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"LO SCIALLE DI SETA" di Menichetti Serenella



Lo scialle di seta

Rita dormiva nel suo letto. Il volto sereno come quello di una bambina chissà cosa stava sognando in quel momento....suo malgrado si svegliò.
Il sole entrava dalle feritoie delle finestre, il suo bagliore rifletteva nelle gocce del lampadario scomponendosi in una miriade di luci colorate, formando sulla parete un prezioso luminoso ricamo. Rita come ogni mattina si soffermò a guardare quegli affascinanti ghirigori che le ricordavano le decorazioni dei vasi cinesi.
Il sogno aveva lasciato in lei una gioia immensa, ed una dolcezza, che non assaporava da molto tempo.
In un attimo grigi nuvoloni coprirono il cielo e la luce si spense. L'angoscia tornò ad albergare nel suo animo. Ricordi neri, le sfilarono davanti come fotogrammi.
Tutto era precipitato, quando Rita aveva scoperto di aspettare il bambino.
Doveva abortire, non c'era altra via d'uscita tutto poi sarebbe tornato come prima.
Si ricordava quando aveva salutato Tatumi, il cui sguardo disperato le era rimasto nel cuore. Le aveva dato quel pacchetto incartato con tanto amore che lei non aveva nemmeno guardato.
Si era diretta in quel laboratorio in uno dei vicoli di Bangkok, senza pensare. Era entrata come un'automa, ciò che era accaduto dopo, non le apparteneva. Poche ore e si era liberata per sempre.
Il giorno seguente aveva preso l'aereo ed era tornata in Italia. Lasciando tutto alle sue spalle.

Si infilò frettolosamente la vestaglia, scacciando quei pensieri e rabbrividì Poi accese la Moka aspettò che la bruna aromatica bevanda, suonasse la musica di sempre, si versò due tazze di caffè bollente, si cambiò, mettendo un paio di jeans e la felpa glicine. Subito dopo si mise al lavoro. Il pennello intriso di colore, accarezzava la pura seta bianca, rianimandola. disegni armonici uscivano da quei pennelli, per entrare nella delicata trama di quella preziosa stoffa, facendola brillare di una luce magica.
Rita doveva terminare, alcuni scialli da sera che le erano stati commissionati, da una famosa casa di moda da consegnare indiscutibilmente quello stesso pomeriggio.
Lei, amava moltissimo il suo lavoro, che svolgeva senza grossi sacrifici, anzi quel rapporto con il colore, le forme l'armonia, contribuiva a rilassarla. Mentre era occupata nelle rifiniture suonò il campanello della porta. Lalla, la gatta acciambellata sul cuscino si svegliò di soprassalto emettendo un miagolio scomposto, i peli le si rizzarono sul corpo, facendola assomigliare ad un grosso riccio. Rita, guardò dall'occhio della porta e notando che era la vicina di casa aprì. Emy la giovane ragazza asiatica che viveva nell'appartamento di fronte era leggermente agitata, diceva di aver fatto un brutto sogno. Rita intenerita dalla sua aria smarrita la fece entrare offrendole un succo di frutta, che Emi bevve tutto di un fiato, poi si mise a parlare del sogno che l'aveva sconvolta. Raccontava di draghi, di creature capaci di trasformarsi in animali, di stregoni, di maledizioni e di lupi mannari. Rita la ascoltò, notando il lato comico che emergeva da quella strana conversazione, soprattutto mentre Emy raccontava confusamente il sogno, con il suo buffo accento . Pensava di scoppiare in una grossa risata da un momento all'altro, ma il terrore che le lesse negli occhi la trattenne dal farlo e lasciò che la ragazza si sfogasse. Quando finalmente i suoi occhi si acquietarono, Rita, tirò un sospiro di sollievo. Le propose di rimanere a farle compagnia, mentre lei dipingeva. Quindi riprese i pennelli mentre Emy si mise ad osservarla tranquillamente. Appena terminate le rifiniture al disegno su uno scialle di seta, Rita lo mostrò ad Emy, era venuto un bellissimo lavoro, di cui essere fiera, il fiore fantastico da lei creato era una meraviglia così circondato da arabeschi dorati, sembrava un grosso medaglione decorato. “Allora Emy, che ne dici, ti piace?” Chiese Rita mostrandole, lo scialle terminato. Emy fissava l'oggetto in modo curioso, poi impallidì, dalla sua bocca uscì un grido soffocato, si buttò sul divanetto a righe gialle e respirò. I suoi occhi a mandorla erano ancora più terrorizzati di quando era arrivata. Rita non riusciva a capire per quale motivo adesso fosse così ulteriormente spaventata. Emy poi, ammiccando lo scialle, disse: “ E' uguale, è identico a quello che indossa la ragazza del sogno. “Ancora quel brutto sogno”disse Rita." E' venuta a trovarmi avvolta da quello scialle e la cosa spaventosa è che in braccio teneva un feto. Ho ancora le sue urla nelle orecchie e quello scialle con quello strano fiore non lo dimenticherò mai.” Rita era un po' scossa, da tutto ciò e continuò ad esserlo mentre Emy aggiungeva nuovi particolari. Diceva che la ragazza le narrava di essere vittima di una maledizione ad opera di uno stregone taoista e la implorava di aiutarla, però subito dopo svaniva mentre il suo scialle volava in alto nel cielo, rimanendovi come un aquilone, senza filo." Infine, Emy si svegliava, sudata e piena di agitazione, rimanendo per tutto il giorno nell'angoscia per non aver saputo dare un aiuto a quella ragazza. Un incubo che si ripeteva, lasciandola spossata.

