Un Mondo in bianco e nero |
Sono daltonico. Questa mia caratteristica è sempre stata, tra gli amici, oggetto di scherno da una parte e di grande particolarità dall’altra. In realtà il mio tipo di daltonismo è totale per cui non distinguo nessun colore dall’altro e molte cose mi appaiono “accavallate ed accavallanti”,
perché spesso la distinzione tra le situazioni è determinata dalle variazioni di colore. A voler essere ancora più precisi però, bisogna dire che, pur non riconoscendo i colori, le intensità, le emozioni che la natura ci regala come segnali di percezione, ho imparato a distinguere cose e persone nei minimi dettagli, riesco a cogliere il senso delle emozioni,
scindendole da altri tipi di percezioni, forse più profonde, che mi permettono di comprendere, o meglio “leggere” prima e meglio situazioni che si pongono davanti a me e che si sono già poste davanti ad altri, incapaci tuttavia di definirle. Non giudico una persona dal colore della pelle, dalle apparenze, ma dal comportamento e da altre sfumature, non certo trascurabili se si vuole essere obiettivi. Tutto ciò è naturale per chi, come me, è capace di trovare mille porte per entrare nell’essenza degli altri.Ho sempre cercato di trasferire questa mia capacità o difetto alle persone che entravano in contatto con me, per non farle trovare impreparate di fronte a eventuali sorprese che, quando meno te lo aspetti, possono accadere in ogni momento. Mio nonno mi raccontava spesso che aveva un amico con cui andava a caccia, sport (definiamolo così), che io non amo, il quale era, come me, totalmente incapace di distinguere i colori; questo tuttavia lo rendeva unico nel distinguere le prede perché riconosceva subito le loro sagome che cercavano di nascondersi, quasi sempre attraverso la mimetizzazione, su uno sfondo caotico.
Entrare nell'essenza degli altri!
Tornando a me, ironia della sorte, il mio nome era Fiore, un nome di cui andavo fiero, ma di cui apprezzavo solo la parte “olfattiva” che ispirava. Il colore rimaneva un termine vuoto, che vagava nella mente come un fantasma in un castello.
La mia idea di colore aveva il gusto del cioccolato, la morbidezza della seta, il profumo della rosa. Questa parola a cui non sapevo dare un significato purtroppo, non era del tutto assente dentro di me. Essa esisteva, faceva parte del mio io. Rimaneva sospesa nella mia mente alla ricerca di se stessa. Avevo cominciato ad ignorarla, ma la sentivo vagare nel mio essere. Percepivo la sua inquietudine, dovuta alla sua incapacità di trovare una collocazione nel mondo delle mie percezioni. Non la consideravo, ma spesso tornava ad importunarmi con domande a cui non sapevo rispondere. C'erano giorni che mi martellava con i suoi perché.A volte mi faceva tenerezza, mi mettevo nei suoi panni e capivo il suo tormento. Colore… un termine a cui non era stata data la possibilità di venire alla luce. Come un embrione che non riesce a svilupparsi, un guscio vuoto. Ed il suo tormento a volte diventava anche il mio.
Perchè?
E il suo tormento diventava anche il mio!
Così come un cieco si completa nell’udito e nel tatto, ed un sordo nella capacità di leggere ed interpretare i movimenti, non solo delle labbra, anche il daltonico ha il suo bel da fare, il suo studio da compiere perché un difetto possa mutarsi in virtù. E a volte penso a chi ha avuto la fortuna di nascere senza difetti e mi chiedo: “Sarà veramente una fortuna? Nelle difficoltà non siamo forse stimolati a trovare le soluzioni, nella mediocrità a migliorare il nostro stato? Fiore dunque è il mio nome. Fiore di maggio era la nave che portò i primi pellegrini nelle Nuove Indie.
Io sono semplicemente Fiore. Non tutti riescono a comprendere cosa significhi questa particolarità. Da bambino, a scuola, spesso venivo preso in giro quando usavo i pastelli per colorare un disegno in modo fantasioso piuttosto che reale. Il mio sole era blu o verde,
i prati azzurri e il cielo rosa, un tronco viola e una chioma gialla, un elefante a scacchi.
Eppure la maestra esponeva le mie creazioni come quelle di tutti gli altri, elogiando la mia creatività. Ricordo che un giorno il mio vicino di banco, gettando lo sguardo sul foglio in cui stavo completando delle sequenze di immagini con didascalie, compito assegnato dall’insegnante d’arte, era scoppiato a ridere, additandomi come fossi un alieno venuto da Marte e criticando le mie scelte cromatiche. Ci rimasi male, anche se ero abituato a essere visto come un diverso, ma poi accadde qualcosa: l’insegnante si avvicinò, si chinò ad osservare il mio lavoro e disse: “ Fiore, ancora una volta sono stupita dal tuo talento. Sai rendere ogni immagine così viva e ricca di elementi significativi. Solo tu sai farlo. Bravo! Sei fortunato a stare vicino a un artista come lui, potresti imparare qualcosa di più. – aggiunse rivolgendosi al mio compagno e poi a tutta la classe – Vi ho detto più volte ragazzi che quando si colora un disegno, si possono usare colori rispondenti alla realtà o usare i “colori della fantasia”. Sta a voi scegliere, ma soprattutto rispettare le scelte degli altri.
