Pulcinella chiude gli occhi e vola.
Hei!...Voi di Fantasia...chi lo consola?
Son io, son nonna Serenella,
di cui la parola “consola” è sorella.
Chi è mai che dev'sser consolato?
Pulcinella? “ Di cosa è crucciato ”?
Lui, che fa magie con una piroetta
più di una fata con la sua bacchetta?
Dai Pulcinella, la vita è spesso dura,
ma non conviene averne paura.
Togli un momento la maschera nera
e osserva intorno la natura vera:
il mare, il cielo, i prati, i fiori
e, il sole nostro, che genera gli amori.
Prendiamoci a braccetto o per la mano
e a recare allegria al mondo, andiamo!
Partiamo errando, insieme troverem la via,
se a guidarci sarà la nostra fantasia!
Essa ci condurrà dove scarseggia la speranza
ci infonderà il coraggio di affrontare la distanza
e quella voglia pazza di donar felicità.
a ogni creatura che proprio non ne ha.
Su, coraggio fantasiosi amici,
chi parlar vuole ci renderà felici!
Bene! Allora tocca a me
state pronti…un due e tre!
Felicità a te, a noi, a tutti
che siam belli o che siam brutti,
Pulcinella dal naso adunco
che sei un burlone mi convinco;
vesti di bianco come un gran signore
ma la bellezza è dentro al cuore,
e allora canta da mattino a sera
che la speranza poi si avvera
affinché le parole da tante mani scritte
non vengan chiuse in buie soffitte
ma volino lontane, insieme al vento
a rasserenare ogni lamento
di bimbo, adulto, giovane o anziano
lievi come carezze nella mano.
Dov’è andato Pulcinella?
È sparito! Oh, questa è bella!
No, tranquilli l’ho trovato,
il suo entusiasmo è rinomato!
Uhé,uhé,uhé!
Ma cos'è?
Per le strade, per la via
s'ode un frastuono di allegria.
Pulcinella è arrivato
sì,è lui, ben mascherato !
Con modestia e senza pretese
si presenta in lingua calabrese
Sugnu cà, paesà,
Pulcinella col babà.
La Calabria è a terra mea
ricca di fiori, mare, montagne
e tanto amore…cà nun se piagne!
A Tarantella mò balliamo
in calabrese e napoletano.
Sono maschera Napoletana
e la mia terra è italiana.
Di tutto il mondo son cittadino
il mio linguaggio è genuino
non serve interprete per l'allegria !
Musica, danze e fantasia:
son la lingua più chiara del mondo.
Ed a chi dice che son vagabondo
regalo lazzi e piroette
in cambio, un piatto di polpette!
Oh perbacco è già svanito,
sono alquanto avvilito!
Ma che pretendi caro mio,
il viaggio è lungo, lo dico io!
L’ha proseguito senza indugi
lasciando tutti mogi mogi!
Eccoti, eccoti finalmente,
quanti pensieri ho nella mente!
Qua al nord a lungo t’ho aspettato,
e, finalmente sei arrivato.
Guardando intorno col volto strano,
hai detto: “Mo’ so qui a Milano”!
E, quando per caso hai scorto il sole.
Hai detto: “Ma’ccà nun chiove”!
E la nebbia cercando con cura,
non ne hai trovata tra bastioni e mura.
Se Totò diceva che con la nebbia non si vede,
la nebbia allora c’è, ce devi crede”!
Poi in piazza Scala alla fine sei approdato,
ti sei guardato intorno ed hai esclamato:
Ma guarda ‘sti polentoni,
prendono in giro noi terroni,
la chiamano la Scala di Milano,
ma dov’è, ch’è tutto in piano”?
Di lì al Duomo è proprio un passo,
in mezzo ai piccioni, maronna mia che spasso!
Hai guardato a lungo, in alto, la Madonna,
e t’è venuta in mente la tua nonna,
che diceva mentre ti abbracciava:
Tu po’ cagnà la piazza, la città,
u’ paese e la campagna, u’ mare
e a’ montagna ma da’ retta a me
Pulicinella, a Maronna nun se cagna,
a’ Maronna è sempre quella”!