Due occhi verdi intanto, assistevano sconvolti alla scena, leggendo 'inquietudine e disperazione negli occhi di Emy e sconcerto in quelli di Rita.
All'ora di pranzo, la giovane decise di tornare in casa, salutò l'amica e se ne andò. Rita si mise a fermare la stampa dei dipinti, era in preda all'inquietudine, ma doveva terminarli.
Gli occhi verdi fissavano i suoi movimenti, con astio e rabbia, “ Come era stato possibile sopprimere freddamente una vita.” pensava la creatura dallo sguardo magnetico. Come la odiava! La sua rabbia era dovuta soprattutto al fatto di non essere stata in grado di procreare.
Era riuscita però a trovare il modo di placare la sua ossessione, di raggiungere quello che era diventato l'unico scopo della sua esistenza. Riuscendo a raggiungere quel barlume di felicità, pagato duramente.
“Lei che in fondo aveva dato il suo aiuto ad una moltitudine di ragazze, “di sciagurate” lei così definiva coloro che le si rivolgevano, per liberarsi di quelle potenziali creature definite, niente altro che delle palle al piede.
Era riuscita a farsi impiantare nel suo utero quell'embrione. Per questo, poteva ringraziare lui, Jeff, suo collaboratore in quel laboratorio. Impianto riuscito.
“Dove non arriva la chirurgia, arriva la magia” soleva spesso ripetere quel mago/chirurgo.
Lei era nata: splendida creatura, bella, sana. Un anno di enorme felicità insieme. Finché quel mostro di jeff, era intervenuto.... Un sortilegio l'aveva ridotta così, solo perchési era rifiutata di condividere un'esistenza sentimentale con lui.
Così, quando la piccola ebbe un anno, dovette lasciarla.... Aveva assistito a quella scena, affranta, invisibile e impotente. Gli assistenti sociali, erano venuti a prelevare la sua bambina, strappandogliela dalla culla, avvolgendola nel suo scialle di seta.

Rita, intanto piegava i capi pronti, quando si diresse nell'altra stanza per prendere la carta ed impacchettarli, la creatura si sedette sulla sedia vicino al tavolo e vide lo scialle, con dipinto il talismano. Era sul tavolo davanti a lei! Ebbe un sussulto, la fessura dei suoi occhi si spalancò e ricordò le parole di Jeff:- “Solo quando ritroverai lo scialle riprenderai le tue sembianze.”
Come avrebbe fatto a sottrarlo a Rita? Pensò. Capì che era quello il momento di agire, quindi con un balzo lo tirò giù dal tavolo. Lo scialle cadde a terra adesso, assomigliava ad un grande uccello con le ali spalancate. Così lo trovò Rita. Esso aveva perduto la sua freschezza, quindiì lo raccolse e lo pose sulla spalliera del divano decidendo di consegnare solo gli altri.
Quella circostanza favorì la creatura che, appena Rita uscì di casa, approfittò per saltare sul divano. Lo scialle le cadde sul corpo, avvolgendola interamente. Pochi minuti di attesa ed il sortilegio svanì e finalmente tornò, nei suoi panni. Ed uscì per sempre da quella casa.
Rita, dopo aver consegnato i lavori tornò a casa. L'accolse un insolito silenzio. " Dove si sarà mai nascosta quella birba di gatta" si trovò a pensare. Dopo aver ispezionato in lungo e in largo, le stanze interne, decise di rivolgersi ad Emy. Suonò il campanello ma anche la vicina non sapeva niente dell'assenza della gatta. Rita colse l'occasione per invitarla a cena, Emy non se lo fece ripetere più di una volta. Pranzarono insieme in armonia, come si conoscessero da sempre. Emy era molto simpatica e Rita molto contenta di averla come vicina di casa. La giovane amica riuscì a distoglierla anche dal pensiero della mancanza della sua gatta che, sicuramente sarebbe tornata. Si salutarono, con la promessa di rivedersi l'indomani.
Rita, passò nel laboratorio per chiudere le persiane, lo scialle di seta bianca, da lei dipinto attirò la sua attenzione, disteso così sulla spalliera del divano, evidenziava tutto il suo splendore, il grande fiore di loto dipinto al centro sembrava vivo, tanto che a Rita parve di coglierne il delicato profumo.
Ed in un attimo decise che l'avrebbe tenuto.

