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25 NOVEMBRE: GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Cosa dire della Donna che non si è già detto?
Donna... solo ed essenzialmente donna.

(Umberto Flauto)


EVOLUZIONE
(Serenella Menichetti)
Foto di Cecilia Bonazzi

Ero rigagnolo.

Diventai fiume d'argento
un giorno che mi ribellai.
Impossibile abituarsi al grigio.

Complice fu la pioggia.

Un varco nella nuda terra.
Sconfinai nell'azzurro.








...perché le donne siano davvero felici sempre, cosa che va a vantaggio anche dell'altro (o altri) sesso...
oggi, giornata dedicata alla lotta contro la violenza fisica e psicologica verso le donne
(Milvia Di MIchele)
 
Foto di Cecilia Bonazzi
ERA FELICE 
(Milvia Di Michele)


Era felice, disse, ma s'uccise, 
una sottana rossa lei si mise, 
si gonfiò come fosse il mio pallone, 
buttato, come lei ,dal suo balcone. 
Perchè lo fece? Questo non si sa, 
s'è sfracellata e dirlo non potrà. 
Era felice, come quando l'onda, 
mi porta a galla, e tutta poi m'affonda.




NON MUTAMENTO
(Serenella Menichetti)
 
Foto di Cecilia Bonazzi
E' vento di burrasca che spinge dentro rive impervie.
E' fuoco che fagocita le fiamme dell'inferno.
E il cielo apre le sue ali bianche e fugge.
I tuoi passi sono sordi alla luna.
I tuoi lamenti si perdono nel buio del tempo

Musica che non si nota.
E  tutto resta immobile
pur nella successione
degli eventi

La quiete le sue vittime miete.
Senza cambiamento di genere.
Sei sempre tu!

Non mutamento nelle menti
Seppure un movimento circolare
ripeta l'allora nell'ora
e il là nel qui.

Ma la colpa di non essere
come ti vogliono
rimane il tuo marchio
indelebile.

PRONTO SOCCORSO
(Eleonora Marchiori)

Questa sera mi sembra che ci sia meno gente del solito… la mia sedia agganciata alle altre è libera mi siedo…che fatica trascinarmi questa borsa. Bella però, chissà di chi era e soprattutto chi l’avrà buttata via. E’ pure firmata.
Amore lo vedi anche stasera siamo insieme qui dove ti ho visto per l’ultima volta. Ops..aspetta che mi faccio da parte..passa la lettiga. Oddio come sanguina quello lì.
Mi sembra di vedere te quando sono venuti a prenderti così imbrattato di rosso.
Mi dispiace tanto di averti fatto quello, mi sembrava che il coltello non ti avesse nemmeno toccato. Quel ceffone bruciava ed eravamo brilli come sempre. Non dovevi spintonarmi…non dovevi proprio.
Poi…non so.. mi sono addormentata e mi sono svegliata sul pavimento di cucina con te accanto, freddo come il marmo. Ricordo solo di avere urlato e di essere entrata in ambulanza ….e poi…lunghe giornate in uno stanzone con altre come me. Infermità mentale dissero, incapace di intendere e di volere…che volevano dire? Boh.
Sai oggi al Pronto ci sono la “contessa” e “il riga”…insieme a loro è entrato uno nuovo…ho sentito che lo chiamavano Vladi. Hanno parlottato con il Lima e si sono messi uno in qua ed uno in là. Ormai si sa come vanno le cose. Cerchiamo il caldo e passiamo la notte qui fingendo di essere come tutti gli altri.
Mi sono svegliata e ho visto la tipa di fronte ferma qui da tante ore che mi guardava. Penso abbia capito sai …mi ha sorriso debolmente. Ci ha guardati tutti…e si è stretta al marito. Aspettavano …un dottore.. qualcuno che desse loro notizie.
Si ha capito…senti un po’ perché non ci siamo voluti bene come loro due che stanno stretti stretti ad aspettare? Non era mica così fra noi all’inizio. Le difficoltà dovrebbero rinforzare le unioni non abbatterle. Non sei mai stato carino…le tue carezze erano solo per avere qualcosa in cambio. La miseria ci ha induriti..e siamo andati giù sempre più giù..
Dopo essere uscita da quel posto…sono venuta a cercarti qui anche se mi avevano detto che eri morto invece ti ho trovato che vagavi senza sosta fino a quando non mi hai riconosciuta. Ti sei fermato…Ti porto con me legato come un palloncino. Nessuno ti vede lo so ma a me non importa…ti ho ritrovato amore mio e questo mi basta. Mi trucco, bevo, mangio e te mi guardi anche se non sorridi…ma non importa sei il mio palloncino.
Foto di Elena Bonaccio



ELLA FU
(Serenella Menichetti)
Immagine tratta dal web

E continui a fissare la ragazza
della foto.
A cercare quella che era.
A sciorinar rimpianti.
Immagine sorridente, ferma, statica.
Facile bersaglio delle tue traiettorie trasversali.
Cieco, alla vita in divenire di quel sorriso.
A pezzi di occhi che reclamano di guardare
a modo loro.
Venti anni in quella foto.
Embrioni che s'impiantano e generano vite
nel tempo lineare degli eventi.
Aperto al seme della consapevolezza
anche la sua anima ha un utero

L'attesa ha una durata soggettiva.
Infilata in un tempo che si rincorre:
in un girotondo di morte e nascita -nascita e morte.
Attende l'autoparto.
Incontro- confronto-scontro
Senza epidurale.
Ed è RINASCITA
Ella fu.