Questo viaggio stanca assai
e non ho mangiato mai”!
Presto presto devo andare
in un bel posto a desinare.
E che aspetti caro amico?
Vieni! Son io che te lo dico!
Pulcinella saltellando
gli Appennini sta varcando,
dalla cima scende a valle
con il sole alle spalle.
In Romagna e a Bologna le lasagne
con fettuccine come compagne,
pane e salame per la gran fame,
cappelletti, tortellini e zampone.
S’è abbuffato il gran mangione
e gli viene un gran pancione.
Dalla via Emilia al West”
L’è semper prest
E se a ghe ancor un gos ed lambrusc,
anca al rest al garà più gust!
Dal Po alla Pietra, dove fece meta
anche il Sommo Poeta
e sulle strade della gran Contessa
arriviamo alla Duchessa;
il formaggio è sempre pronto
e me lo mangio senza sconto.
La via è lunga, lo so, devi andare
ma ti prego, non ci dimenticare.
Saremo qui sempre ad aspettare
che tu presto decida di tornare,
con un bicchiere di lambrusco
che a te piace…ti conosco,
e una fetta di mortadella.
Torna presto Pulcinella!
Salutando con la mano
è deciso ad andar lontano,
se con noi proseguirai
molte cose tu saprai!
Pulcinella ha un gran segreto
che ha nascosto sotto un vigneto
ogni volta che l’uva matura
racconta a tutti la sua avventura.
Io un dì lì mi ero nascosta
( ve lo giuro, non l’ho fatto apposta!)
e ho sentito che non era uno solo,
ma mille Pulcinella avevan preso il volo.
Chi era qui e chi era andato là
e chi con me ora parla qua.
Per questo ognuno egli ascolta e vede.
questa è la verità, pure se non ci si crede!
Io ti credo, sai, davvero,
puoi ben esserne sicuro.
Ora scusa devo andare,
non posso farmi “seminare”!
Anche in Toscana lui è arrivato,
sulle verdi colline è atterrato
egli chiede perché le persone
mangian la C in un sol boccone.
Dalla sua voce stridula e chioccia
un bel pensiero comunque sboccia:
" Sono felice di essere qui
da voi gente senza la C
a portare un po' di allegria
con i miei salti in mezzo alla via,
siate felici dell'esistenza,
nei giorni tristi portate pazienza.
Per tutti il sole un dì spunterà
insieme a un po' di serenità
E un sorriso riesce a strappare
col suo buon senso popolare
quel malizioso burattino
nato a raffigurare un “pulcino”
Pulcinella, aspetta, sei un po’ pazzo,
per starti dietro ci vorrebbe un razzo!
Dalle stelle fino in Toscana
sulla testa una bandana
e via di corsa fino a Roma
che ben conosce la sua fama!
Anche lì perdon qualcosa,
sì, la erre poco s'usa,
ma non è poi un gran male
se ci pensi e ascolti un tale:
guera dice sai per guerra
forse per salvar la Terra
da una pratica insensata.
Accidenti a chi l'ha inventata!
Pulcinella stravagante
se ne va in mezzo alla gente
saltellando a più non posso
con nasone tutto rosso.
Non si ferma un istante
passa pure in Piazza Dante
e facendo "MARAMEO"
giunge pure al Colosseo!
"Che emozione! Che clamore!
Vieni fuori, gladiatore"!
"Anvedi quello, ma chi è"?
"N'artro matto! Se crede re"!
E la gente assai divertita
per la gran botta di vita,
grandi applausi gli regala.
E' il suo giorno di...gala!
Quanta strada! L’ora è tarda,
fermati maschera, sei testarda!
Non lo vedi…il sol tramonta,
è il riposo ciò che ora conta!
Però io ho un po' di paura
per il buio e la notte scura.