Serenella Menichetti

"IL SOGNO PERDUTO" di Milvia Di Michele


Il sogno perduto


Assorta nei miei pensieri,cammino con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. Com’è bello il mare!
C’è nel colore azzurro qualcosa che lo rende unico, una sua capacità speciale: parla e accarezza morbidamente il cuore,la mente e l’anima.
Era così sognare? Era questo che sentivano gli antichi quando sognavano? .. Carezze sul cuore, nella mente,dentro l’anima ?
I sacri specchi li mostrano lunghe ore persi nell’atto di rigenerarsi : si muovono, a volte parlano nel sonno: tuttavia restano distanti dalla loro sfera attiva.
Di più non possono mostrarci: le costanti da inserire nei loro dati sono troppo varie e numerose. Il dott. Syun è riuscito ad ottenere delle simulazioni … ma è come sentire il rumore del vento che muove le foglie secche e poi dire che si sa cosa sia il vento!
Questa mia terra è così bella, ma la dicono malata, e dicono che questa sua malattia ci abbia causato la perdita della capacità di sognare.
Oh!Dolce Padre, spiegami ! Fammi capire non solo perchè l’abbiamo persa, ma … cos’è che abbiamo perso: cos’è il … “SOGNARE?”
Eccomi! Sono arrivata alla grande BOCCA. L’ingresso che conduce alla tua voce è un enorme fiore che sprofonda: so che avrò paura, che mi sentirò estraniata, persa. Ma non potevo non venire ad ascoltarti !
L’ora è tardi, ma quando tu chiami ,le ore sono ferme e la luce è fissa. Niente più cambia volto,niente scorre.
Il mio cuore solo batte, questo cuore che m’hai donato e che hai voluto non s’arresti mai.
Ed è lì che tu hai bussato, come un soffio ho sentito l’alito di Te…
Dolce padre , dolce Sogno …
OH!.. Perché mai t’ho così chiamato? Che significato ha questa parola nella mia bocca??
Vedi? La tua Anima sta raggiungendo la tua voce : oggi per me è un grande giorno, è il mio giorno della RIVELAZIONE. L’attendevo da tanto! Ho raggiunto la FOCE, qui spunta il grande fiore, la grande BOCCA.
La nube d’oro si è diradata lasciando libero il passaggio e la corolla grigia si è aperta per accogliermi, ma rendendomi inquieta: no, non è un fiore, non ha profumo e non vive … è … una gola profonda e affamata, farebbe paura .. se non fosse per la musica, questa dolce musica che più di una sirena mi fa muovere i passi verso la sua direzione. Mio dolce Padre : guidami! … E aiutami.
Ercole m’accompagna, non mi ha mai lasciata da quando me lo inviasti, ma non mi farà compagnia in questo viaggio. Il suo pelo è morbido, lo accarezzo prima di lasciarlo andare, sarò sola questa volta . Ecco ... sto toccando la corolla, tra un po’ mi sembrerà di morire, diventerò gas libero,ma nessuna mia cellula andrà persa, si ricomporranno nel ventre della terra.
Un’esperienza che non ho mai fatto, che ognuno vive una volta sola e la tiene per sé, senza poterla comunicare.
-Che meraviglia! Che brividi dolci! Perché mai avevo paura?-
Sono diventata musica! Sono io che suono con il mio corpo che si è trasformato in una miriade di dolcissime note vive e felici, che partoriscono un’ armonia musicale infinita e dilagante .
Ed io sono consapevole e vivo coscientemente la mia trasformazione.
Ora, lentamente, la musica evapora in luce, poi sedimenta colori ed io mi ricompongo in una sfera leggera e bellissima, più di una farfalla, più di un fiore, più di una stella.
Immaginavo di sprofondare in un buio profondo e invece … il fiore era una porta verso un altro universo, non la bocca di un ventre vorace, ma un bacio verso l’estasi.
-Dunque è questa la RIVELAZIONE!- il pensiero torna a formularsi nella mia mente, e incontra altri pensieri che sono sfere bellissime e felici come me, e penso: questo è IL PARADISO!
-No!- mi dice una dolce voce – Questo è il SOGNO! Ora che lo hai provato, portalo con te nel tuo mondo, ma non potrai regalarlo a nessuno, perché, solo chi viene a cercarlo spontaneamente, lo troverà!-
Ora sono tornata e porto con me IL SOGNO. Ma non posso darvelo, né posso indicarvi la via, perché quella era la mia porta, non la vostra.
Se volete anche voi IL SOGNO, non vi resta che mettervi in cammino.

