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Un amore da ... fiaba!

C'era una volta...
C'era una volta un regno e, naturalmente, un grande castello. Lì viveva una bellissima principessa, innamorata di un giovane. “Magnifico!”  Penserete cari lettori, ma la triste realtà era che questo amore era impossibile. Il ragazzo non possedeva alcun titolo nobiliare e il protocollo di corte vietava l’unione di una figlia di reali con un comune mortale. Alla dolce Miriam tuttavia non importava! Il suo sentimento trascendeva le regole e le convenzioni. Tutto era accaduto un giorno in cui la principessa, passeggiando nei giardini reali, incontrò Thomas, un ragazzo gentile che, accorgendosi di lei colse una rosa e, inginocchiandosi di fronte alla sua principessa, baciò il delicato fiore e glielo offrì con un sorriso, semplicemente.
Una rosa rossa, simbolo d'amore!
Miriam ringraziò chinando graziosamente il capo e proseguì la sua passeggiata col cuore in tumulto. Non meravigliatevi…Esiste il colpo di fulmine!
Esiste il colpo di fulmine!
Da quel giorno infatti Miriam trascorse sempre più tempo nei bellissimi giardini del castello, dove trovava quel bel giovane che, ogni volta, ripeteva lo stesso atto galante, donando alla principessa una rosa sui cui petali aveva poco prima posato le sue labbra, che non osavano oltre tuttavia. Alle persone di rango inferiore era vietato rivolgere la parola a un nobile. Solo se Miriam avesse parlato per prima egli avrebbe potuto risponderle. Miriam però era timida e le mancava il coraggio. Di fronte a quello splendido ragazzo le parole le morivano in gola ogni volta che provava ad esprimersi.  Il tempo passava e la situazione restava immutata, tranne il crescente fuoco che ardeva sempre più nel cuore dei due innamorati, unito ad una grande tristezza per la consapevolezza che la loro unione era una chimera.
Sogno irrealizzabile!
La principessa non aveva svelato il suo segreto a nessuno, temendo che il Re suo padre ne venisse a conoscenza. Egli era molto severo e  aveva già scelto un consorte per la figlia. Quando glielo comunicò, rivelandole anche la sua identità, Miriam quasi svenne. Il marito destinatole era infatti noto tra i nobili, un uomo anziano, dai modi e dall’aspetto estremamente sgradevole, dal volto arcigno e il corpo ricoperto da una folta peluria.
Il promesso sposo

La  principessa soffriva molto, era anzi letteralmente terrorizzata. La sua buona mamma era morta quando lei era ancora bambina. - Se solo avessi te, madre! Sapresti come aiutarmi, ne sono certa. Non so cosa fare, sono disperata! – pensò rivolgendo gli occhi al cielo, quasi sperando di ricevere una risposta.
Oh, madre!
Ma non fu così, e Miriam si rassegnò. Una sera, non riuscendo a dormire, la giovane decise di recarsi in giardino, il luogo che più l’attraeva nel castello. Osservando le rose, che emanavano un delicato e inebriante profumo, si perse nei ricordi e rimpianse di non aver mai rivolto la parola a Thomas, quel ragazzo semplice di cui si era innamorata e dal quale era palesemente ricambiata.
Perchè non ho parlato?
È così, non si erano dichiarati, ma per loro parlavano gli occhi, quegli sguardi profondi ed eloquenti. Sobbalzò vedendolo. La luna che splendeva nel cielo poteva vedere due giovani innamorati dai cuori palpitanti, ma percepiva anche una profonda sofferenza.
La luna sapeva!
Coi suoi bianchi raggi illuminò il volto di Miriam, dandole finalmente il coraggio di parlare:- Non credevo di trovarti qui! – sussurrò emozionata. - Mia dolce Miriam, sono qui perché in ogni angolo di questo giardino sento la tua presenza. Ho desiderato così fortemente di rivederti che ora mi sembra un sogno averti accanto. - Non so nulla di te. – disse la ragazza – Chi sei Thomas?  - Nessuno per te, purtroppo. Non colui che vorrei essere per avere il diritto di chiedere la tua mano. Non una goccia di sangue nobile scorre nelle mie vene. Sono un semplice ragazzo, con pochi mezzi di sostentamento, ma mi sento ricco quando sono nel bosco, dove c’è la mia casa e mille profumi inebriano la mente e rasserenano l’animo. Vorrei tanto portarti nel mio piccolo regno e condividerlo con te, per tutti i giorni che verranno.