LA FUNAMBOLA
Foto di Elena Bonaccio
(Serenella Menichetti)

In equilibrio su una corda tesa.

Sotto: precipizio.
Voragine d'un mondo che fagocita.
Troppi venti contrari ti sballottano.
Ad intaccar la corda, roditori voraci.

Affondi angosce, che dopo riemergono.

Bella la rosa che strappasti.
Rossa, come una ciliegia.
Denso di trasgressione il suo profumo.
Gocce scarlatte sulle mani scendono.

Tu, in bilico.

Per necessità funambola.
Nel vento volteggi, come carminio petalo.

A braccia aperte.

Rondine che non vola.
Passi lenti, misurati, attenti.
Equilibrista ancora, senza rete.





(Pasquale Mazzarella)

Svegliarsi nella quiete del mattino

nella notte stellata senza rumori
e sentire il canto dell' usignolo, 
fa pensare alla pace fra popoli.
Allor, beato sia il giorno in cui
da fratelli si scambi il BUONGIORNO



ANCORA NON HANNO CAPITO
(Serenella Menichetti)

Ti muovi tra panorami di universi nudi

in sussurri di passi.
Ogni rumore un sussulto.

Sei l'allodola non più messaggera
Immagine tratta dal web
del mattino.
Sei la farfalla senza pulviscolo
precipitata negli inferi.
Sei mamma rondine caduta
con l'insetto nel becco.
Sei la pianticella dalla furia
del vento divelta.

Contro il tuo petto: acuminate frecce!
Tante quante, pensano, siano le tue colpe.

Per tramutarti:
In ombra, alla ricerca del suo corpo,
in Robot all'obbedienza programmato.
In involucro vuoto, accartocciato.
Preso a calci,
per sfogare la cieca rabbia 
dovuta all' amaro risultato
dal confronto con te. 

Per sopprimerti:
Foto di Elena Bonaccio
una lama conficcata nel cuore.
Il colpo letale.
 Gioco da niente.

E benché il coltello venga sempre
loro offerto, dalla parte del manico.
Ti posso assicurare:
-La perdente non sei tu! 

Ancora, non hanno capito
che neppure il soffio della morte
riuscirà a spegnere la tua luce!


SGRADITO
(Franco Pulzone)


Perso fruire
d'armonioso fatto,
l'ardore sfuma
in cute appetitosa,
nega 
piacere spumoso,
all'amore ingrato.



AMAMI
Foto di Cecilia Bonazzi
(Agnese Paponi)

Riempi il tuo cappello
del mio vento
e viaggiami la pelle
in ogni luogo,
sprofonda nel mio abisso
e toccane il fondo
scordandoti
la strada del ritorno,
ti darò occhi nuovi
per guardare
il cielo del tuo mondo.



NON E’ IL MIO VOLTO
(Serenella Menichetti)

Un cerchio chiuso il mio spazio!
Inscritto il mio tempo.
Un boomerang la mia rabbia!
Corpo e mente legati a fili d'oro.
La mia povera anima annientata.

Ero forse un animale braccato? 
Ero la gheisha che s'inchina ai tuoi bisogni?
La tua preda? La tua concubina?
Ero solo la madre dei tuoi figli?
Un barattolo di miele che si butta dopo il nutrimento?

Adesso che spargo nel mondo margherite,
colpevole mi appelli?
Inadeguata, contro natura?
Senza istinto materno?

E' l'ora di stracciare quella foto
che hai preso nel cassetto di tua madre.
Quello non è il mio volto!

Per questo non mi devi condannare,
né devi ritenerti giustiziere.
Ma devi solo prendere coscienza
della vera donna che io sono.
E, innamorarti, un poco, anche di me!

Valter Giraudo


Testi: Umberto Flauto, Serenella Menichetti, Milvia Di MIchele, Eleonora Marchiori, Pasquale Mazzarella, Franco Pulzone, Agnese Paponi; Valter Giraudo.

Immagini: Elena Bonaccio e Cecilia Bonazzi.