Ogni colore è quello giusto! Quel giorno mi resi conto che non ero poi così diverso. Il mio daltonismo non avrebbe ostacolato la mia vita, anzi mi avrebbe reso più consapevole. Così, grazie alla mia maestra, iniziai a considerare il mio essere daltonico come dono, ricchezza a volte difficile da comprendere, ma solo perchè si vive in un mondo dove manca la fantasia, un mondo che segue schemi rigidi e uniformi, vedendo tutto piatto e senza spessore. Ne divenni ancora più consapevole andando in giro per il mondo...io fiore di maggio, in cerca delle mie Indie. Fu solo ironia della sorte o il destino che mi regalò il mio nome? Fiore... non un fiore particolare, ma l'idea stessa del fiore, la sua concezione, la sua forma ancora priva di colori specifici. Così arrivò il soffio del vento che portò via dalla terraferma il mio seme, la mia anima. Il vento sapeva di altri mondi, di altri colori confusi nel caos della creatività.Andò così? Partii davvero? A volte la mia certezza vacilla, ma il mio viaggio avvenne certamente, come è certo che tornai profondamente cambiato. Partii un bel mattino di maggio, era l'alba, il sole nasceva a illuminare i colori della natura. Avevo un bagaglio leggero, il cuore gonfio di gioia e la mente piena di curiosità.
Il vento sapeva di altri mondi... La mia prima meta fu l’Olanda, la terra dei meravigliosi tulipani e dei mulini a vento. Già in fase di avvicinamento all’aeroporto di Schiphol si poteva ammirare Amsterdam dall’alto, una delle città più affascinanti del Mondo per il suo geniale connubio tra vecchio e nuovo.
Non avevo bisogno del colore... Avevo deciso di procedere all’esplorazione da solo, senza una guida e senza un programma preciso. Era la mia avventura e volevo godere di ogni sorpresa che la libertà d’azione poteva darmi. Non avevo bisogno del colore per apprezzare le originali installazioni d’arte di strada appese ai cornicioni del XVII secolo, né il gran numero di biciclette alle quali veniva ceduto il passo da automobili di ogni tipo.Non avevo bisogno del colore per lasciarmi abbagliare dai luccicanti caffè minimalisti dove si beve birra a triplo malto prodotta dai monaci,
Il regno delle biciclette! né per lasciarmi avvolgere dall’atmosfera tipicamente olandese, alla quale contribuiscono le antiche case sbilenche, le vie acciottolate, i canali alberati e i vasti parchi.
Birra per tutti i gusti! I miei occhi mi riportavano immagini in scale di grigio, ma la mia mente elaborava colori tutti suoi ed emozioni che il mio animo da sognatore incallito sprigionava. La patria di Van Gogh, estroso, eclettico, incompreso nel suo tempo e osannato dopo la sua morte.
Canale alberato Mi ha sempre incuriosito la sua storia più che la sua arte e mi son sempre chiesto: “Cosa spinge un individuo ad estraniarsi così tanto dalla realtà che lo circonda, da apparire agli occhi dei suoi contemporanei un folle?” E così, quasi per caso, mi ritrovai davanti ad uno di quei quadri, I Girasoli.
Autoritratto di Van Gogh Tonalità di grigio, dal chiaro allo scuro che si alternavano rendendo l’immagine qualcosa di misterioso, quasi incomprensibile a primo avviso. Niente di particolare, tutto nella norma, come sempre: grigi che si rincorrono. Restai deluso sul momento, ma sono abituato a darmi tempo per comprendere meglio; così mi avvicinai e vidi: piccole e distinte pennellate, segni minuziosi e pazienti, ma allo stesso tempo irruenti e nervosi come se cercassero una soluzione alla staticità del soggetto, al formato piatto del supporto. Sembravano, quei piccoli segni distinti uno dall’altro, la necessità di prendere respiro, di ritrovarsi in un'altra dimensione, più respirabile forse, più leggera senz’altro, più umana decisamente. Feci un altro tentativo: mi allontanai e guardai dalla distanza di circa tre o quattro metri. Sentii qualcosa dentro di me, come un tonfo, poi un calore che sale e si sprigiona. Il respiro era al minimo, così come il battito del mio cuore. Percepii qualcosa di nuovo, qualcosa che…non so spiegare. La figura aveva una sua forma, il suo contesto era completo; le piccole pennellate, non più distinguibili da quella distanza, avevano acquisito ora un senso, la loro verità, come se tutte lavorassero per un unico scopo. Ero sorpreso. La mia mente, così come il mio corpo erano avvolti in una sensazione di leggerezza e pesantezza allo stesso tempo. Ne “La Camera di Vincent ad Arles” mi sentii un ospite gradito; mi accomodai sulla sedia vicino alla porta ed osservai la stanza da una visione meno distorta e più intima.