Una casa nel bosco
La principessa Miriam restò senza parole per quell'invito inaspettato, e non perchè non ne fosse felice, lo desiderava anzi così tanto! Purtroppo il suo destino sarebbe stato molto diverso. Sorrise tristemente, e con voce flebile, ingoiando una saliva amara, rispose:- Amor mio, tuo è il mio cuore e lo sarà per sempre, ma il futuro non ci appartiene. Il Re mio padre mi ha promessa in sposa ad un conte, e come figlia non posso che sottostare al suo volere, anche se mai potrò amare l’uomo che diventerà mio marito. Thomas la guardò per un lungo istante, poi scosse il capo:- Oh no! Il mio cuore  sanguina e la ferita non si rimarginerà mai.
Oh, cuore ferito!
Non ho speranza! Tuo padre mi farebbe tagliare la testa se sapesse dei nostri incontri. Ti amo Miriam, e mi rendo conto ora di averti messo in grave pericolo solo standoti vicino. Sei tutta la mia vita e devo rinunciare a te, ma non alla speranza. Sappi che ti aspetterò per sempre! -   Ed io non cesserò di pensare a te. Sarà il ricordo del tuo volto ad alleviare la mia infelicità. Ma non ci vedremo più. Che destino crudele! Noi, innamorati e divisi da una barriera insormontabile. Thomas non avrebbe mai pensato che quell'incontro si sarebbe concluso così amaramente.  D'impeto abbracciò la principessa e la strinse forte a sé,
E' così triste dirsi addio!

prese poi tra le sue la mano della ragazza, la sfiorò con un bacio e si allontanò da lei. Era un addio!  Quando fu al limitare del giardino il giovane alzò il bel volto a guardare ancora una volta Miriam, che aveva gli occhi velati di lacrime. Poi vi voltò e riprese a camminare, la testa china e le spalle calate, come a portare il peso di tutta la sua infelicità, infine scomparve.
I giorni che seguirono furono angoscianti per la principessa, che sentiva terribilmente la mancanza del ragazzo che amava con tutta se stessa. Il re suo padre, vedendola in quello stato di prostrazione, decise di dar seguito alla sua intenzione di concedere in sposa Miriam al conte Leopoldo, col quale aveva stipulato una sorta di patto: Miriam sarebbe divenuta sua moglie e lui avrebbe condiviso col futuro genero le ricchezze derivanti dalle numerose miniere d’oro ubicate nella sua contea. Quando il re comunicò la notizia alla figlia, a nulla valsero le suppliche di Miriam:- Tu mi stai vendendo, padre! Guardami! Sono tua figlia e ti rispetto, ma ti prego, non farmi questo!
- Taci, sciocca ragazza! Hai idea di quanto sarai ricca sposando Leopoldo? Ti coprirà d’oro e sarai la donna più invidiata del regno.
Ma tutto l'oro del mondo non compra l'amore!
- Mio signore, sarò infelice e tutto l’oro del mondo non cambierà le sgradevoli sembianze del conte, né gli restituirà la giovinezza. Tu mi dai in pasto ad un vecchio arcigno e insensibile, che mai mi amerà e che mai potrò amare. – e la ragazza fu scossa dai singhiozzi che bagnarono copiosamente le sue gote, ma non servirono a mutare la decisione del re, che inviò anzi un messo al conte per invitarlo a corte e pianificare il matrimonio.
Grande è il tormento!

Argenia, la nutrice di Miriam, dopo la morte della regina, si era presa cura della giovane, cercando in ogni modo di assicurarle una vita serena, ma ora cosa avrebbe potuto fare? Tentò, invano, di recare alla fanciulla aiuto morale e conforto. Ma lo stato di profonda depressione in cui giorno dopo giorno versava la principessa preoccupò non poco la buona nutrice, che decise di intervenire.
Devo fare qualcosa!
Ella non aveva fatto in tempo a salvare la sua amata regina dalla stessa terribile condizione che ora aveva colpito la dolce Miriam, con la differenza che la madre era legata a quell’uomo ignobile che la sorte aveva voluto re, senza avere tuttavia le doti umane per essere un buon sovrano e un marito affettuoso. Anche il loro matrimonio era stato combinato per interesse e l’amore non aveva mai allietato la coppia reale. Ora lo stesso squallido destino sarebbe toccato a Miriam, se Argenia non avesse agito in fretta. La nutrice sapeva dove andare e a chi rivolgersi.