PRIMAVERA....CRISI DI MEZZA ETA' ? di Daniela Bonifazi, Cecilia Bonazzi, Maria Laura Celli, Umberto Flauto

Nel bosco c’era fermento. Ogni essere, animale e vegetale, vibrava d’eccitazione. Il giorno tanto atteso si stava avvicinando, quello del risveglio. Che gran festa si preannunciava! Fanciulla Primavera desiderava offrire il meglio di se stessa per far felici tutti. All’ interno della sua dimora l’ordine aveva fatto spazio ad una caotica quanto abbondante riserva d’ogni elemento potesse servire a rendere grandioso e spettacolare lo scenario della foresta. Ma d’un tratto fu presa da una crisi di panico:“Non posso fare tutto da sola” – esclamò la fanciulla, sommersa da petali e colori e profumi, disordinatamente sparpagliati ovunque – “Sono così stanca quest’anno! Ho bisogno di un aiutante e devo trovarlo in fretta. È tempo di agire o qualcosa di terribile accadrà! Oh povera me … temo sia già troppo tardi”! Il suo sesto senso, infallibile come sempre, le fece intuire ciò che in breve si verificò. 
Immagine tratta dal web
Gli esseri del bosco si zittirono improvvisamente. L’acqua smise di scorrere nel torrente, i rami degli alberi di danzare al vento e il vento di soffiare. Perplesso, il ghiro, da poco sveglio e ancora assonnato, si stropicciò gli occhi e chiese “Che succede, è tornato l’inverno ?”. Un brivido percorse le schiene pelose degli animali col pelo, quelle piumate dei volatili, i tronchi degli alberi e ogni tenero filo d’erba. I fiori si richiusero timorosi, le essenze profumate si riassorbirono  e il sole impallidì. “Cioè, voglio dire” - si corresse Fanciulla Primavera - “Insomma, non spaventatevi!”. Si sedette sul manto erboso non più fresco né profumato. “La preparazione della festa richiede tempo ed energie, e io sono esausta !”. Gli esseri tutti si incupirono ancora di più. La stessa Fanciulla si incupì. Timidamente il cardellino cinguettò: “Ma noi abbiamo bisogno del risveglio”. “ E io ho bisogno di riposo ! Non c’è stato inverno quest’anno e non ho potuto recuperare energie ! Ho lavorato senza sosta ! Come pensate che possa preparare la festa in queste condizioni ?” “Forse possiamo fare qualcosa anche noi”- propose il gambero di fiume.“Sì, sì !” Commentarono entusiasti la beccaccia, il cervo e la volpe. Ma Fanciulla Primavera si chiuse in se stessa e non rispose. Cosa stava succedendo ? Fanciulla Primavera non era mai stata così; non aveva mai messo in discussione niente, tanto meno la festa del risveglio; non aveva mai litigato, mai tenuto il muso. Ed ora ? Ora tutto rischiava di essere rivoluzionato, scomparire.
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La situazione era davvero delicata. Ogni essere vivente del bosco, animale e vegetale, non sapeva in quale modo agire per indurre Fanciulla Primavera ad assolvere al suo compito. Che tragedia altrimenti! “ Mia dolce Primavera, – cinguettò con delicatezza e tatto l’usignolo – non chiuderti in questo mutismo … non privarci del risveglio della Natura”. “Sappiamo che sei stanca, ma ogni promessa è debito. Noi ti aiuteremo e vedrai che non dovrai lavorare troppo. Tu ci dirai cosa fare … e noi lo faremo. Promesso”! – aggiunse con toni suadenti la volpe. “Più che promesso”! – esclamò con veemenza il castoro – Faremo un giuramento”! “Giusto! È un formale giuramento che faremo, tutti quanti. – sentenziò il saggio gufo lanciando un’occhiata eloquente ai presenti – Io lo formulerò e voi direte, impegnandovi a rispettare ciò che abbiamo deciso, LO GIURO”! “Oh sì, e chiunque facesse “il lavativo” dovrà vedersela con me”! – concluse il possente orso bruno con un vocione che incuteva paura e non ammetteva repliche o opposizioni. Fu così che il gufo pronunciò la formula di rito e il giuramento fu reso ufficiale. Nessuno si tirò indietro, anche perché era in gioco la sopravvivenza di animali e piante, messa in serio pericolo se non si fosse proceduto col normale avvicendamento stagionale. La Natura non poteva rimanere nel torpore invernale … il risveglio voleva dire nuova vita. Durante il dibattito Fanciulla Primavera aveva alzato appena il capo, volgendolo di volta in volta verso l’interlocutore di turno, ma non aveva commentato. D’un tratto, mentre tutti erano in attesa di conoscere la sua decisione, ella si alzò di scatto. “Parlate bene cari miei, ma la maggior parte di voi non ha fatto che dormire, mangiare e dormire, mentre io ho dovuto compiere gli straordinari in quest’inverno che mi ha “messo i bastoni tra le ruote”, chiedendomi giorni miti, una fioritura più lunga, per non parlare dell’alleanza col sole e le nubi: il primo si è offerto di riscaldare la Terra anche a Natale e le seconde hanno risparmiato la neve e la pioggia agli umani, per consentire ai bimbi di giocare all’aperto il più possibile. L’ho detto e lo ripeto … HO BISOGNO DI RIPOSARE! Ne riparleremo tra un mese. Vado a dormire”! – e Primavera si allontanò senza voltarsi indietro. “È terribile! – esclamarono in coro tutti gli astanti – Un mese? Non possiamo aspettare così tanto! Qui ci vuole un piano alternativo!   