I girasoli di Van Gogh
La Camera di Vincent ad Arles
I quadri appesi alla parete di fronte a me, l’asciugamano sulla mia sinistra, il letto, la finestra socchiusa dalla quale entrava aria fresca ed usciva quella pesante. Mi rilassai, distendendomi su quella sedia e restando in ascolto. Van Gogh…non un folle, non un visionario, ma un uomo, un individuo con la sua voce, i colori e le sue idee, i pennelli. Sono daltonico è vero, ma ora riconosco il suo colore interiore. Mi sentii più ricco nell’animo e la convinzione che il mio “difetto” fosse in realtà un dono che mi permette di andare oltre le apparenze si fece strada in me con maggior forza. Decisi di prendere un’altra via, quella che tutti ammalia proprio per la moltitudine di colori mescolati assieme che creano un’opera d’arte della natura: i campi di narcisi e tulipani che in maggio sono in piena fioritura. Cosa mi avrebbero ispirato quei fiori se non potevo visualizzarne i colori intensi? Non mi restava che verificarlo. Solitamente i turisti affittano biciclette e pedalano lungo i campi colorati che coprono ettari ed ettari della campagna olandese, ma io preferii visitare il Keukenhof, un parco floreale con centinaia di tulipani e di numerosi altri fiori.È una vera sfida alla quale non intendevo sottrarmi. Dicono che il Keukenhof Gardens sia uno dei dieci posti che si dovrebbe assolutamente visitare almeno una volta nella vita: più di sette milioni di tulipani, narcisi e giacinti riempiono oltre 32 ettari di colore e profumo. Sapevo di dover fare a meno del colore, ma quando fui lì il profumo mi avvolse inebriandomi. Ancora una volta non avevo bisogno del colore. Chiusi gli occhi e mi lasciai catturare da fragranze di diversa origine, che riuscii ad isolare per tipologia di fiori.
Keukenhof I tulipani emanavano un profumo intenso e dolce. I narcisi dalle odorosissime corolle legati ad un complesso significato che rimanda ad una citazione: “Sei egoista e il tuo amore è vano come il vento”. Ricordai che la simbologia di questo fiore trova una probabile giustificazione nelle proprietà venefiche della pianta e che il nome scientifico Narcissus deriva dal vocabolo greco “narkè” ovvero “stordimento”. Le stesse caratteristiche appartengono ai giacinti, anch’essi legati ad una leggenda greca che ben conoscevo e che narra di Ajace il Telamonio. Furioso per non aver avuto le armi di Achille, contese ad Ulisse, si uccise, e dal terreno inzuppato del suo sangue nacque un fiore a cui fu dato il nome Hyacintus.
Chiusi gli occhi e mi lasciai catturare dalle fragranze...
Così narra la leggenda... I profumi erano talmente forti che iniziò a girarmi la testa. Riaprii gli occhi e la magia svanì in quel mare grigio. Oh sì, sono daltonico, ma ora ero consapevole di saper riconoscere i colori interiori degli altri e di me stesso, pur privandomi della vista. “L’essenziale è invisibile agli occhi”.Ero perfettamente d’accordo con Antoine de Saint Exupery. Avrei lasciato Amsterdam il giorno successivo, ma non potevo andarmene senza aver visto una delle sue attrazioni più pittoresche: i mulini a vento, vere e proprie icone olandesi, così importanti che è stata istituita la “Giornata nazionale del mulino”, durante la quale i mulini del paese sono aperti al pubblico, eccezionalmente, e ricade a maggio. Pensai di essere incredibilmente fortunato ad avere l’opportunità di poterli ammirare. Fu uno spettacolo incredibile.
L'essenziale è invisibile all'occhio Anche allora non mi serviva il colore. Sentire il vento sul volto, che portava con sé il profumo dei tulipani, fu un’altra esperienza unica nel suo genere. Mi persi nei miei pensieri, nei ricordi, quando qualcuno mi urtò violentemente, facendomi cadere. Era una donna, alta e piuttosto robusta. Si era fatta largo tra i numerosi turisti in modo non esattamente garbato, lanciando occhiate malevole e spintonando chiunque pur di passare davanti al gruppo. Non si degnò neanche di chiedermi scusa. Sono daltonico, ma percepii con chiarezza il suo colore interiore, nero come la sua anima.