- Non disperare piccola mia! Abbi fiducia in me e vedrai che tutto si risolverà. Se dovessero cercarmi devi dire che mi hai dato l’incarico di comprare il tessuto per confezionare l’abito nuziale. Il re tuo padre ne sarà contento e guadagneremo tempo.  - Oh, mia cara Argenia. Mi hai ridato la speranza. Dimmi… - Non c’è tempo per le spiegazioni ora. Fidati di me!
La nutrice indossò il mantello e furtivamente uscì dal castello. Un profondo affetto la legava alla principessa, ed era disposta ad affrontare qualunque ostacolo pur di vederla felice.
Attraversò il fitto bosco avvolto dall’oscurità, ma non l'avrebbero fermata i rumori della notte, né gli inquietanti versi che udiva provenire dagli arbusti pungenti. Grande era la sua determinazione.
Il bosco era avvolto dall'oscurità
Ad un tratto sentì degli strani mugugni provenire da dietro un albero, ma con coraggio e voce ferma gridò: -Non mi fate paura, chiunque voi siate. Se necessario mi batterò!
-Battermi? Con te? Non ne ho affatto l’intenzione  mia cara Argenia! -  miagolò una voce oltre le fronde.- Chi sei ? Attento a te! - intimò la donna. - Sono Karun, servo di Yosira, che tu ben conosci. La mia Signora ti sta aspettando da tempo immemore. Seguimi dunque senza indugiare oltre.
Argenia, sorpresa, si lasciò guidare da quell’essere così strano e buffo, ricoperto di una peluria viola sulla testa, che a volte camminava su quattro arti, altre volte su due, che saliva sugli alberi, scrutava non si sa bene cosa, visto il fitto della foresta, poi si spostava di ramo in ramo, quindi ridiscendeva e procedeva tranquillamente al fianco della nutrice. Camminarono per un’ora circa, anche se ad Argenia sembrava di procedere in tondo, ma ormai doveva seguire Karun. Proseguirono in tondo o in lungo o in largo fino a quando giunsero all’entrata di una grotta.
La grotta
La donna a quel punto fu certa di essere passata almeno altre due volte davanti a quell’entrata, e senza riflettere se lo lasciò sfuggire.
-Ma che razza di guida sei, tu! Siamo già passati di qua, ben due volte!
- E’ vero!- le rispose Karun – Ma non è sempre il momento… Ora è il momento!
Argenia rimase senza parole e lo seguì all’interno della grotta. Non c’era luce, ma il buio non era così buio. La volta della grotta era ad altezza Karun, per cui la donna si dovette chinare per avanzare. Pochi metri, solo pochi metri e si trovarono ad un’ uscita che introduceva ad un bellissimo giardino con fiori grandi come una mano, a volte come due mani, e profumati;
Fiori meravigliosi
e poi alberi, torrentelli, piccole cascate, uccelli dalle code colorate e lunghe,
Uccelli dalla lunga coda
farfalle dalle ali fantasiose più di un quadro di Picasso o di Monet.
Farfalle dalle ali fantasiose
Seduta su una roccia, all’ombra di un enorme fico, Yosira attendeva suonando un flauto di Pan. -Mia signora! – disse Argenia inchinandosi di fronte alla potente maga, che governava le sorti di ogni essere vivente, animale o vegetale, di un vasto territorio che comprendeva anche il reame di re Hesiam, il padre di Miriam, e la contea di Leopoldo. Ella poteva persino decidere della vita e della morte di ogni creatura, ma la sua grande saggezza le consentiva di gestire questo immenso potere. - Avvicinati Argenia. – la invitò Yosira con voce dolce e suadente – Da tanto ti aspetto mia fedele amica. - Nulla ti è oscuro signora, tu sai il motivo del mio ritardo. - È così, come sapevo che ti saresti rivolta a me per consigli e speranza.
Yosira

- La speranza ha abbandonato me e la principessa Miriam. Nel cuore di re Hesiam alberga solo odio ed egli è sopraffatto dalla sua grande avidità, al punto da “vendere” la propria figlia al vecchio e arido conte Leopoldo solo per poter accrescere le sue ricchezze. Dolce Yosira, ti prego di aiutare quell’ innocente fanciulla, che ha dovuto rinunciare all’amore per compiacere il suo dispotico e insensibile padre.
Povera principessa!
- Sai che lo farò. È un dovere a cui non posso e non devo sottrarmi. Ora torna al castello, Karun ti guiderà e veglierà su di te affinchè nulla di male ti accada. Non lasciarti ingannare dal suo aspetto, egli può assumere le sembianze che desidera e che ritiene adatte alle circostanze. Durante la fase di luna nuova accadrà ciò che deve accadere.