-Sì,sì - risposero in coro gli animali-pensiamo subito a qualcosa di efficace che possa risolvere questa triste vicenda senza mandare in crisi Fanciulla Primavera. Intervenne Orso bruno che ,abbassando il tono del suo vocione,disse :amici, la cosa non è facile;bisogna pensare bene, valutare con criteri giusti ciò che dovremo fare. Ebbene ognuno di noi faccia la sua proposta e valuteremo poi, la giusta soluzione.  
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Una delle prime proposte arrivate fu quella della volpe che, quasi a voler dimostrare il senso tipico “dell’essere una volpe”, quello di astuzia e capacità, confessò che seguiva da anni, nel suo lavoro, la Fanciulla Primavera, di cui era segretamente innamorata; la volpe, nel tempo, aveva annotato su un taccuino tutto quello che lei, durante il rinascere della natura, organizzava e creava per realizzare la Festa del Risveglio. La volpe, avrebbe voluto utilizzare gli appunti solo per “diventare interessante” agli occhi di lei e per dimostrarle che il suo sentimento era forte e pieno di attenzioni... ma ora c’era un’emergenza. La volpe allora decise di leggere gli appunti insieme agli altri; in questo modo avrebbero appreso qualcosa in più ed avrebbero potuto sostituirsi alla Fanciulla Primavera, facendola riposare,  almeno solo per questa volta, cercando di colmare, con l’impegno e con la loro presenza numerosa, le sue enormi capacità. Tra le tante proposte arrivate, e se ne attendevano altre, sembrava per il momento quella migliore anche perché il taccuino era pienissimo di dettagli, spiegazioni ed idee varie. Ricordarle a memoria sarebbe stato impossibile ma, dovendo solo leggerle ma, ahimè, realizzarle, avvalersene sembrava rappresentare la soluzione ottimale. E poi erano in tanti e tutti desideravano che la Festa si realizzasse, che la Primavera prendesse forza, e che la sua creatrice, riposasse. L’orso, il più rapido a reagire alla novità, pensò e spiegò il suo parere e disse:” Potremmo svegliarla tra un mese quando lei, riposata, potrà regalarci quel tocco finale che solo lei è in grado di dare”.
“Ottima idea, amico orso”! – commentò il Gufo. “Bene! Occorre dunque che tu, volpe, ci metta al corrente delle operazioni necessarie per la festa del risveglio. Ci riuniremo nella vicina radura domani all’alba. Ci rimane ancora qualche ora di luce prima che il sole tramonti, ed impiegheremo questo tempo cercando tutti gli altri abitanti del bosco: scoiattoli, tassi, lupi, volatili di ogni specie … Insomma, quanti più animali riusciremo a trovare. Io mi occuperò dei ghiri. Quei dormiglioni hanno bisogno di un incentivo potente affinchè si destino e siano operativi, e vi assicuro che il mio richiamo sarà efficace. Nessuno può resistere al mio verso, quando sono in forma e determinato. Gli farò fare un tale salto sul loro giaciglio! Eh eh ! – sogghignò l’orso, pregustando i suoi “effetti speciali”.
Immagine tratta dal web
Dunque il piano era in fase di attuazione. Ciascuno avrebbe avuto il proprio compito e non restava che darsi da fare. Non c’era tempo da perdere. L’indomani mattina all’alba, nella radura si ritrovarono quasi tutti gli abitanti del bosco. La volpe salì sopra un voluminoso ed alto masso di pietra per essere visibile a tutti gli altri ed esporre quanto appreso dopo la consultazione del Taccuino di Primavera. Sbadigliando, l’animale dal fulvo pelame si rivolse agli astanti:- Scusate amici, ma ho trascorso tutta la notte a leggere. Non avete la minima idea di quante siano le cose da fare. Non le avrei mai ricordate a mente. Ho pensato di prendere appunti, ma poi ho deciso che la miglior soluzione fosse che … prendessi in prestito il libricino di Primavera! – e lo mostrò a tutti. La prima reazione fu di protesta. In particolare si oppose strenuamente l’animale più onesto del gruppo, fidato collaboratore della Fanciulla: l’orso. Era lui che aveva preso in mano la situazione quando tutto sembrava compromesso. Mai avrebbe accettato un furto, sia pur a fin di bene:- Come hai osato