Dove sei dolce Pulcinella?
Mi hai lasciata sulla mia stella
che si è spenta e ora son sola,
rimasta nel buio senza una parola.
Io credevo tanto nella tua amicizia
invece forse tu hai solo furbizia.
-Calma, Pulcinella ora ti tiene la mano.
Guarda! Ti canta pure piano piano
una ninna nanna per farti dormire
perché domani tu vorrai ripartire.
Dunque riposa serena, e sulla Terra,
all'alba il sogno tuo forte afferra.
Portalo nel tuo abruzzese campicello
e seminalo spargendolo al venticello.
Andrà un po’ in terra e anche in mare
Che di te qualcosa possa restare,
perché sei seme buono di un sogno
e di un soffio potente c’è gran bisogno,
per raggiungere volando sui quattro venti
ogni paese... e far tutti felici e contenti!-
Via e via tra monti e valli,
senza potestà né vassalli,
senza elmo ed armatura
solo in mezzo alla natura.
Sai, di te ho un bel ricordo
te lo dico se no fai il sordo!
Ho indossato in un dì festeggiato
di Pulcinella il bianco vestito.
La maschera sugli occhi
la gonna sopra i ginocchi,
sulla testa il cappello pendeva
e sotto la treccia si nascondeva.
Era giocondo tutto quel tempo,
avveniva quasi in un lampo.
C’era la piazza di periferia
e tanta gente in allegria;
nel quartiere pisano più popolare
c’era il cuore del carnevale.
Senza ognuno esser se stesso
si sapeva giocare a più non posso.
C’erano i bimbi e la famiglia
tutti attorno a quel parapiglia.
Ma sotto le vesti di quel Pulcinella
si intuiva un' anima bella.
C’era la gente di quel rione
convenuta per stare insieme.
E tra un grande tumulto
viaggiava il sentimento,
seppure alla periferia
la Torre non era lontana dalla via
e il bianco marmo d’un Miracolo di Piazza
si beava di quella forte brezza.
Per un giorno si compiaceva
D’essere ammirata come diva.
La sera il quartiere riposava,
nei sogni il giorno si dimenava.
Pulcinella allegro e scherzoso
si era per loro reso prezioso.
Ma tanto tempo è ormai passato
nessun l’ha più rivisto, né sentito.
La treccia forse si è accorciata
e altra vita si è poi dipanata.
Al tuo mondo torna Pulcinella,
di certo la tua gita è stata bella,
son certo che spesso sognerai
ogni posto che visto tu avrai.
Ti saluto adorabile burlone,
e ti stampo un bacio sul nasone!
Fai i bagagli Pulcinella
ché t'aspetta la tua stella,
essa ha tanta nostalgia
della grande tua allegria.
Avventure hai vissuto
e di certo ne hai goduto,
ma ora è tempo del ritorno
prima ancor che faccia giorno.
Presto presto, o tu ben sai
che la tua stella non troverai,
c'è e non c'è, ma non la vedi
se il sole l'occulta, cosa credi?
Dunque concludi il tuo viaggio
forza, su, ci vuol coraggio!
Tutto ciò di cui hai memoria
nel tuo cuor avrà una storia
nel tuo mondo potrai sognare
Pulcinella, che sai molto amare
Dentro il mio cuore ti porterò
e mai, mai… ti dimenticherò.
Pssttt!
(Però il segreto del mio Pulcinella
È la cosa per me più bella
Dentro ogni cuore lui se ne sta
E voi direte – che ci farà?-
C’è per chiunque lo vuol guardare
Per chi,come lui sa molto amare …
Il suo viaggio non avrà mai fine
E supererà sempre ogni confine
Che sia notte o che sia giorno
sempre da noi farà ritorno!)

Autori: Milvia Di Michele-Cecilia Bonazzi-Serenella Menichetti-Maria Laura Celli-De Gaetano Francesco-Stefania Galleschi-Daniela Bonifazi-Rossella Ceccarelli