Milvia Di Michele

Filastrocche e poesie gotiche



Filastrocche gotiche


Lalla Tosi
 Il tranello

Nel buio della stradetta
sporca e stretta stretta
Aberardo e la sua Giulietta
viaggiavan in gran fretta
Il marito ROMUALDO
geloso e codardo
poteva un tranello tendere
e farveli cadere...
Un bacio furtivo
un sorriso giulivo..
ma ecco un rumore..
Ah gran terrore,
in un attimo
arriva per primo
un losco figuro
che si trascina sul muro
E piomba con brama
sguainando una lama
La donna trafigge violentemente
e se ne fugge precipitevolissimevolmente..
Erano tempi oscuri
c'eran loschi figuri..
ma pur oggi è così
e si può ancora morir
in questo modo gotico
per colpa di chi è zotico!


Serenella Menichetti 
La cotica

Volevo scrivere una filastrocca gotica
quando saltellante arrivò una cotica,
voleva entrare per forza nel testo,
io non riuscivo a trovare un pretesto
per distoglierla da questa convinzione,
Lei non ascoltava nessuna ragione!
Allora gridai:
-Basta e non devi saltare sulla biro
non puoi entrare sei mica un vampiro,
questa filastrocca non è fatta per te
ma per fantasmi, streghe e qualche re, 
fossi stata una bistecca al sangue
ma sei pallida e molto molto esangue.-
Mi guardò di traverso, molto offesa
triste e rassegnata, si era poi arresa.
Fece dietro front e con tre caprioli
si rituffò nel suo tegame di fagioli. 


Dolce Glicine
Una "gotica" strofetta

- Ostregheta! -
esclamò un’ostrogota
quando vide suo marito
in un luogo malfamato
a trincar come un dannato.
Era sbronzo l’ostrogoto
come un fiol de visigoto!
Con un fare assai alterato
- Vieni a casa disgraziato! -
disse allora la mujera
digrignando la dentiera
- Ho bevuto solo un goto,
devi crederci, mio loto -
ma non fece in tempo a dire
per cercar di rabbonire
quella belva furibonda 
senza più la trebisonda
che arrivò uno sganassone
proprio in mezzo al suo faccione.
Or il sangue usciva a fiotti
da riempire tutti i gotti
per far festa coi vampiri
nelle notti dei sospiri
quando in ciel la luna è piena
e le streghe son di scena. 


Ecco fatto, è presto detta
questa “gotica” strofetta
e pertanto vi saluto
con la canna e con l’imbuto!


Lalla Tosi
L'ostessa
Nella larga cucinona
l'ostessa era andata di buon'ora
legna e cenere
da vendere
aveva tolto con fatica
e aveva pulito la cucina antica
Ora il marmo risplendeva
e la fiamma non accendeva
per non dover ricominciare
a lavare e risciacquare!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 

Daniela Trinci
Lo stiletto 

Nella notte buia
senza luna e senza stelle
illuminata solo
dal riverbero delle fiammelle
una fanciulla rasente i muri
avanza lesta
col cappuccio del mantello
calato sulla testa
a nascondere la folta chioma bionda
per non attirar l'attenzione 
di qualche ronda.
Sotto la gonna nello stivaletto
nasconde bene un piccolo stiletto:
con mano lenta lo prende
e se lo porta al fianco
proprio sopra la balza 
del suo vestito bianco,
tenuto stretto nella sua piccola mano
pronta a difendersi 
da qualche tipaccio strano.
Nel vicolo buio 
che puzza di sporco e di urina
scansando ubriachi a terra
prosegue la poverina,
decisa a raggiungere 
velocemente il suo scopo
senza pensare 
a quel che potrà avvenire dopo:
vuole raggiungere la dimora
del malvagio Antonello
che ha ucciso il suo amore
in un fatal duello.
Ma un'ombra le si para
davanti all'improvviso
e dalla paura la fanciulla 
sbianca subito in viso,
alla sua forza di coraggio, però,
fa subito appello,
alza gli occhi 
e si trova di fronte 
al malvagio Antonello,
che con ghigno feroce
allunga il braccio
per afferrarla e stringerla
come un forte laccio.
Ma la fanciulla con mossa svelta
brandisce lo stiletto
e gli sferra un colpo
proprio in mezzo al petto.
La sua vendetta così si è consumata
la morte del suo amor
è stata vendicata.
Scappa così di corsa
e lascia il malvagio morente
in quel vicolo buio, sporco e puzzolente.