appropriarti del Taccuino di Primavera? Sai quanto lei ne sia gelosa. Contiene tutti i suoi segreti per risvegliare la natura. Avresti dovuto solo dare una sbirciatina per riferirci come agire! Tu …tu … sei un ladro! Tutti sanno che di te non c’è da fidarsi. Non posso credere di averlo fatto io. Andrai immediatamente a restituire il maltolto! - Quante storie! Volete capire o no, branco di testoni, che se non ci rimbocchiamo le maniche, si fa per dire, quest’anno avremo un inverno interminabile? Volete saltare il periodo più bello dell’anno? Come ripeto è solo un prestito e metterò il libretto al suo posto prima che la Fanciulla si accorga che manca. A quel punto, se ognuno farà il suo lavoro con responsabilità, potremo chiamare Primavera per il tocco finale, quel magico tocco che solo lei sa dare. Che ne dite?
Agli uccelli, quelli più grandi, fu affidato il compito di spostare le nuvole mentre a quelli più piccoli, con i loro cinguettii, di creare l’atmosfera giusta in tutto il mondo vivente; alle marmotte, agli scoiattoli e a tutti i piccoli animali della foresta quello di parlare con gli alberi e con tutta la natura affinchè si svegliassero dal loro torpore e si liberassero dalle loro maglie protettive invernali, a tutti i felini ed in particolari ai leoni e alle tigri fu chiesto di far muovere gli animali per le migrazioni mentre i pesci  furono incaricati di fare altrettanto nel mondo del mare. Tutti dovevano essere avvisati che non si sarebbe dovuto attendere nessun segnale particolare ma che tutti, con il proprio impegno, avrebbero dovuto contribuire a costruire la “nuova primavera”.
La volpe leggeva e leggeva … e più leggeva e più si rendeva conto di quale lavoro la Fanciulla avesse fatto per anni, per secoli, per millenni. Un senso di gratitudine e di profonda considerazione cresceva nei suoi confronti ora che lei, Volpe innamorata, era impegnata a fare la primavera e non solo ad attenderla.
Non ricordava tutti gli appunti ma ricordava delle sensazioni che le fornivano, sensazioni appaganti.
Immagine tratta dal web
Ad un certo punto pensò … ora ci vuole il tepore, quello che fa capire che la stagione sta cambiando e quello che crea la voglia di rifiorire. Sfogliò gli appunti ma non trovò nulla di utile e cercò di riprendere i suoi ricordi di quando seguiva, passo dopo passo, la Fanciulla primavera. Ad un certo punto ebbe un’idea, un’idea degna del suo essere volpe. Chiamò tutti al raduno ed ordinò, sembrandole il modo più rapido per ottenere dei risultati, che tutti, tra esseri viventi e natura, si abbracciassero in un abbraccio forte e caloroso, pieno di amore e di affetto, un abbraccio capace di accendere la miccia, quella  della temperatura sufficiente a far ripartire il risveglio definitivamente. E così accadde … 
Che l’aria da fredda si fece tiepida; la rugiada sostituì la brina e la nebbia, quella delle pianure, lasciò pian piano il posto al sole che completò il lavoro illuminando e riscaldando la terra.
Fu così che tutto ciò che doveva germogliare  germogliò; ad ogni albero si aprirono le gemme e ogni fiore prese a profumare l’aria stimolando il prezioso lavoro di impollinazione delle api.
A fine giornata, al calare del sole, l’aria tornò fresca, ma non così tanto come prima e fu così che apparvero le lucciole, puntini luminosi che come occhi bonari guardano la notte.
Ormai il procedimento era avviato; tutto era pronto per la festa: non restava che svegliare dal suo riposo Fanciulla Primavera.
“La risveglierò io con un bacio sulla fronte !” si offrì la volpe sempre più innamorata.
“No, spetta a me, quale suo braccio destro !” asserì l’orso.
“Lo faremo noi cinguettando !” proposero i merli e gli usignoli.
Immagine tratta dal web
Insomma, ogni animale, ogni genere di creatura si offriva con proposte per svegliare la fanciulla e in questo fervore nessuno si accorse che ….
Fanciulla Primavera era fra di loro e li ascoltava, e li osservava con  interesse ed infinita tenerezza. Il suo cuore era colmo di gioia e di dolore allo stesso tempo, ma un dolore dolce e una tenerezza soffusa tanto che le sfuggì una lacrima. Dagli occhi ormai umidi e luccicanti scese pian piano quella goccia (preziosa) rigandole la guancia di un brillante verde  smeraldo; poi sul collo e attraversandole l’intero corpo, indifferente alle severe leggi della gravità, si depositò ai suoi piedi.
Nel generale frastuono di chiacchiere e proposte degli animali, un brivido di indescrivibile emozione attraversò ogni essere vivente.
Silenzio per pochi istanti ….
… Poi fu subito festa !