Fu uno spettacolo incredibile! Solo col tempo imparai a non giudicare, ma in quel momento la odiai per il suo comportamento, per il subbuglio che aveva portato, per l’irruenza e l’aggressività che sprigionava e per cose che non sapevo spiegarmi. Aveva turbato la mia tranquillità, che forse tale non era. Il nero della sua anima, ad una prima impressione, che non sempre è quella che conta, mi aveva a dir poco sconvolto. A volte occorre lasciare andare, lasciare che il tempo scorra e porti con sé le paure, anche le nostre, che cozzano naturalmente contro quelle altrui impedendoci di riconoscerci. Ma solo col senno di poi. In quel momento provai solo odio e rabbia. Forse il nero della sua anima era anche un po’ mio.
Percepii con chiarezza il suo colore interiore...nero! Ma questo lo posso dire ora, ad anni di distanza da quell’episodio e dopo infiniti errori. Mi rialzai, scrollandomi di dosso la terra sui pantaloni e, dopo un ultimo sguardo al panorama, salutai Amsterdam. La meta successiva l’avevo pianificata da tempo, studiando le antiche civiltà che da sempre mi hanno appassionato. La Grecia mi attendeva e con essa una nuova sfida. Essa viene infatti descritta come un mosaico di colori. E riaffiorò in me l’inquietudine dovuta al mio difetto congenito. Anche se avevo scoperto che, pur non riuscendo a percepire i colori esteriori, sapevo come riconoscere quelli interiori, la frustrazione per i miei limiti a volte prendeva il sopravvento. Decisi di ignorarla. L’emozione di trovarmi nella patria di tanti eroi mitologici, nella terra in cui erano prosperate le arti e la cultura, mi tolse il fiato. Viaggiavo in solitario è vero, ma inevitabilmente dovevo condividere con altri turisti gli itinerari di maggior interesse. Sono daltonico, ma il mio udito funziona alla perfezione. Non potei fare a meno di ascoltare i commenti delle persone a me vicine, che decantavano bellezze naturali e artistiche che si susseguivano come tasselli di un’opera perfetta: il mare che si alterna alla montagna,
Forse il nero della sua anima era anche un po' mio! le colline che scivolano nelle pianure, le coste e i boschi che si sovrappongono, ma soprattutto il verde, il blu, il bianco e l’oro che si mescolano a formare un’alchimia unica. - Tutti prima o poi dovrebbero vedere questi colori, non crede? – mi disse una signora accanto a me. Le sorrisi ed annuii. Non avevo voglia di svelare il mio daltonismo, non in quel momento. Mi allontanai dal gruppo bramando quella solitudine che da sempre era mia compagna e alleata, poiché mi permetteva di concentrarmi e trascendere i colori che mi erano preclusi, cercando altre vie per scoprire la bellezza al di là delle apparenze. La Grecia è anche musica.
Grecia...il mare si alterna alla montagna... È anche letteratura, cultura. La Grecia è soprattutto storia, filosofia, pensiero.
La Grecia è musica! La Grecia delle prime olimpiadi, di Aristotele, degli dei. È la terra delle Meteore.
La Grecia...storia, filosofia, pensiero... La Grecia è anche sapore. Mi sedetti davanti ad una Moussaka e a seguire “cedetti le armi” ad un’ insalata greca. I colori delle melanzane, dei pomodori, della feta, delle olive…tutto passava attraverso il mio palato. Chiudevo gli occhi ad ogni forchettata ed assaporavo, rigirando fra lingua e palato, minuziosamente, ogni particolare. Spezie e aromi magistralmente equilibrati non coprivano i sapori ma li esaltavano.
Terra delle Meteore Tutto era perfetto, nulla fuori posto. Mi appoggiai allo schienale della sedia allungando le gambe sotto il tavolo, le mani appoggiate sull'addome. E rimasi lì, così, ad osservare. A pensare. A rilassarmi. Di fronte a me, in strada, la gente camminava; qualcuno più in fretta di altri. Normale, come in ogni città, come in ogni paese. Ma mi accorsi che non si muovevano tutti allo stesso modo. Ad esempio, notai due uomini che stavano parlottando tra di loro: uno gesticolava ampiamente e l'altro lo osservava di sfuggita tenendo le mani in tasca. Non riuscivo a udire cosa dicessero, ma capivo benissimo che il primo stava riprendendo il secondo e quest'ultimo nascondeva qualcosa, forse il suo senso di colpa o la sua vergogna. O semplicemente stava negando spudoratamente l'evidenza. Mi divertii ancora per una mezz'oretta ad intuire cosa passasse per l'animo delle persone che vedevo scivolarmi davanti, poi mi stancai e me ne andai. Solo il tempo e l'esperienza mi insegnarono che non è sufficiente guardare o osservare per capire, ma è necessario anche ascoltare.