Argenia guardò Karun in modo molto perplesso e si accorse che, effettivamente, qualcosa in quell’essere così strano era cambiato: il ciuffo viola sulla testa c’era ancora, ma il corpo era diventato tondo e giallo con striscioline celesti, gli occhi tondi come il suo corpo e la bocca poteva essere un becco, ma non lo era. - Andiamo !- pigolò Karun. La nutrice guardò Yosira in modo interrogativo, la quale le fece cenno di seguire il suo fedele servitore, quindi riprese a suonare.
Argenia non potè fare altro che fidarsi  della promessa fatta dalla suonatrice di flauti di Pan e affidarsi al quel suo imbarazzante compagno di viaggio. Rientrarono nella caverna, percorsero a ritroso il breve tragittò che li riportò nel bosco ed imboccarono un sentiero.
-Non dimenticare stoffa !- suggerì il trasformista Karun, che ora era  tutto verde e con orecchie a punta su un testone enorme sul quale spiccava l’immancabile ciuffo violaceo. Ed estrasse dall’incavo di un albero un meraviglioso taglio di stoffa dorata, con ricami dorati anch’essi.
Una stoffa dorata, degna d'una principessa

-Ma come fai ?- chiese Argenia. - Cosa ? – domandò in risposta l’essere. -Niente, lascia perdere!- E proseguirono.
Camminarono per ore e ore. Alla donna sembrò un tempo infinito. Attraversarono prima un torrente, poi una pianura con erba rada e bassa. Poi l’erba iniziò ad alzarsi fino alle spalle, e a quel punto il collo della sua eccentrica guida si allungò come quello di una giraffa. Argenia aveva visto una giraffa su un libro una volta, ma solo su un libro. Prima che attraversassero un fiume su una zattera, condotta dal prode Karun che canticchiava remando, la creatura aveva di nuovo cambiato aspetto, difficile da descrivere.  Salirono una collina, poi la discesero. Salirono una montagna e discesero anche quella, poi un’altra montagna ancora. Alla fine, Argenia, esasperata, urlò:
- Ma si può sapere dove mi stai portando? E perché tutta questa strada?
Karun la guardò con espressione serena e, altrettanto serenamente, rispose: -Panorama!
In effetti il panorama era mozzafiato, ma la donna era troppo stanca e preoccupata per apprezzarlo. Comunque, alla risposta del suo compagno di viaggio, si distese rilassando i nervi. Anche il cuore riprese un battito regolare dopo la fatica. - Riposiamo, fra poco sarà buio. - aggiunse Karun che ora aveva assunto le sembianze di un lupo, con un ciuffo viola sulla testa naturalmente.
Argenia guardò il sole fermo sullo zenith, ma non si fece domande, non obiettò e sedette ammirando il paesaggio e lasciandosi cullare dal dolce vento, perplessa tuttavia dall’affermazione di Karun. Era appena mezzodì e il tramonto ben lungi dal manifestarsi, ma ella sapeva che il potere della magia di Yosira poteva invertire l’ordine naturale degli eventi, e così avvenne: all’improvviso il cielo si oscurò e nulla del paesaggio circostante fu più visibile.
Il cielo si oscurò...
Il sonno colse la buona nutrice, finchè si sentì toccare il braccio e trasalì, svegliandosi, ma fu subito rassicurata:- È il momento di ripartire. – disse la sua guida. La sua voce era nuovamente cambiata, più …umana forse, ma Argenia non poteva, nel buio totale, vedere quale aspetto avesse. – Siamo in fase di novilunio nutrice, è tempo per te di tornare al castello e per me di eseguire quanto la mia signora ha disposto.
Luna nuova

La donna si sentì afferrare e porre in groppa a quel che sembrava un cavallo, ma allungando la mano percepì distintamente una testa, delle orecchie a punta e una folta capigliatura che scendeva su un collo grosso e robusto, al quale si aggrappò quando la creatura si lanciò al galoppo. Argenia aveva già visto dei centauri, durante le sue precedenti visite a Yosira, e comprese che Karun era ora uno di essi. Non trascorsero che pochi istanti ed essi giunsero al castello di re Hesiam.
- Prendi questo sacchetto nutrice, e consegnalo alla principessa. Esso contiene polvere di unicorno, una creatura purissima e capace di cose straordinarie. Da secoli chi è pervaso dal male cerca di ucciderlo per assimilarne forza ed energia. Per questo la mia signora protegge da sempre queste specie docili e innocenti ed essi le donano la purezza della magia che deriva dal corno posto sulla loro fronte.