(Daniela Bonifazi, Cecilia Bonazzi, Maria Laura Celli, Umberto Flauto)




POESIE DI CLAUDIO VICARIO



IL TEMPO
Il tempo, a volte,
è come una goccia del mare
piena di slanci perduti,
dimenticati, accartocciati,
che corre dietro
questo mio cercarti
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senza capirne il senso:
si perde sempre
se si cerca l’amore
quando la primavera non torna,
né basta il miraggio
di una persiana chiusa
per far filtrare la luce
nel plumbeo riflesso
di colori divelti
dalle radici dei timori,
né c’è rugiada
nell’abisso delle emozioni
tra ciechi passi
grigi come il pensiero
a sbiancar le memorie
di un cimitero sulla collina
dai candidi marmi scoloriti
ove si posa lo sguardo,
inconscio ed immutabile,
di inattuale saggezza
nell’impulso di dissolvere
fallaci utopie
che negano simboli passati
.


IL MIO CAMMINO SENZA SOSTA
(Claudio Vicario)

Immagine tratta dal web
Gli occhi miei, stanchi di seguirmi
nel mio cammino senza sosta,
non si chiudono al riposo
e rimango ad ascoltare in silenzio
il mio respiro lento mentre tutto tace.
Le mie labbra cercano una fonte
che ancor non mi disseta,
né so come si chiama il vento,
né dove nasce, né dove arriva,
né perché sta correndo.
Tendo le mani senza sfiorare il cielo
e così riesco a tornare alla terra
in un infinito che ha in sé qualcosa
che solo l'anima riesce a carpire
nei momenti che riempiono la vita,
quasi fosse l’alito di un sospiro
mentre un sogno si dissolve.
Qui, tra la città silenziosa
e il ticchettio della pioggia sulle strade,
cammino senza sosta
col sapore del passato sulla pelle
ancora così intenso e forte,
puro, arido specchio d’acqua
nello svuotato secchio senza fondo,
quasi riflesso di un ultimo saluto.
Crollano le parole senza senso
nella mattina arida e fredda,
simili a macerie di variegato mosaico,
e fisso il mio pensiero nel sentire
generarsi il fruscio della morte
per poi scivolare oltre quel bordo
ove si spegne il sole.
Solo, di gelo colmo, l’animo assente,
lasciato tutto ciò ch’è spento dentro,
ascolto l’eco di un lontano addio,
giro le spalle né mi volto indietro,
e riprendo il mio cammino
tra fioche luci e inanimati sassi
lungo il confine della consumata via
in un continuo moto senza fine
per possedere il mondo e l’orizzonte
che mare e cielo da sempre hanno diviso
il cui riflesso svanisce e poi ritorna
come la luna, in infinito spazio,
dietro l’oscuro monte e le deserte spiagge
e ascolto i miei pesanti passi
in questo interminabile cammino
senza più meta alcuna.


A MIA MADRE

Sto scavando nella mia anima
Imamgine tratta dal web

per trarne
un raggio di luce
che si trasformi in versi
per un ultimo mio canto.
Cerco invano parole
che siano vera poesia,
ma non trovo altro che
un deserto infinito, immobile
nello spazio e nel tempo,
un tempo che per me si è fermato
quel giorno, quel quattro di luglio,
quando sei tornata alla terra,
tra le braccia buie e fredde
dell’ultima tua madre,
ultima ed anche prima.
Mi aggiro inutilmente,
muto, in questo deserto arido,
pietrificato come i miei sentimenti,
fatto di sassi appuntiti,
taglienti come pugnali
e di sterpi contorti, spinosi,
prosciugati da un sole
che non emette più luce,
un sole nero come la morte
che ti ha portata via,
che ha risucchiato nel nulla
te, ch’eri una fronda al vento.
E in mezzo a questo deserto
io vago cercando invano
una sorgente d’acqua pura, fresca,
che possa dissetarmi e dare un senso,
un significato, anche se illusorio,
al silenzio che mi circonda,
vorrei, ancora per una volta,
udire la tua voce,
ma non odo che il nulla.


RISORGE ANCORA

Immagine tratta dal web
Risorge ancora l’emulo rapace
che sorvola, coglie nuove storie,
e cavalca con la fantasia i pensieri
rappresentazioni visibili del Divino,
sirene ammaliatrici per i naviganti.
Un bosco prende vita con i rami
che galoppano una realtà mai cercata
alla cui folta chioma rimango aggrappato
mentre, su un urlo disperato e impotente,
mi volto cercando brandelli di lucidità,
e immagino di salire pian piano in cielo
o in un angolo scolpito nell'umano recesso
di specchiate bifore dai discussi riflessi
tra mutismi urlati da mistici inconsci
privi di superbia e arroganza;
le distanze fuggono su onde di luce
che scompigliano le nostre coscienze
quasi in simbiosi con rami legnosi.


UDII UNA VOCE

Tra cupe forre
Immagine tratta dal web

serrate da pareti di roccia nuda
chiazzate a tratti
da macchie scure di terriccio
odoroso di muschio;
tra innumeri querce
generose di rame e foglie
agl’implumi dei nidi nuovi;
tra rovi pungenti
in siepi infinite
punteggiate di more selvagge;
tra larici, abeti e mirti e l’acuto
olezzar dei ciclamini,
e il fresco profumar d’erbe non tocche,
e il chioccolar sommesso
tra smeraldine sponde
d’una linfa d’argento,
tenue carezza danzante
sui sassi muscosi,
e il sospirar delle fronde
appena mosse
dall’invisibile mano insidiosa
del vento,
udii un giorno
levarsi possente una voce:
“Qui regna Iddio!”

Sussultai,
Immagine tratta dal web

e le mie fibre tremarono.
E andai, andai
come automa ch’altro non oda
che la voce interiore
e il canto misterioso
della natura che vive.
Scesi sui campi
ondeggianti di messi odorose,
tra chiazze chiare
di ulivi d’argento
dai miseri tronchi incavati,
inverosimili esempi d’anime generose,
tra lunghi pendagli di pampini
fùmidi di tenue rugiada,
tra alberi ricchi di molteplice frutta,
che tutto davano di sé
ne le gagliarde braccia tese
a prodigar doni,
tra il tenue pigolare innocente
di piccoli esseri
paghi dell’ombra di una fronda
e qualche grano
dolce dell’amor d’una madre,
e udii una voce:
“Qui regna Iddio!”