Moussaka Ora per riconoscere il colore interiore di una persona, mi concedo tempo e spazio; non la condanno e non l'assolvo secondo i miei stati d'animo o le mie simpatie. Un individuo è unico nel suo genere. Avevo soddisfatto la mia fame di cibo, ma non ancora quella della conoscenza, della curiosità, dell’interesse. Nel mio immaginario le città della Grecia avevano sempre rappresentato la storia gloriosa degli eroi e della mitologia, la filosofia e le arti figurative, l’origine della democrazia. Ora ero lì, pronto a cogliere le incredibili testimonianze di una civiltà ad altissimo livello, ma soprattutto avevo l’occasione di riflettere sul valore dell’essere umano e sulle grandi imprese che alcuni uomini hanno potuto compiere nel corso della storia. Dire Grecia significa infatti dire storia. L’Ellas, la “terra lunare” capace di rievocare miti e leggende. Quella Grecia da sempre sospesa tra cielo e terra, abitata da uomini e dei, che ha saputo conservare intatto nel tempo il suo fascino.
Ascoltare! Era giunto il momento di immergermi in quella cultura, dove il colore aveva poca importanza. Ciò che contava era immergersi nella contemplazione. Ci sono tante ragioni per visitare la Grecia ed è difficile decidere da dove cominciare, ma io lo sapevo: Atene doveva essere la prima della mia lista. Come potevo non iniziare dalla capitale e cuore culturale della Grecia? Visitandola compresi perché è considerata sospesa fra Oriente e occidente, fra antico e moderno. È un luogo che custodisce gelosamente i fasti del passato, ma sa aprirsi alla modernità. Raggiunsi l’Acropoli e naturalmente il Partenone, da tutti considerato il tempio per eccellenza, un’opera perfetta per semplicità ed armonia.
...tra cielo e Terra! E poi il tempio di Artemide nell’antica città guerriera, Sparta, ed Argo, la città più antica in continua lotta con Tebe, Troia e la stessa Sparta, con gli incredibili resti della dominazione romana, e Tirinto, con le sue mura ancora più imponenti di quelle di Micene, la celebre città di Agamennone, il re dei re, e ancora Olimpia, dove per oltre un millennio si riunirono ogni quattro anni atleti e pellegrini provenienti da tutta la Grecia e dove ancora oggi viene accesa la fiamma olimpica che annuncia l’inizio delle gare di atletica.
Il Partenone
La fiamma olimpica Anticamente le differenti città greche, gelose ognuna della propria autonomia e del proprio prestigio, e per questo perennemente in guerra, solo durante i giochi olimpici sviluppavano un sentimento di appartenenza comune e stabilivano una tregua, in nome degli dei in onore dei quali i giochi erano celebrati. Era il periodo della “pace divina”. L’antico fascino era penetrato in me, ed anche se non potei ammirare l’azzurro che sfuma nel verde argento attorno a Delfi e il rosso delle rocce di Meteore mi sentivo appagato.Seduto in un Kafenion sorseggiavo il tipico caffè greco, mentre mi giungevano all’udito suoni di ogni genere, dalla musica folk a quella contemporanea, e proprio nella piazzetta di fronte al locale in cui mi trovavo un gruppo di giovani ballava il sirtaki.
Kafenion
Il sirtaki
Ero nella patria di Maria Callas, di Mikis Teodorakis, Costa Gravras, Antonis Samarakis…dentro di me danzavano tutti i miei colori interiori, mescolati assieme, come le innumerevoli emozioni che quella terra mi aveva regalato. Vivere in un luogo così intenso, così pieno di storia mi dava forza, cementava le mie convinzioni ed anche la mia capacità di leggere i colori senza distinguerli. Ma del resto cosa erano i colori se non una convenzione creata dall’uomo, una convenzione a cui si era deciso di dare un fortissimo valore rispetto al senso interiore, quello vero, quello reale?Ma era meglio non lasciarsi andare a certi pensieri, era meglio non intraprendere la strada di un concetto così importante del vivere d’oggi. Immaginiamo per un attimo che di colpo fossero spariti i colori e tutti potessero vedere solo in bianco e nero. Io sarei comunque sempre diverso dagli altri, questa volta però solo perché “portatore sano” di un grande vantaggio… quello di aver iniziato prima di tutti ad apprezzare la loro mancanza, quella dei colori. Intanto che fantasticavo, non avevo notato una ragazza, che poco prima stava ballando il sirtaki nella piazzetta di fronte, staccarsi dagli amici ed avvicinarsi a me con l’evidente proposito di parlarmi.