Unicorno, magica creatura!
Miriam dovrà gettare un po’ di questa polvere sul padre, prima che il sole torni a splendere in cielo. Se perderà questa opportunità durante il novilunio, tutto sarà vano e la magia non potrà compiersi. - Ma Karun, nel buio totale la principessa non saprà orientarsi, sarà impossibile per lei raggiungere la stanza del re senza evitare le guardie del sovrano!
- Confida nella magia, Argenia, e nel potere di Yosira. La tua amata principessa sarà guidata pur senza vedere e ciò che deve accadere, accadrà. – e la nutrice sentì il rumore degli zoccoli che si allontanavano.
La missione di Karun non era finita. Egli avrebbe raggiunto la contea di Leopoldo, poichè il suo compito si sarebbe concluso soltanto se fosse riuscito a far addormentare le guardie del castello del conte e completato quanto Yosira aveva disposto. Mentre percorreva la lunga strada avvenne l'ennesima trasformazione: diventò una serpe lunghissima e silenziosa, il colore del suo corpo era un tutt'uno con l’erba! Una perfetta mimetizzazione!
La serpe...Karun!
Arrivò silenzioso alle porte del castello e, fulmineamente, punse con i denti acuminati gli scarponi della prima guardia, arrivando al piede e iniettando un siero soporifero. Immediatamente l'uomo si accasciò a terra e  Karun ebbe via libera anche con una seconda guardia che, appoggiata al muro del castello non si era accorto di nulla. Neutralizzare le altre guardie non fu un problema, né qualunque altro essere vivente all’interno del castello. Anche i feroci cani del conte caddero in un sonno profondo.
Niente più guardia!
Leopoldo, sul suo grande letto a baldacchino, sognava gli eventi futuri, pregustando inconsciamente non l’amore di Miriam, ma il prestigio che sarebbe derivato dal matrimonio con la principessa. Si vedeva al fianco del sovrano, suo futuro suocero, nell’udienza settimanale in cui i sudditi di Hesiam consegnavano i tributi al tesoriere reale e si prostravano ai piedi del re per dimostrare sottomissione. E sognando sorrideva malignamente. Karun lo guardò con disgusto. Il fedele collaboratore di Yosira aveva ripreso le sue vere sembianze, quelle di mago. Ebbene sì, egli era umano, ma grazie alle sue arti magiche poteva trasformarsi e diventare invisibile perfino. Fu quella la via che scelse per affrontare inizialmente il conte: l’invisibilità. Leopoldo fu svegliato bruscamente da un forte ceffone, aprì gli occhi e si toccò il volto, in quel tipico stato confusionale che segue ad un risveglio improvviso. Si guardò attorno e, non vedendo nulla e nessuno, si tranquillizzò e si distese nuovamente, impaziente di riprendere il sonno interrotto. Fu mentre si aggiustava il guanciale che vide accanto al letto una figura inquietante, dal mantello scuro e con il capo nascosto sotto un ampio cappuccio, che celava anche il viso.
Invisibile e terrificante!
Sobbalzando gridò:- Guardie! A me! – scendendo dal lato opposto del letto e correndo a brandire la sua spada. Non vedendo arrivare nessuno, chiamò i suoi cani. Nulla! La risata di Karun lo intimidì e chiese:- Chi sei tu? Cosa vuoi da me? - Oh, non voglio nulla da te. Sarò io piuttosto a donarti qualcosa. – e ciò detto si avvicinò a Leopoldo, lentamente. Il conte avrebbe voluto arretrare, alzare la spada, colpire, ma per quanto si sforzasse non riuscì a muoversi. Era completamente paralizzato, una muta statua che poteva solo ascoltare e guardare, in assoluta balìa di quello strano individuo che lo aveva soggiogato. - Kalem sahur voltur…hasmajr lotus humus! – recitò il mago con solennità, mentre con le mani faceva strani gesti. Prese poi un’ampolla,
L'ampolla di Karun
l’aprì e da essa fuoriuscì del fumo verdastro che fu inalato dal malcapitato Leopoldo. Il rito era concluso e Karun, assunte le sembianze di un’aquila, spiccò il volo e sparì in alto, sempre più in alto nel cielo.
Via! In volo nel cielo immenso.
Nello stesso momento il conte cadde a terra privo si conoscenza. Grazie alla potente magia di Yosira, Argenia aveva superato ogni barriera spazio-temporale e si era materializzata nella stanza di Miriam, che sobbalzò vedendola apparire dal nulla. – Cara nutrice! Sei tu! – esclamò sollevata la fanciulla – Temevo di non rivederti più. Ma come…
Dolce Miriam!
