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"L'AMORE MUOVE IL MONDO" di Daniela Bonifazi



L'amore muove il mondo


La luce m’investì all’improvviso così come il rumore delle persiane, impietosamente spalancate da mia madre che, ciarliera ed allegra come sempre, da un po’ blaterava senza che io riuscissi ancora a comprendere il senso di quel che diceva.
“Che ore sono”? – chiesi con voce assonnata e rauca, quasi provenisse dall’oltretomba, mentre lentamente iniziavo a realizzare che un nuovo giorno era nato.
“Sono le nove e mezza, principino, ringraziami per non aver fatto cantare il gallo alla solita ora”. – e avvicinandosi mia madre mi arruffò i capelli, gesto consueto al quale ero ormai abituato e rassegnato; era il suo modo per dimostrarmi l’affetto che nutriva per me, e che aveva sostituito il rituale del bacio sulla fronte, al quale mi ero categoricamente opposto dopo il compimento del diciottesimo anno.
“La colazione è pronta! Caffè nero e cornetto integrale, ideale per chi deve lavorare con la mente lucida. Ho visto la luce accesa fino a tardi ieri sera, dovevi essere proprio ispirato, eh! Dai tesoro, in piedi, o si raffredda tutto. Ti aspetto in cucina”! – e ciabattando uscì dalla stanza.
“Ispirazione! Dice lei…ispirazione”! – aggiunsi con un sospiro.
Sedetti sul letto, infilai i piedi nelle pantofole e rimasi come inebetito per qualche secondo, fissandomi allo specchio sulla parete, e vidi il mio sguardo…vidi il nulla!
“Ok, meglio andare, prima che torni armata di vassoio”! – pensai, e in pigiama scesi con calma le scale, non ancora del tutto vigile. L’aroma intenso del caffè mi guidò fino al piccolo regno di mia madre, dove ogni giorno ormai da cinque anni si cimentava nella realizzazione dei suoi “manicaretti”, come li definiva Don Guido, parroco del paese, che apprezzava non poco la torta alle mele o la crostata ai mirtilli, le focacce salate e infinite altre creazioni culinarie, in parte eredità di nonna Caterina, ma soprattutto frutto di ricette acquisite dai tanti programmi televisivi e della sua fantasia e creatività. Ebbene sì, mia madre era una cuoca coi fiocchi. Non v’era festa paesana alla quale lei non contribuisse con le sue delizie. La settimana che precedeva l’avvenimento era un continuo impastare, infornare, guarnire, confezionare…il tutto col sottofondo della sua voce squillante che canticchiava vecchie canzoni, patrimonio dei suoi ricordi. Non era sempre stato così. La morte di mio padre, otto anni orsono, l’aveva annientata, nella mente e nel fisico. Sembrava non avesse più una ragione per continuare a vivere. Chiusa ogni giorno nella sua camera sfogliava album di foto, carezzando con dolcezza quel volto tanto amato, mentre copiose lacrime scorrevano sulle sue gote. I ricordi affioravano ad ogni immagine: quell’estate in Sardegna dove, ancora ragazzi sorridevano alla vita ed essa a loro di rimando; l’estenuante escursione sul Massiccio del Monte Grappa che, per la sua morfologia, presentava un andamento più vicino al collinare che al montano; tuttavia mia madre, a metà scalata verso la parte sommitale, si era accasciata a terra e, tolti gli scarponi per dare sollievo ai piedi doloranti, si rifiutò di proseguire commentando:”Non c’è centimetro quadrato del mio corpo in cui non senta dolore! Aveva ragione Socrate quando affermò che se i nostri piedi ci fanno male, sentiamo il male dappertutto! Guarda le mie dita…sembrano wusterls”! – e mio padre, ridendo, si era seduto accanto a lei e, massaggiandole le povere estremità doloranti, le raccontava le barzellette più assurde per farle tornare il buonumore.
E poi il viaggio in Tunisia, a Djerba, altrimenti definita l’Isola dell’Oblio. Mamma spesso, rivolgendosi a papà, gli ricordava quel posto incantevole. “Tesoro – gli aveva detto in quell’occasione – ricordi quel passo dell’Odissea in cui si narra dell’approdo di Ulisse e dei suoi compagni proprio su quest’isola, dove incontrano il popolo dei Lotofagi”? E mio padre le aveva risposto:”Naturale! Alcuni di loro, imitando gli abitanti del luogo, si cibano del fiore del Loto e, catturati da questo paradiso terrestre, perdono per sempre il ricordo della Terra da cui provengono e della loro vita passata. Vorresti rimanere qui per sempre, mia cara”? – aveva poi aggiunto scherzando come suo solito. Mamma lo stupì, quella volta, poiché rispose con convinzione:”Uhmm…e perché no! Non sarebbe un’idea da scartare; ma ci pensi…niente più litigi con i condomini, clima mite anche in inverno e quindi niente reumatismi, lunghe spiagge costeggiate da palme, frutti esotici, una vita da sogno. Oh sì, mettiamo in vendita l’appartamento e trasferiamoci…facciamola qualche pazzia nella vita”! – e guardò l’uomo che le stava di fronte, con la fronte aggrottata, visibilmente preoccupato, finchè lei non scoppiò a ridere come una ragazzina, prendendolo in giro per la sua credulità. Quante foto scattarono durante quella vacanza! Le più esilaranti quelle in costume tradizionale in groppa a cammelli maleodoranti, tanto da indurli ad arricciare il naso, mentre si guardavano ammiccando, cercando di mascherare il disgusto. Avevano certe facce!