Daniela Trinci
Il bene e il male
In un castello diroccato
in cima al Monte Nero
vivono il Conte Itan 
e un grosso omaccione
suo fedele scudiero.
Delle arti magiche
il conte ha fatto le sue virtù
che usa spesso per lo più
per soddisfare tutte le sue voglie
che altrimenti in nessun altro modo
lui si toglie
Brutto egli è infatti e malformato
e nessuna giovin donzella
l'ha mai guardato
con sguardo pien d'amore 
o di esaltazione
ma solo di ribrezzo
o di pura compassione.
Così è diventato
nei confronti delle donne
cattivo e malvagio
che se incroci per caso il suo sguardo
sarà triste presagio.
Il conte Itan di Aladrut s'è invaghito
ma lei non l'ha mai degnato
nemmeno d'un sorriso.
Aladrut è promessa sposa
al Duca Scadveìn di Sassoforte
pieno di beltà e coraggio
a cui s'aprono tutte le porte.
Una sera buia e pioviginosa
mentre Aladrut se ne torna a casa
scortata da una fedele damigella,
il malvagio conte rapisce la poverella,
aiutato dal suo fido scudiero
l'avvolge in un nero mantello
e la porta al suo diroccato castello.
Dentro una segreta
illuminata solo da una fiammella
al freddo e all'umido
rinchiude la poverella.
Ora egli può preparare
una pozion d'amore
da farle bere
per tenerla così legata alla sua vita
come una mano ferrea
che tiene il polso con le dita.
Ma mentre è lì
che prepara la mistura
entra di colpo Scadvein di Sassoforte
per liberar la sua sposa futura.
E dopo un duello all'ultimo sangue
il malvagio conte è trafitto
e ora giace esangue.
Aladrut dal suo amore è liberata
e subito a casa viene riportata.
Mentre fuori infuria la tempesta,
un fulmine colpisce il castello
dalla parte della foresta.
S'alzano bagliori e pietre
nel cielo di lampi tempestato
niente più rimane di Itan
e del suo castello diroccato.

Serenella Menichetti 
La ballata di Thalia

Tre bare spostate 
nel convento del frate
Un teschio rinsecchito
nel castello turrito
Una salma seduta
su una sedia panciuta

Il fantasma di Cecco
danza su uno stecco
in una notte di luna
Thalia sta digiuna

La paura la invade
nessun la persuade

Tre bare spostate 
nel convento del frate
Un teschio rinsecchito
nel castello turrito
Una salma seduta
su una sedia panciuta

Il fantasma di Cecco
cade dallo stecco
in una notte di stelle
Thalia fa frittelle

Si riempie la pancia
poi va sulla bilancia

Tre bare spostate 
nel convento del frate
Un teschio rinsecchito
nel castello turrito
Una salma seduta
su una sedia panciuta

Il fantasma di Cecco
getta via lo stecco
in una notte cheta
Thalia fa la dieta.

Mangia un insalata
poi cade ammalata

Tre bare spostate 
nel convento del frate
Un teschio rinsecchito
nel castello turrito
Una salma seduta
su una sedia panciuta.

Il fantasma di Cecco
riprende lo stecco
in una notte nera
Thalia si dispera.

Si mangia una torta
subito dopo è morta.

Tre bare spostate 
nel convento del frate
Un teschio rinsecchito
nel castello turrito
Una salma seduta
su una sedia panciuta.

Il fantasma di Cecco
ridanza sullo stecco
in una notte ventilata
finisce la ballata.

della povera Thalia
morta di malattia


Daniela Bonifazi
Il vampiro assetato

Nel castello buio fondo,
il silenzio è assai profondo.
Tutto tace, nulla s'ode,
d'improvviso ecco che cade
con un tonfo sordo e oscuro
un qualcosa d'assai duro;
è il coperchio d'una bara
ecco, s'alza una creatura
che con mosse misurate
si solleva a braccia alzate.
Bianco cereo la sua pelle
i suoi occhi fan scintille,
è famelico il suo sguardo
appar chiaro il suo traguardo,
delle vittime innocenti
sulle quali affondar i denti
sì, canini assai affilati
che dal sangue son chiamati.
Una notte di tormenti
si preannuncia per le genti
del paese addormentato
che sarà presto infestato
da un vampiro assetato!


Milvia De Michele 
Chi sono?

Presenze invisibili
animano la notte
mentre ulula alla luna
un Lupo nero disperato.
Chi sono?
Ho visto bianche lenzuola
sventolanti vagare
disperate nelle stanze.
Chi sono?
Pace cercando,
una scia di sangue
segna il percorso
di presenze indiscrete
In questo castello turrito
che in cima a un monte aguzzo 
lampi sinistri illumina.
Chi sono?
Chi siamo?
Io sono di quella famiglia
di invisibili dannati..
Ma voi..chi siete?
Voi che di giorno
usurpate le nostre stanze
dove di notte apriamo le danze
noi disperate anime vaganti...
ma ci raggiungerete tutti quanti!