- Magia buona, piccola. Magia buona! Ora ascoltami bene. Non c’è tempo da perdere. Prendi questo sacchetto, contiene polvere di unicorno. Tuo padre sta dormendo nella sua stanza. Raggiungilo e cospargi il suo corpo interamente, dal capo ai piedi, senza indugiare. Lui non si sveglierà e non si accorgerà di nulla. Devi farlo ora. Il novilunio sta per avere fine e dopo sarebbe troppo tardi. Vai Miriam, vai!
- Ma le guardie… - Non troverai nessuno. La via è libera. Va’, presto…presto!
Miriam sospirò, guardando la porta della sua camera, poi l’aprì ed uscì nel corridoio. Non v’era anima viva. La principessa avanzò, dapprima con cautela, guardandosi spesso alle spalle, poi con maggior sicurezza, finchè giunse davanti alla camera del padre. Dall’interno nessun rumore. La ragazza entrò e si avvicinò al genitore disteso sull’ampio letto. Titubante gli si avvicinò, temendo che si svegliasse. Come avrebbe potuto giustificare la sua presenza? Per un attimo ebbe paura, ma ripensando alle parole della nutrice riacquistò la calma e fece ciò che doveva. Apparentemente nulla era cambiato: il re continuò il suo sonno. Miriam uscì in fretta e tornò nella sua stanza, dove Argenia la stava aspettando. - Madrina, ho fatto ciò che mi hai detto, ma non è successo niente di niente!
- La magia a volte è invisibile agli occhi. Domani sapremo! – rispose la donna – Ora riposa, mia cara. È stata una lunga giornata. E la buona nutrice aiutò la sua protetta a indossare la veste da notte, rimase con lei fino a quando non fu certa che ella fosse finalmente addormentata e poi si ritirò nella sua camera. Non poteva concedersi il lusso di riposare, c’era ancora qualcosa di molto importante da fare perché si compisse il disegno di Yosira. Indossò il suo mantello, afferrò una sacca di stoffa grezza che teneva ben celata in un nascondiglio segreto ed uscì dal castello. A lei spettava concludere il rituale magico durante il novilunio, che ormai era in fase di transizione. Estrasse dalla sacca polvere di luna, che la potente maga le aveva consegnato al termine del loro ultimo incontro, la sparse tutta intorno al castello, a formare un grande cerchio. Prese poi una pergamena arrotolata, la stese e pronunciò ad alta voce la formula magica che vi era scritta:


Questo è il luogo dove
l’incanto e il sogno
s’incontrano.
Questo è il luogo dove la
logica si confonde.
Questo è il luogo dove
il cuore si lascia
trasportare.
Questo è il luogo
che non vorresti
mai lasciare…
 
La formula magica
quindi arretrò. Di fronte a lei la polvere iniziò a bruciare, e il fuoco si estese ben presto. Fiamme sempre più alte crearono una barriera
Una barriera di fuoco
che nascose la dimora di re Hesiam per qualche minuto, poi si dissolsero. Tutto era compiuto. Ora non restava che aspettare.  Il mattino seguente uno splendido sole illuminava il cielo
E il sole tornò a splendere!
e penetrò nel castello. Ogni stanza fu inondata dalla luce. Miriam si svegliò e avvertì una strana sensazione. Non più angoscia e tristezza, ma serenità e speranza. Non ricordava gli ultimi avvenimenti, né aveva memoria di quanto Argenia le aveva chiesto di fare. Rammentava che il re suo padre l’aveva promessa in sposa al conte Leopoldo, ma in cuor suo sentiva che non poteva essere quello il suo destino. Fu allora che Argenia entrò, con l’abito che la principessa avrebbe dovuto indossare per affiancare il re durante la consueta udienza settimanale per la riscossione dei tributi dai sudditi.