E andai, andai ancora:
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lambii col piede
l’acque dorate del fiume;
sfiorai l’aspre
sabbie d’argento,
volai sui prati di velluto
costellati di rustiche margherite,
su terreni palustri,
su Oceani sterminati,
nell’immenso infinito fragore
delle onde irrequiete
schiaffeggiate
dalla pazza furia del vento,
e udii una voce:
“Qui regna Iddio!”

E venne la sera.
Immagine tratta dal web

E intorno scesero
tremolanti di paura e pensosi
di sogni
i fantasmi della notte:
vagarono un poco danzanti
nel crepuscolo soffuso di pace,
poi si posarono,
come l’inesorabile artiglio della morte
implacabili su tutte
le cose.
Guardai in alto, lassù,
ne l’immenso lenzuolo
ricamato di stelle…..
E dall’alto, come portata
sull’ali misteriose del vento,
una voce mi toccò
con mano di fuoco:
“Qui regna Iddio!”

Infinito, incomparabile mistero
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dell’Universo!
Nulla io dissi,
ma mi aprii alla vita.
E andai ancora, andai
per le turbinose strade
dell’uomo,
tra la tumultuosa incessante folle
corsa delle macchine
dal cuore d’acciaio,
e una voce insistente
metallica, cupa
gridò:
“Qui regna l’uomo!”

Cieco uomo!
Perduto nel vortice
della vacuità della vita,
altro non chiedi
che la gioia dell’oggi
e tutto vuoi per te,
a tutto agogni, e ridi
dei mali altrui o non ti curi
e sogghigni
sulle bare che passano,
e inganni il fratello,
e rubi la pace altrui, e tradisci
l’amico, e porti guerra,
e stermini, e uccidi…..
Cieco uomo!
Ch’entro le caduche spoglie
della vita che passa
freme eterno uno spirito,
un qualche cosa
che sfugge al comune sentir
perché, l’Eterno,
solo a chi sa guardare
è destinato.


A GRETA GARBO

Quanto era bella:
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una fiore di nebbia e di rugiada
in una notte fredda,
un sospiro di seta rosa
in un brivido caldo che cade.
La sua pelle tremula
placava il dorso del mare
ed un alito del vento
era l'attimo del tempo che fugge.
Muto, mi perdo su spiagge distanti
mentre guardo le stelle
come se non le avessi mai viste
e non riesco a trovare le parole
quasi si fossero fermate
senza passare attraverso la luce
per un silenzio ucciso.





A LUCIO DALLA

Lucio,
piccolo, dolce ragnetto peloso,
gigante della canzone,
che bello scherzo ci hai fatto!
Te ne sei andato, così,
all’improvviso,
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in silenzio,
in punta di piedi
per non farti sentire,
senza salutare quelli che ti amavano,
e ti amavano in tanti,
ma sei stato generoso come pochi,
ci hai lasciato le tue canzoni
che ci hanno emozionato
con la tua musica,
con la tua poesia
dolce e triste
che racconta la tua vita
da quel “4 marzo 1943”,
di quella mamma bambina
di sedici anni
con la gonna sempre più corta
mentre tu cercavi un fiore,
una piccola radice
per dare un senso
alla tua vita,
tu, solo e senza dimora,
con la tua solitudine
che è stata la tua croce,
una croce
troppo pesante da portare
sulle tue piccole e fragili spalle,
mentre proseguivi
per la tua strada
senza un lamento,
errabondo,
e scrivevi
a un “caro amico lontano”
per distrarti un po’
e ti stupivi per
“com’è profondo il mare”
vivendo la tua emozione
“là dove il mare luccica
e tira forte il vento”
da una vecchia terrazza
“nel golfo di Surriento”
e dicevi ai bambini
“attenti al lupo”
forse perché quel lupo
a te aveva fatto tanto male,
forse perché quel lupo
ti ha ucciso tante volte,
ma tu altrettante volte
sei risorto,
ma forse quel lupo
era soltanto un ululato,
il tuo ululato di lupo ferito
che nessuno riusciva ad udire,
un ululato sordo,
pesante come una pietra
che usciva dal tuo grande cuore.
Lucio, ci hai lasciati
ma con te non è morta
la tua musica e la tua poesia.



A MIO PADRE

Pallida artigliata Atropo,
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cessa il feroce ghigno
con cui hai reciso il filo
del suo fisico essere:
tu non hai vinto!
Or, niveo, nel suo candore,
come acqua cristallina
centellinando scende dalla roccia,
privo del materiale sensibile
del fisico possesso,
ma col pieno dominio
dell’essenza prima dell’essere,
m’illumina e incoraggia
nel doloroso gemere
inconsolato,
ché di lui vivo
sempre è il rimpianto;
e parmi strano
che, pur non più essendo,
tripudiante
tutto viva d’intorno
in questa primavera
che per me non ritorna,
sì come l’onda
sull’annegato corpo
chiudesi
e lieta
il suo corso continua
verso il mare
ove tutto s’annega.
Ho ripensato a mio padre
mentre la pioggia,
tenera,
mi ha fatto compagnia
tutta la notte.
L’ho udita
dal mio letto nel silenzio
battere forte
contro vetri e mura
e mi son detto:
questa musica stessa che io odo
certo pur egli sente
batter cantando sopra la tastiera
del freddo marmo
che a morte somiglia.
E l’udir questa musica ineguale,
or scherzosa, ora lenta,
ora maestosa e grave,
come prodotta
da nascosta arpa
da invisibili dita pizzicata,
certo ci unisce
pur se distesi
in luoghi sì diversi
ché la soglia
di morte ne disgiunge
per quel veleno
dell’obbrobrioso serpe
che sull’inerme umanità propina.