Chi siete?


Daniela Trinci 
Il vampiro e la donzella

Quando nel silenzio 
mezzanotte rintocca
ecco che da ogni cuor 
subito terror trabocca:
se guardi in alto
lassù verso il castello
uscir dalla torre vedi
un grosso pipistrello
a concentriche spire
vola sopra la città
non c'è nessuno
che fermar lo potrà.
Egli ha già messo in atto
il suo fine e infallibile olfatto
e gira e gira 
fino a che finalmente
odor di sangue giovane 
ha fiutato tra tutta la gente.
Allora scende veloce in picchiata
e gli basta una sola occhiata
per veder da una finestrella
il collo lungo, perlaceo e ambito
di una giovin donzella.
La luna si riflette 
cinerea sul suo viso
e mostra il ghigno
dell'appuntito suo sorriso.
Gli basta un soffio
per aprir quell'inutile barriera
ed entra nella stanza
silenzioso come una cameriera.
Si avvicina al letto
dell'ignara dormiente
e già pregusta 
il sapor del sangue con la mente.
Allontana da sé 
i lembi del mantello
e si china sulla preda
come tenero arboscello;
e mentre s'appresta a dare
il morso micidiale
a quel collo bianco e teso
che riposa sul guanciale,
da sotto le coltri
la mano della donzella
afferra e tira una cordicella
alla cui estremità
un crocefisso
ben stretto legato sta.
Subito lo alza
agli di lui davanti
che inorridisce
e si tappa il volto
con gli immacolati guanti,
cerca di arretrare 
fino alla finestrella
per poi spiccare il volo
proprio da quella.
Ma la giovine 
che già sente la vittoria in mano
tiene la croce alta
per non farlo volar lontano,
e mentre prega 
il Signore a viva voce
capisce che lui 
ormai più non le nuoce.
Le forze lo abbandonano
si sente sempre più fiacco
come se qualcuno avesse
svuotato un grosso sacco.
La croce ancor s'avanza
e lui sempre più si china
fino a diventare 
una nera formichina.
Prende la donzella 
allora una ciabatta
sferra una botterella
e... la frittata è fatta:
del nero pipistrello
ormai non resta più
che una macchia sul legno
che pulir dovrai tu.


Poesie gotiche

Daniela Bonifazi 
Mostri senz'anima

In questa notte dannata
placherò la mia sete,
il dolce tuo nettare
avidamente suggendo.
Come trepida amante
a me t'abbandoni,
fremente il tuo corpo
di bramosia invaso,
immortale esistenza
desiando vogliosa.
Inerti le membra
le forze fiaccate
immobile giaci
su lugubre scranno.
Non pago ti lascio
nel buio vagando
in cerca di linfa
ancora ed ancora,
finché l'alba giunge
ed ha fine la caccia.
La luce s'avanza
mentr'io la rifuggo.
Per vicoli bui
rasentando muri
alfine raggiungo 
la tetra dimora, 
e lì ti ritrovo
cereo il tuo volto.
A me t'avvicini
le labbra incolori,
sulle mie indugi.
Tracce di sangue
follia son per te
che ancora confusa
ignori chi or sei.
Domani, prometto,
domani saprai.
E tu non rispondi,
il capo chinando
e a terra abbandoni
il tuo debole corpo.
Il volto sollevi,
mi guardi e sorridi.
Dei mostri senz'anima
fai parte anche tu!



Dolce Glicine
Canto lugubre

Canto lugubre
dis-peranza
Lenore, Lenore!
Mon amour, amour
Mai più, perché?
Più mai

La notte s’attorciglia agli occhi
in sospettoso sonno
sull’orrido tappeto in rosso sangue
s’allungano spettrali dita

rintocchi di passi cadenzati
al ritmo lento
di un fuoco lento
lento e spento vento
di pallida Morte in luna piena
di gratia plena.
Bieco un corvo
cieco 
rompe l’orribile silenzio
con gracchio fiacco
e poi più nulla.

Mai più, Lenore
più mai.


Serenella Menichetti 
Brindisi di Plenilunio

In questa notte di luna
che mi fa morire
abbracciato a questo
manto di tenebre
mi sento trasportare
lontano
in un sentiero occulto
che oltrepassa la vita
la materia si sgretola,
mi lascia.
Annientato,distrutto,
stordito, vagando
ti cerco...