Colori...convenzione creata dall'uomo? - Ciao Fiore – disse con tono caldo e accogliente quella splendida fanciulla dai capelli, ahimè, credo neri. Sicuramente non la conoscevo. Non l’avrei dimenticata altrimenti, non fosse altro che per la superba intensità dei suoi occhi e per il modo forte e diretto di fissarmi, proprio come una leonessa guarda e possiede il cuore del suo leone. - Ciao – le risposi, resistendo alla curiosità di chiederle come conoscesse il mio nome e aspettando gli sviluppi di quella insolita situazione. - Ti aspettavo sai? – continuò lei – Da tempo sapevo che saresti venuto ed ora sei qui finalmente. Mia madre, fin da piccola, mi ripeteva che un giorno avrei incontrato un uomo mai visto prima, ma che avrei subito riconosciuto ed al quale avrei raccontato una storia, fantastica all’apparenza, ma sicuramente non per te. La ascoltavo. Incapace di dialogare mi esprimevo a gesti, attratto dalla luce di quella giovane donna che sembrava uscita da un film. Pensai di darmi un pizzico ed un ceffone, di quelli che creano dolore, per avere una prova tangibile di essere veramente sveglio, ma le mie mani erano bloccate, soggiogate dalla mia volontà. L’unica cosa che ero in grado di fare era osservarla ed ascoltarla, ed era ciò che stavo facendo. Lei ripeté il mio nome e continuò a parlarmi: - Fiore, il mio nome è Dafne. Devi sapere che io sono figlia del dio dei Fiumi e della Terra e che i colori, da quando sono stata privata della possibilità di amare, non esistono più. Essi sono stati cancellati, strappati via e racchiusi in queste piante di alloro. Questa racchiude l’essenza del Tutto. – disse mostrandomela - Eccola, la custodisco gelosamente da tanto tempo ed ora te ne faccio dono. Non perderla. È preziosa e sarà per te illuminante al momento opportuno.
...l'intensità dei suoi occhi e il suo modo forte e diretto di fissarmi... I battiti del mio cuore erano incredibilmente accelerati, non riuscivo a capire cosa stesse realmente accadendo, né quanto avevo ascoltato. Ma chi era veramente Dafne? Decisi di non fare domande per approfondire, anche perché ero bloccato e rigido come un blocco di marmo… Chissà, forse in balìa di un incantesimo. - Devi sapere che a te è affidato un compito molto difficile, ma ne sei all’altezza. – continuò lei - TU sei il prescelto! Ogni generazione ha un prescelto. Tu sei colui che dovrà rappresentare il senso di perfezione, il pensiero pulito, fuori dalle convenzioni e dalle costruzioni dell’uomo, tu sei l’uomo che leggerà il cuore delle persone e non il colore, creato e ordinato dalla vita e dalla fredda ignoranza dei popoli.
L'essenza del tutto! Immagino che ti chieda chi sia io. Ebbene… io sono come te una prescelta, ma il mio unico compito è comunicare a te e agli altri che verranno dopo di te, la loro missione di portatori di rettitudine e senso di semplicità, unitamente a una profonda unicità interiore. Tu, da oggi, sarai il legittimo proprietario dei colori. Usa la saggezza con essi. Quella conversazione unilaterale mi sconvolgeva. Mentre mi accingevo a parlare, o meglio a cercare di farlo, scattai in piedi cercando di dare libertà alle parole che la mia mente aveva elaborato, ma accadde qualcosa di imprevisto e inspiegabile. Proprio in quell’istante mi svegliai. Nulla sembrava mutato, l’unica differenza era che attorno al collo avevo piante di alloro che mi avvolgevano con delicatezza come sciarpe di seta. Ero ancora seduto al caffè, mentre nella piazzetta il gruppo di ragazzi continuava a ballare il sirtaki, abbigliati con i costumi del folklore locale. Dafne era tra loro e danzava, ora diversa, avvolta in uno splendido abito bianco, e mi guardava.
Puro pensiero Assurdo! Dovevo aver sognato. Come potevo essere il legittimo proprietario dei colori se vedevo ancora in bianco e nero? Dove erano il rosso, il verde, il blu, il giallo e tutte le altre tonalità? Qual era il mio potere, quello che faceva di me il prescelto, capace di leggere nel cuore delle persone? Dovevo saperne di più, dovevo comprendere, e solo Dafne avrebbe potuto colmare le lacune che oscuravano la mia capacità di discernere il fantastico dal reale, la verità dalla follia. Mi alzai fissando quella ragazza meravigliosa che si muoveva in sintonia con la musica con movimenti eleganti e aggraziati, poi mi incamminai lentamente verso di lei, deciso a raggiungerla. Quando fui vicino al gruppo, che continuava a muoversi in cerchio, le braccia a cingere le spalle dei ragazzi vicini, i passi incrociati tipici del ballo caratteristico greco, mi resi conto che Dafne non c’era più. La cercai con lo sguardo in ogni direzione, finchè la vidi sulla riva, i piedi nudi e i capelli al vento.