Miriam
Miriam si preparò con cura e raggiunse il padre nella sala del trono. Re Hesiam le porse la mano e, sorridendole con dolcezza, le disse:- Figlia mia, sei sempre più bella. Mi ricordi tua madre. Oh, quanto vorrei che lei fosse qui ora. Le chiederei perdono per non averla amata come meritava. Ma sono certo ovunque sia lei ti proteggerà sempre. – e la invitò a sedere accanto a lui. Miriam era confusa e non riusciva a credere alle parole che aveva appena udito. Suo padre sembrava diverso, l’espressione del suo volto era diversa, il tono della sua voce era dolce e rassicurante.  - Si dia inizio all’udienza! – disse poi il sovrano solennemente rivolgendosi al gran ciambellano, che battè tre volte sul pavimento il suo bastone cerimoniale. A quel punto le porte del castello si spalancarono e i sudditi ebbero libero accesso alla sala del trono. Procedevano lentamente, in fila ordinata e composta. Ciascuno portava con sé un cesto e un sacchetto; il primo conteneva un omaggio per il re, il secondo il denaro da consegnare al tesoriere reale come pagamento dei tributi.  Il tesoriere! Ecco chi mancava quella mattina! Miriam era così abituata a vedere quell’uomo dall’aspetto sgradevole e dai modi sgarbati, che si meravigliò della sua assenza.
- Padre, - sussurrò – non vedo il tesoriere. Egli è forse indisposto? - Oh, non saprei cara figlia. Di certo non sta molto bene. L’ho bandito dal regno per la sua arroganza e l’assoluta mancanza di rispetto verso la nostra gente.  La principessa avrebbe voluto saperne di più, ma una famiglia di contadini era già prostrata di fronte ai reali e attendeva. Nessuno poteva parlare prima del sovrano, questo era dettato dal cerimoniale di corte. - Potete alzarvi! – disse re Hesiam – Avete delle questioni da pormi brava gente? - L’uomo e sua moglie guardarono tristemente i due figli, visibilmente malnutriti ed emaciati, poi scossero il capo e deposero ai piedi del sovrano un cesto con delle uova e un sacchetto che toccando terra tintinnò, facendo intuire il contenuto.
- Sire – disse poi il contadino inginocchiandosi – è tutto ciò che abbiamo, non molto lo so, ma l’annata è stata dura e il raccolto scarso. Abbiate pietà e risparmiateci la prigione.
- Alzatevi buon uomo, non abbiate timore. Sono al corrente della siccità che ha distrutto gran parte dei raccolti e delle vostre difficoltà. - replicò il re rivolgendosi ora a tutta la popolazione – Per questo non pretenderò tasse né accetterò i vostri doni quest’anno. Vi dirò anzi che avendo scoperto i continui furti da parte del tesoriere, l’ho bandito, non prima che restituisse il maltolto. Quel denaro spetta a voi, e sarà equamente distribuito dal nuovo tesoriere.  Le persone non riuscivano a credere a quanto appena udito. Si guardavano sconcertate e incredule. Erano abituate a ben altro trattamento, ma si resero conto che Hesiam era sincero. Iniziarono ad applaudire e a gridare: - Viva il re! Viva la principessa Miriam! - Andate miei fedeli sudditi. Vi prometto d’ora in poi giustizia e vi sosterrò, così che presto torni la prosperità. Andate con la mia benedizione. Uscirono tutti in un’atmosfera di allegria e leggerezza d’animi, tutti all’infuori di un giovane, che rimase in piedi al centro della grande sala. Era Thomas. Miriam sentì il cuore accelerare i battiti e il rossore invase le sue gote.
- Chi sei ragazzo? Come mai non segui gli altri? Se hai qualcosa da dire, parla. Ti ascolto! Egli si avvicinò, inchinandosi, poi disse:- Davanti a voi vedete la persona più infelice di questo mondo, mio re. Le mie origini non sono nobili, ma pur senza titoli ho sempre avuto a cuore le sorti del regno e mi sono prodigato per difendere i deboli e gli oppressi. Venero e amo la principessa, ma  so di non poter ottenere ciò che desidero con tutto me stesso. Per questo vi chiedo di reclutarmi come vostro soldato e di mandarmi in guerra. Se sarò fortunato, morirò per difendere Voi, la principessa e il regno. - No! – il grido di Miriam le morì in gola e le lacrime bagnarono copiose il suo bel viso. Padre, vi supplico, non dategli ascolto! Hesiam non ebbe la possibilità di intervenire, poiché un improvviso vortice d’aria entrò nella sala, e quando si dissolse, l’eterea figura della regina, avvolta da un alone di luce, apparve,
Regina di luce
e il re potè udire ancora la sua dolcissima voce:- Marito mio, prima che la morte mi prendesse con sé, ti pregai di aver cura della nostra creatura. A lungo ho atteso che mantenessi la promessa e solo ora vedo in te il sovrano che ho sempre sperato che diventassi. Ora, finalmente so che esaudirai la mia richiesta. Questi due giovani si amano, perdutamente. Fa’ che essi possano unirsi in matrimonio e trovare quella felicità che a noi è stata negata. Il tuo cuore è puro ora e so che lo renderai possibile.