Due calici scarlatti,
pieni fino all'orlo
traboccano.
Macchia purpurea
sul biancore di una
tovaglia immacolata
segna come un marchio
questo ultimo nostro
brindisi perverso.
La luna sfoggia in cielo
il suo biancore
E perle cadono:
sui tuoi capelli corvini,
sulla tua bocca di rubino.
sul tuo collo di seta.
Io, senza fiato, senza pace
ancora.
Voglio morderti
fino a svuotarti
l'anima...

Una sottile lama
di luce
si stacca dal mattino,
si riflette sul cristallo
di due calici vuoti
e, va a trafiggere
il pallore di un corpo
gelido: gli ultimi resti di
una notte di plenilunio.




















RICORDI PREZIOSI..Filastrocche e poesie



FILASTROCCHE


STEFANIA GALLESCHI
Il mio Angelo
Ogni tanto...
penso a quando
ancora piccolina
caro babbo
mi facevi una moina
mi dicevi una parolina.
Poi mi accarezzavi
e stretta mi baciavi
ti amo tanto 
ridendo mi dicevi
e se il mio pianto
rigava copioso il viso
di tutto facevi
per darmi il paradiso.
Ora ti dico in rima
ti amo come prima
anche se non ti vedo
ma vicino a me ti credo
che mi guardi angelo caro
coi tuoi occhi di cielo chiaro.



LALLA TOSI

Ieri sera ti ho cercato
e di te ho ricordato
il tuo incedere elegante
il tuo passo un pò esitante
i tuoi occhi mal vedevano
ma per me quanto ridevano..
quando mi cantavan storielle
di maghi e maghelle
quando vedevi esultante
il mio profitto eclatante
eri orgoglioso di quanro facevo
ed io lo sentivo e ridevo..
Ieri le nostre giornate
ho tanto ricordate.




POESIE



DE GAETANO FRANCESCO

Ti ricordi che caldo faceva in quel luglio del 2003?
Respirare si faceva fatica, persino soffrire, se possibile,
era più pesante.

Ti ricordi, ogni volta che venivo a trovarti,
mi chiedevi sempre di metterti le scarpe.

Volevi ad ogni costo andare a casa,
quello che ti dicevo non ti bastava,
volevi vedere di persona la mamma come stava.

Quelle scarpe, Papà, le ho conservate,
pulite, lucide, come nuove.
Perché, quando, infine sei partito, ormai non ti servivano più.

Le tengo care quelle scarpe, Papà, le ho qui con me
perché sono un ricordo di te.

Tuo figlio



LALLA TOSI

Ricordo il passo tuo stanco
arrivavi a fatica da me.
Ricordo la mano tremante
di chi si fidava e
dicevi mostrando gli esami:
che vogliono dire?
Fammi capire......
Ma certo dicevo con voce pacata
e iniziavamo la nostra passeggiata.
Sempre più breve ,sempre più lieve il tuo passo
strusciante ...oh mi sembravi
pesante.
Poi l'ultima pera..
e ..il tuo lieve lievissimo
Grazie!



MAURIZIA ZUCCHETTI

“Cara sorella” (maggio, 4 2010)
Vi accettavate
Vi comprendevate
Vi confrontavate
Vi confortavate
Vi tendevate la mano
Vi tenevate per mano
Sdrammatizzavate
Ne ridevate
da compagni
di sventura
Stringevate i pugni
nella solitudine
Condividevate
la forza interiore
Spartivate
la sofferenza
come buoni camerati
Partecipavi
la speranza
Ci sostenevi
tu
nel dolore
al tuo dolore
E quando il viaggio
ha cambiato rotta
non lacrime
hai lasciato
ma sorrisi
in chi ti ha amata
Non rabbia
hai domandato
ma gioia
per la vita
Per chi è rimasto
sei nei ricordi
viva
nei tuoi insegnamenti
Per te
che sei in viaggio
è la pace.




DANIELA TRINCI

Bianca luna che brilli
nel cielo scuro della sera
accogli per favore
questa mia preghiera,
tu che da sempre ascolti
le confidenze della gente
mostrando sempre a tutti
il tuo volto sorridente,
ascolta anche me
per una volta sola
e mandami presto un segno
che proprio mi consola.
Da quattro anni ormai
lui se n'è andato
senza dirmi un'ultima parola
mi ha lasciato:
eppure ero lì
seduta a lui accanto
che lo pregavo di non andare via
con voce rotta dal pianto.
Sicura che mi sentisse
“Forza babbo, resisti, devi farcela”
gli dicevo
anche se in fondo al cuor
il peggio io temevo,
perché l'immobilità del suo sguardo
perduto e ormai lontano,
quel suo respiro a scatti,
faticoso e strano
mi facevano capire
che indietro non poteva più tornare.
Gli strofinavo dolcemente le spalle
a infondergli un po' di calore,
gli sussurravo “ti voglio tanto bene”
con tanto tanto amore.
Non credo però
che mi abbia mai sentito
anche se ho pregato il Cielo
che lo abbia capito;
e ancora oggi
che pur del tempo è passato
non riesco a rassegnarmi
di averlo troppo presto perduto.
Perciò, mia cara luna,
se vedi in ciel la sua stella
digli di brillare
di una luce intensa e bella,
così io possa capire
che ora lui sta bene,
così una ragione io mi posso fare
anche se sempre vivo
sarà dentro il mio cuore.