Dafne Colsi nel suo sguardo un invito e affrettai il passo. Non volevo perderla di nuovo. Lei era la mia verità. Cercai di raggiungerla, ma mi accorsi subito che non sarebbe stato così semplice poiché continuava a spostarsi, senza che io potessi mai trovarmi davvero accanto a lei. La sua essenza era diversa dalla mia, mi era chiaro ormai, ma non la verità che essa portava dentro quella verità che io avrei dovuto raggiungere per dimostrare di essere veramente colui che possedeva i colori, la cognizione della loro esistenza e della loro assenza perfino, cosa di cui ero testimonial d’eccezione. La verità non si ottiene in regalo da qualcuno o attraverso un dono superiore, ed era questa la difficile situazione in cui mi sentivo immerso, come una persona che non solo deve meritare ciò che il destino ha deciso per lui, ma dimostrare di meritarlo. Ne avevo le doti, questa era la comunicazione che mi era stata data ed era giunto il momento in cui dovevo diventare attore del mio futuro. Ora comprendevo il significato di tutto quel fuoco di conoscenza, di vitalità, di voglia di osservare e vedere, di curiosità che ardeva in me da sempre. Presi piena coscienza di me, un uomo presente a se stesso. Ero consapevole che davanti a me c’era tutto ciò che, grazie al mio naturale talento, potevo raggiungere. Non sarebbe stato facile. Si aprivano davanti a me le porte dell’impegno e del sacrificio. Per un attimo la vidi ancora, ma la sua figura si dissolse e di Dafne rimase solo un’aura luminosa che si avvicinò a me, avvolgendomi prima di scomparire.
...la vidi sulla riva del mare... Mi aveva donato la verità, che avevo fatto mia. Ed avvertii ancora una volta il soffio del vento, come quel giorno in cui decisi di lasciare tutto per partire alla ricerca dei colori confusi nel caos della creatività.
...solo un'aura luminosa!
...ed avvertii ancora il soffio del vento! Ma ora era diverso, la mia vita era diversa e non potevo ignorare il richiamo di quella fanciulla, figlia del dio dei Fiumi e della Terra. Quando la sua essenza trascendente il corpo mi aveva attraversato avevo chiaramente percepito la sua richiesta di aiuto. Lei, messaggera immortale per uomini come me e per chi sarebbe venuto dopo di me, erede di un potere immenso quale portatore di una grande e profonda virtù interiore, soffriva. La privazione del colore ci accomunava, ma quella creatura aveva dovuto rinunciare all’amore. Non potevo immaginare pena più grande. Mi sdraiai e affondai le mani nella sabbia, chiusi gli occhi. Non volevo vedere il mondo in bianco e nero e sapevo di non potermi affidare all’immaginazione, poiché nulla sarebbe stato diverso. Io, il prescelto…che assurda contraddizione! Le mie certezze di poco prima già vacillavano. Impegno e sacrificio! Sarebbero valsi a qualcosa? E la udii, nella mia testa lei mi parlò:- Non aver paura, col tempo capirai e saprai come gestire il tuo dono, e quando ciò avverrà mi restituirai la libertà di amare di cui sono stata privata. Ricorda…per rappresentare la perfezione ed il pensiero puro dovrai imparare a trascendere le apparenze e leggere nel cuore delle persone. Quando ci riuscirai potrai vedere con chiarezza il loro colore interiore, che ti svelerà i segreti della loro anima. Non dimenticare l’alloro…nella prima pianta è racchiusa l’essenza del Tutto.Ma come sempre la forza interiore si acquisisce e la si rende sempre più imperante quando è frutto di una lotta, di una contraddizione, di uno scontro tra le già scarse certezze della vita. Era incredibile quante sfaccettature il mondo dei colori e quello del bianco e nero possedessero, e quanto potere questi due mondi avessero inglobato fino a diventare arbitri ed attori consapevoli di un racconto così pieno di mistero. Era bella Dafne, ma era ancora più bella la vitalità che mi aveva trasferito, che aveva preso possesso della mia mente, del mio passato, del mio presente e forse anche del mio futuro.
...non dimenticare l'alloro! Ero ad un bivio, forse c’ero sempre stato. Riflettendoci tuttavia forse non era così: io ero un predestinato e come tale le mie scelte potevano essere relative, poco elastiche perfino. Io ero ciò che il destino voleva che fossi, ma questo era un bene visto nell’ottica dell’irrequietezza della vita, della mia irrequietezza e di quella che l’immagine di Dafne aveva alimentato. Mi attendeva un’esperienza notevole, di certo bella e di grande spessore, ma non ero spaventato… l’alloro mi avrebbe protetto. Il suo senso mi avrebbe protetto, quello per cui era nato e che conduceva alla gloria, quella degli uomini superiori, alla pace, simbolo di coloro che attraverso il dialogo riuscivano a “far sorridere” il mondo ed infine alla protezione, punto finale di ogni percorso d’amore. E proseguii il mio viaggio, con nuove prospettive e maggiori aspettative e certezze. Il Mondo è così vasto e ci sono tanti posti da conoscere, culture da scoprire, legami da stabilire.