- Ti ho fatto soffrire e non mi perdonerò mai per questo, moglie mia. Cercherò di rimediare al male col bene. Trova pace. Farò quanto mi chiedi.
E il fantasma della regina si dissolse. Il silenzio calò tra gli astanti. I pensieri presero il posto delle parole, insieme ai ricordi. Il re si era accasciato sul trono, tristemente conscio di aver distrutto la sua felicità con una moglie devota.
Dolore e pentimento
- Ma la stessa sorte non capiterà a Miriam! – pensò.
- Il mio scettro, la mia spada! – ordinò.  - Avvicinatevi. – disse, e così Thomas fece, temendo che il sovrano volesse giustiziarlo per la sua impudenza. Ma re Hesiam, solennemente disse:- Conscio della vostra prodezza e della vostra cavalleria, e riconoscendo in voi la scintilla condivisa da questi fratelli – indicando i cavalieri disposti in due file ali lati del trono – siete ora eletto candidato per l’ordine cavalleresco. Sappiate che per indossare la cintura e la catena di un cavaliere bisogna osservare una sacra rivelazione: che gli obblighi della cavalleria chiederanno il vostro impegno in ogni momento della vostra vita. Desiderate quindi accettare il carico della cavalleria e giurare fedeltà alla Corona? - Accetto! - Dunque giurate fedeltà e rendete omaggio alla corona del nostro regno.
Il giovane non conosceva il rituale, perciò fu affiancato dal gran ciambellano che lo esortò a ripetere:
- Io qui dinnanzi giuro fedeltà e rendo omaggio alla corona di questo regno; giuro di essere un buono e giusto cavaliere, riverente e generoso, scudo dei deboli, obbediente al mio signore, primo in battaglia, cortese in ogni momento, campione del giusto e del buono. Così giuro io!
- Inginocchiatevi! – proseguì il re
Thomas diviene un cavaliere
- In rimembranza del giuramento fatto e ricevuto…-
poggiando la spada sulla spalla destra - In rimembranza della vostra nobiltà d’animo e dei vostri impegni… - poggiando la spada sulla spalla sinistra - Siate un buon cavaliere. Alzatevi, Sir  Thomas.
- È tradizione che alla vigilia dell’investitura il candidato faccia una veglia per riflettere e pregare. A voi è stato concesso prima il privilegio, ma dovrete ottemperare all’obbligo questa notte. Se domani sarete ancora propenso ad accettare l’onere che essere cavaliere comporta, riceverete il vostro feudo e la mano della principessa. Ora andate, sir Thomas! Un ragazzo si inginocchiò, sorse un cavaliere. 
Sorse un cavaliere!
Non stupitevi, voi che leggete. Nelle fiabe accadono questi eventi e c’è sempre un lieto fine. Non è meraviglioso? Oh, ma voi siete giustamente curiosi e volete sapere altro, non è così? Ebbene vi dirò che il matrimonio tra Miriam e Thomas fu celebrato in armonia e serenità, con gran fasto tuttavia, al punto che se ne parlò a lungo nel regno. Al sontuoso banchetto nuziale parteciparono nobili e ricchi proprietari terrieri, ma anche il popolo tutto.
Il banchetto nuziale
Solo il conte Leopoldo non potè essere presente allo sposalizio. Poverino! Svegliandosi un mattino (voi sapete quale), specchiandosi inorridì alla vista di una coda d’asino che spuntava dal suo posteriore e due lunghe orecchie pelose come il resto del suo repellente corpo. Non osò mai più mostrarsi in pubblico e ben presto cadde in disgrazia. Non potendo più esercitare il controllo sulle sue miniere, l’oro gli fu rubato e la servitù lo abbandonò al suo destino. Karun aveva fatto bene il suo lavoro! Tuttavia, dopo un ragionevole lasso di tempo, che Yosira considerò sufficiente, il mago tornò da Leopoldo e gli propose un patto:- Avrebbe riavuto i suoi possedimenti e il prestigio, e anche il suo aspetto, senza più coda e orecchie asinine, se si fosse dimostrato meritevole facendo del bene. Il conte accettò di buon grado. La lezione era servita! Che altro? Oh, sì…E vissero tutti felici e contenti!
L'amore trionfa!

Maria Laura Celli – Daniela Bonifazi – Cecilia Bonazzi

(Tutte le immagini sono state reperite sul web)

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