O DOLCE NOTTE

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Il murmure selvaggio
delle fronde novelle
sposate
all’ombra gentile
del crepuscolo
a volte mi parla, mi chiama,
mi sussurra,
incomprensibili voci
che ascolto
e non riesco a capire.
Tremano, delicate fronde,
col sospirar del vento, che passa,
passa leggero
su l’erbe flessuose.
Tremano, come se dal vento
rapissero
un’arpa che vibri,
un cuore che palpiti,
come se del vento
avessero paura.
Nasce la luna, delicata luna,
tenera come una culla:
incanti, sogni di pace
infinita.
Nasce, ora si vede,
ora s’occulta
dietro una nube che passa.
Sale, sale, saltella tra i rami,
scompare, ritorna,
scompare di nuovo
dietro il folto intreccio
del bosco,
quasi giocando
come un biondo monello
coi rami gentili
dei pioppi eloquenti.
Sale,
sale leggera,
come una sfera
di soffice tela sottile
ricolma di luce;
silenziosa come una madre
accanto alla culla
del suo piccolino.
Senti, o notte,
sotto i tuoi piccoli piedi,
scuri nell’ombra,
l’erba tenera, rugiadosa,
già stilla
gocciole d’argento
su ogni filo….
E tu scivoli,
dolce notte,
sul fresco tappeto
soffuso come di pianto,
che intreccia, col vento
che palpita,
una danza nuova
sull’ali
d’una musica
che ora nasce, ora muore,
col sospiro dell’aria,
su suoni,
di inverosimili note
d’un pentagramma,
che si rincorrono
in trilli, armonie,
lamenti, dolci sospiri….
Scivoli, o notte,
su l’erbe
baciate dalla luna,
scherzando con passi flessuosi
d’eterna fanciulla,
posando il piede leggero
sui teneri steli,
e i tuoi veli,
aliàndo
come invisibili piume
turbate dal vento,
volano ovunque, nel giuoco
della luce nell’ombra,
dell’ombra nella luce,
della musica nel silenzio,
tra lùcubri spire
di pace, sognante sospiri
d’amore,
in un palpito che sa di mistero.
O notte,
chiedi all’erbe
un serto di perle,
alla luna
il biondo pallore
pel tuo volto di bruna gitana,
e alle stelle un diadema:
o dolce notte,
diventa regina.
Affoga il tuo corpo flessuoso
nel giunco che odora,
ne l’ombra di te stessa,
perditi, misteriosa,
tra i casolari sonnolenti,
tra i rami
degli alberi antichi,
diventa ombra e luce:
o dolce notte,
diventa poesia….




LU FESTON' A GROTTAMINARDA

E mo’ vene lu Feston’,
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tutt’ Aust’ è già passat’,
stamm’ allegr’, stamm’ buon’,
ce vulim’ cunzula’.

Mo’ furnisc’ la staggione,
li Ruttis’ fann’ fest’,
ogni juorn’ è sempe bbuone,
nun putime arrefenà.

Cicatiell’ cu lu fort’,
capecuoll’ e mugliatiell’,
ognirun’ chiur’ ‘e pport’
e se sap’ organizza’.

Quann’è festa, si nun chiov’,
mprufumat’ e allecchettat’,
ncopp’ a chella chiazza nov’,
te puo’ metter’ a ballà.

C’è la musica in paese,
ognerun’ va a la fest’,
quacch’ vecchia va a la cchiese,
s’addenocchia pe’ pria’.

Mursellett’ e mustacciuol’,
la cupeta e li tarall',
nzerre ‘ tutt’ ca ‘e mariuol’
po’ t’ viennen’a arrubbà.

Va a la festa, nun fa’ ‘o fess’,
ca lu tiemp’ passa e va,
jess’ for’, nun fa ‘o fess’,
e vattenn’ a passia’,

ca po’ ven’ la vernata,
chiov’, jocca, e votta vient’.
Cum’ pass’ la jurnata ?
Tu respunn’: “Adda passà”.


NOI DOWN

Noi Down siamo
la parte buona dell’umanità:
non ricopriamo cariche importanti,
non corrompiamo
né ci lasciamo corrompere,
non facciamo del male a nessuno,
possiamo fare la comunione
senza confessarci
perché non pecchiamo.
Noi Down,
i cui occhi si illuminano
per un bacio della mamma,
per una carezza del papà,
per un sorriso sincero,
vorremmo dire
a coloro che ci ritengono idioti,
che ci sbeffeggiano,
che ci scacciano
e anche a quei pochi
che hanno compassione per noi,
che non sanno che per noi
il buon Dio
ha riservato un posto in prima fila
in Paradiso.