Oh, naturalmente non poteva mancare la prima foto di famiglia in tre, nella clinica in cui ero nato. E poi le tante, tante cose che, in tutta la casa, rievocavano la presenza di mio padre, e che mamma curava gelosamente come i più preziosi degli oggetti.
Anch’io avevo sofferto per la sua perdita, terribilmente. Ci univa un affetto incondizionato; fin da bambino l’avevo adorato, pendevo dalle sue labbra quando mi raccontava divertenti episodi legati alla sua famiglia, ai nonni in particolare, che alla veneranda età di novant’anni passeggiavano ancora mano nella mano nel parco cittadino, gustando un cono gelato, confondendosi con le giovani coppiette di innamorati. Oh! Se ho sofferto alla sua morte! Ma ho dovuto farmi forza, reagire, per poter sostenere la mia tenera mamma, divenuta così fragile e indifesa, svuotata di ogni energia e della voglia di vivere in un mondo del quale il suo compagno di vita non faceva più parte, se non nel ricordo.
Sono stati tre anni durissimi, quelli successivi al lutto, e sono tornato a vivere con mia madre, incapace ormai di gestire la propria esistenza. Se non le avessi preparato i pasti, avrebbe dimenticato persino di mangiare. Intanto continuavo a scrivere. Sì, sono uno scrittore. La mia avventura in campo letterario è nata durante il corso di laurea in Letteratura, Musica e Spettacolo. Una vera e propria passione la mia! All’età di trent’anni avevo già pubblicato tre libri di narrativa e una documentazione sugli effetti benefici della musicoterapia in bambini affetti da gravi forme di disabilità. Molti Dirigenti scolastici mi contattarono per la gestione di Progetti in varie classi, in cui erano presenti alunni con handicap più o meno importanti. I risultati veramente sorprendenti avevano entusiasmato docenti e genitori; era stato pubblicato su un giornale locale un ampio articolo sulla problematica in oggetto e sui vantaggi del metodo da me usato. Fu allora che mia madre ricominciò a vivere. Erano trascorsi circa tre anni da quando papà ci aveva lasciato. Una mattina, mentre stavo preparando la colazione, la vidi scendere le scale, vestita e pettinata con cura; mi si avvicinò e, toccando la mia mano che stava armeggiando con un cucchiaino e la Moka, mi disse sorridendomi:”Ci penso io, tesoro”! Commosso l’abbracciai e poi le porsi il cucchiaino. Da quel giorno non l’ho più vista piangere.
Mentre i pensieri erano scorsi velocemente, avevo raggiunto la cucina. Sulla tavola mi aspettava una tazza di caffè fumante, un cornetto, della marmellata di more preparata da mamma naturalmente, e un bricco di panna. Gustai la colazione e poi mi avvicinai a mia madre, che stava già programmando il pranzo e chissà quali altre delizie culinarie per la mensa dei bambini orfani, ospiti ogni mercoledì di Don Guido, che poi organizzava per loro giochi e attività manipolative, con l’aiuto di alcuni membri del gruppo Scout. “Mamy, non ti stanchi un po’ troppo ultimamente? Sei sempre indaffarata, mai un attimo di riposo…è un ritmo esagerato, non credi”?
Lei si volse verso di me, sorridendo. “Mio caro figliolo, mi rende felice far qualcosa per gli altri, lo sai. E’ la mia vita! Lascia che la viva con le piccole soddisfazioni che ne ricavo donando affetto a chi non è stato fortunato come noi. Tengo molto a quei bambini, lo sai. Anche tu sei venuto ad aiutarmi a volte, non ricordi quelle faccine piene d’entusiasmo? E la tua musica…rammenti? Li hai guidati sulla via della melodia e della serenità”!
“Hai ragione, come sempre! Sai cosa farò? Verrò con te oggi, è una così bella giornata! Potremmo organizzare dei giochi all’aperto, una caccia al tesoro ad esempio, anzi ho un’idea strepitosa: passerò all’orfanotrofio per avvertire la direttrice che questa notte ospiteremo i bimbi al campo Scout; stasera accenderemo un bel fuoco e, dopo aver cenato, ci siederemo tutti attorno al falò e a turno racconteremo loro delle storie e canteremo e balleremo perfino. Sarà una serata memorabile”!
“E il tuo libro? Non scriverai oggi? – chiese mamma.
“Il mio libro inizierà domani, e sai cosa ho deciso? E’ giunto il momento di scrivere un’autobiografia. Racconterò della nostra famiglia, dei nonni, di te e papà, della vita meravigliosa che mi avete donato col vostro amore, della straordinaria forza d’animo che hai dimostrato e di ciò che stai facendo per me e per gli altri. Racconterò tante di quelle cose…oh, se ce sono! E se per caso dovessi aver dimenticato qualche particolare avvenimento, tu sarai la mia fonte di informazioni, la mia Musa, la mia ispiratrice”!
E correndo per le scale, mi andai a preparare per quella lunga giornata. Mi guardai di nuovo allo specchio, fermandomi di colpo, e non vidi più il nulla nei miei occhi. Vidi tutta una vita scorrermi nella mente e non ebbi più paura. Il blocco che mi aveva frenato negli ultimi mesi, impedendomi di scrivere anche solo un titolo, si era dissolto. Avrei raccontato la…vita!

Daniela Bonifazi

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