Era bella Dafne, la sua vitalità era nella mia mente...
...e proseguii il mio viaggio! Ero giovane e divorato dal desiderio di trovare quel qualcosa in più che mi mancava da sempre. Non viaggiai solo. Avvertivo dentro di me l’essenza di Dafne. Quella creatura si era introdotta nell’irreale di un sogno e la sua presenza mi tranquillizzava e mi aiutava ad apprezzare ciò che mi circondava, in qualunque luogo mi trovassi. In tutte le direzioni si snodavano strade con diverse caratteristiche, alcune comode, altre difficili, brevi o lunghissime. Ogni strada era costellata da punti fissi da raggiungere o da aggirare, ma ero sicuro di me e fiducioso nella protezione dell’alloro. Tra la folla o in compagnia della solitudine amica, la mia mente spesso si isolava. Negli ambienti, come dal nulla, apparivano scene reali o forse volute dalla mia immaginazione, dipinte con i colori dell’ottimismo. I miei pensieri, legati soprattutto al presente e volti al futuro, erano accompagnati da profumi insistenti e tinte del tutto trasparenti eppur significative. Forse il mio cammino verso la perfezione del pensiero puro era finalmente tracciato e mi resi conto che stavo imparando a trascendere le apparenze per scavare più a fondo nel cuore delle persone. Tutto era strano nell’affascinante viaggio che a volte diventava quasi surreale, costringendomi a soste di riflessione e a guardare in faccia la realtà. La voce di Dafne mi riportava alla coscienza e forse mi guidò, incontro al mio destino. Quando la vidi, da lontano, rimasi quasi paralizzato. Dafne! Era seduta su una panchina, circondata da piante e fiori, di certo avvolta da innumerevoli colori a me preclusi. Una forza sconosciuta mi spinse verso di lei, assorta nella lettura e apparentemente lontana da qualunque percezione terrena, a contatto piuttosto con una realtà parallela, coesistente in un’altra dimensione. Pronunciai il suo nome ed ella alzò il viso. Mi sorrise, piegando graziosamente il capo. Nella mia mente sentii la voce di quella evanescente creatura che si era insinuata in me ed era divenuta la mia guida:- Cogli il frutto del destino senza pensare ad altro, credi nella certezza del momento, affinchè la speranza del domani non si trasformi in miraggio! - Mi chiamo Martha! La vidi sotto una nuova luce, sotto altre sembianze, e compresi.Avevo raggiunto la mia meta. Sotto i rami contorti di un vecchio pino una coppia di tortore era intenta a costruire un nido sicuro accanto alla pigna che si apre per offrire una pioggia di semi marroni, speranza di compagnia in un futuro condiviso.
Martha La mia mano trasse dalla tasca della giacca le piante di alloro, portai la prima alla portata del mio olfatto e avvertii l’essenza del Tutto. Ogni cosa era chiara, la mente non vagava più nel vuoto, ma trovava conforto in un nuovo sogno, nella volontà di continuare la via verso un domani certo. Ero daltonico e legittimo proprietario dei colori tuttavia. Non chiedetevi come ciò sia possibile. Non lo capireste mai usando il raziocinio. Martha era la mia via per il colore, lo è tuttora. La memoria chiama un pensiero che vaga, la mente interviene e lo rende presente. Gli occhi rivivono un’avventura da ricordare. Ero stato il prescelto, uno dei tanti, ed avevo assolto al mio compito. Dalla finestra entrò un robusto raggio di sole di Maggio. Un nuovo giorno, pronto a diventar passato nel giro di poche ore, come tanti altri. I pensieri si dissolsero mentre l’aria fu invasa da un invitante odore di caffè. Tra poco avrei gustato una tazza di quel liquido nero ed eccitante con la stessa religiosità di tanti altri giorni, anche se quello era un giorno speciale, quello in cui Martha ed io avremmo festeggiato il nostro cinquantesimo anniversario, circondati dall’amore dei nostri figli e nipoti. Avevo trovato la mia strada nel difficile percorso della vita e mi sentii forte. Avevo imparato tanto e tanto insegnato. Ripensai a una citazione di Paulo Coelho: “Il guerriero non si lascia scoraggiare. Accumulare amore significa fortuna, accumulare odio vuol dire calamità. Un guerriero della luce sa che, nel silenzio del suo cuore, c'è un ordine che lo guida.” Ero stato il prescelto, avevo assorbito la saggezza della figlia del dio dei Fiumi e della Terra, alla quale avevo restituito la capacità di amare, ero divenuto il legittimo proprietario dei colori. Ero e sono un guerriero. Sono daltonico, ma so riconoscere i colori dell’anima!
Sotto i rami contorti di un vecchio pino...
Il viaggio è nella testa!
Le immagini sono state reperite sul Web
Nessun commento:
Posta un commento