ROSSELLA CECCARELLI
Bianche calle

Dentro ai miei fiori
vive un’anima persa
colei che un giorno ha vissuto
che ha rinnovato con cura
quei semi e germogli
risvegliati dal sole
dal continuo mutar delle stagioni
Poi un di’ si impose il destino
e sul finir di un palpito
il buio…
Ma non tutto e’ perso
non tutto si e’ dileguato nell’ombra
nel bianco manto avvolto
trafitto da oro pungente
colgo ancor care rimembranze
uno struggente passato
un anelante ricordo
Son fiori che mi lasciano pensare
che non fanno dimenticare
Ecco un’altra primavera
ed essi ci sono ancora spuntano di nuovo
una presenza che si rinnova
forse…
per non morire mai.



SERENELLA MENICHETTI
Amica
Dietro al bancone
volto di biscuit
pezzo unico
di serie bruciata
dal sole d'agosto.
Accogliente
occhi ammiccanti
offri caffè scuro,
in vetro trasparente
graziosamente con
mani di porcellana.
Sembri, una
grande Gheisha.
che serve il sakè
Pieghi con garbo
banconote che
poi lasci scivolare
nell'incavo di
seni candidi.
Il mare spruzza
in lontananza
in uno schermo
la sua schiuma,
odore di salsedine
rimane fuori.
Distesa di sabbia
dorata,non vedi.
Tu nel tuo mondo
di profumi brasiliani,
di avventori, esigenti
accogli,disseti,nutri.
Ogni mattina,
profumi di crema
e vaniglia nelle narici,
vedi sorgere l'alba
con pupille di luce,
La sera stanca,
l'odore pungente
di pizza ti scuote,
il sole intanto
si annega accaldato
nell'acqua del mare.
Tu,come ogni sera
detergi,lucidi
tavoli e stoviglie.
Grande Gheisha
stanca.
E' giunta per
te l'ora del
giusto riposo.
La camera tua
sopra il bar
ti attende,
un letto di lino,
ti accoglie,tra
fresche e candide
braccia.
Là fuori, in spiaggia
la gente frescheggia.
La notte è piena
di stelle,di vita,
La musica,impazza
cantando sguaiata.
Rimbomba.
Un pallido grido di
aiuto si perde con lei,
nessuno lo sente.
Tu povera Gheisha
stanca,poi subito
taci,aria ti sfugge,
ti lascia spietata.
La gola si chiude.
Il buio, ti spegne.
Nè albe dorate
nè luce di soli
annegati ormai
vedrai più.
Adesso che il
il corpo tuo pallido,
ingombrante,
di porcellana
giace fermo sul
pavimento scuro.
La tua anima vola
in spiagge di giada
in mari turchesi.
Danzando leggera
su cristallo marino,
fra albe di luce e
tramonti annegati.

E' così che io ti penso
mia giovane povera amica


MILVIA DI MICHELE
Dedicato a chi non si dimentica 
E poi ci sono quelle poesie che non hai mai letto.
Ti ho lasciato credere che celassero sospiri
e imbarazzanti frasi d’amore.
Poi, tu te ne sei andato.
Ora mi manca il tuo bussare alla finestra,
quando venivi da noi, la sera,
per informarmi, dicevi,
perché le donne devono sapere.
E tu, maschilista come mai,
pure mi portavi dentro casa il mondo,
e le pareti della cucina diventavano chiare.
-Non lavare i piatti! – dicevi
-Ascoltaci! E’ importante. -
E parlavamo di politica, di sindacato, di economia,
e infine, sempre di storie d’amore.
E si rideva … si rideva …
Ora ci sono queste poesie che non hai mai letto,
e mi manca la possibilità di dartele,
come mi mancheranno, l’estate vicina,
le sere calde, passate all’aperto,

sotto l’albero, in cerchio, davanti casa mia.




LALLA TOSI
Mamma
Chi sei?
Chi sei stata?
Chi sarai?
Frantumi di parole
movimenti inconsulti
attimi di quiete
ere di sofferenze
Uno sguardo che sfugge
un aggrovigliarsi di vecchi gesti
mi ricordano
il tuo piglio forte e sicuro...
Neppure tu..riconosceresti
te stessa.
Ormai non resta
che darti addio
non ho avuto tempo
no,non ho avuto tempo
non hai concesso tempo
non hai aspettato....
me.