Da tempo ormai desideravo che le cose cambiassero
nella mia vita. Avevo realizzato il sogno dei miei genitori che volevano un
figlio laureato,
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Il sogno dei miei genitori |
me a cui non era mai
piaciuto studiare, ma solo utilizzare le braccia e la mente per creare
una fattoria importante ed autonoma,
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La fattoria dei miei sogni |
a differenza del loro desiderio, che
consisteva nel tenermi lontano dalla dura fatica dei campi che avevano
ereditato dai miei nonni materni; avevo realizzato il sogno del mio nonno
paterno, da anni sulla sedia a rotelle per un problema piuttosto grave alla
schiena,
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Nonno paterno |
acconsentendo ad incontrare un suo fratello lontano, anch'esso malato,
a cui voleva che io portassi personalmente un ciondolo appartenente alla loro madre;
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Ricordo per un fratello |
avevo realizzato il sogno di mia sorella, più grande di me di quasi tre anni, quello che, nel caso avessi avuto una figlia
"femminuccia", come la definiva scherzosamente lei, l'avrei fatta
battezzare con lei come madrina;
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E la zia è contenta! |
avevo persino realizzato il sogno di Don
Matteo, il parroco del paese dove ero nato, sposando una donna nostrana,
rispondendo al detto "Moglie e buoi dei paesi tuoi",
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Don Matteo la spuntava sempre! |
proprio io che
durante l'università mi ero invaghito di una ragazza straniera che, purtroppo,
non potevo, o meglio, non volevano che sposassi. Nulla da dire contro Clelia,
la mia attuale moglie, ma Artel era la mia passione. Clelia mi aveva regalato
Mafalda, mia figlia,
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Mafalda |
un nome scelto per accontentare... l'altra mia nonna
naturalmente. Ma io ero Fabio, io avevo un'anima, dei desideri, delle speranze
ed ero medico in una delle cliniche più importanti della città dove risiedevo. Quando
avrei iniziato ad ascoltare me stesso? Il fuoco di questi pensieri aveva da
tempo superato il livello di guardia e non ero più in grado di essere sereno, come
forse avrei dovuto essere. Ma un carattere come il mio quando parte, parte. Una
vita agiata, una laurea in medicina, la fama di figlio per bene e marito devoto
non fanno di quel figlio un uomo, non fanno di un uomo se stesso. La ribellione
adolescenziale tenuta a bada e i miei sogni...già, i miei sogni. Quali erano i
miei sogni? Non lo ricordavo più; tenuti chiusi in un cassetto così a lungo,
avevano perso la loro freschezza, la spontaneità, la loro brillantezza.
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Il miei sogni nel cassetto |
Più
volte in passato avevo avuto occasione di mettermi alla prova, ma
puntualmente cedevo ai sogni e alla volontà altrui. Certo, le cose accadono
quando siamo pronti ad affrontarle e anche se ne soffriamo, cogliere l’occasione
ci accresce, donandoci un minimo di saggezza. Era forse arrivato il momento di
rivalutarli, i miei sogni, o per il quieto vivere avrei dovuto lasciarli
riposare chiudendo definitivamente quel cassetto? Non lo sapevo. Le cose non si
possono mai sapere se non col senno di poi. Sapevo solamente che una grande
inquietudine si era impossessata di me.
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Perdersi nell'inquietudine |
Nel mio lavoro diventavo ogni giorno
più distratto. La vita di società mi dava la nausea. I miei colleghi e le loro
mogli mi erano divenuti tutto ad un tratto insopportabili. Mi resi conto che avrei
dovuto prendermi una pausa. -Un viaggio?- propose Clelia e, senza attendere
risposta propose di partire per la Malesia, usufruendo così di uno dei
bellissimi tour offerti da una nota casa farmaceutica. Pensai che anche il fatto
di consigliare ai miei pazienti inutili pillole facesse parte dell'infausto bagaglio
del mio malessere.
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Le pillole non risolvono tutti i problemi |
Realizzai che avevo bisogno di altro. Dopo notti
insonni, presi la decisione di partire da solo, anzi in compagnia di una valigia,
nella quale avrei riposto pochi indumenti e molti libri.
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Mai senza un libro! |
Clelia manifestò
subito il suo disappunto. Sarebbe stato, quello, il primo vero distacco dal
menage matrimoniale. Non erano mai sorti problemi in passato, quando i viaggi”
in solitario” erano imposti dal mio ruolo di medico e dalla necessità di
aggiornamenti. Nel mio campo inoltre, quello della chirurgia ricostruttiva, è
d’obbligo restare al passo con le innovazioni. Riparare in modo ottimale i
danni conseguenti a traumi di varia natura o lesioni a seguito di un intervento
demolitivo è possibile solo grazie ad eccezionali capacità e all’apertura verso
tutto ciò che consenta di restituire ad un paziente, per quanto possibile, le
funzionalità perdute. Io possedevo talento, ero sensibile alle esigenze dei
malati o, peggio ancora, dei traumatizzati, e questo faceva di me un luminare,
ricercato ed apprezzato.Ora il dramma era mio. Ero io quello che aveva
necessità di un intervento di ricostruzione, non fisico ma della mia
personalità e della mia salute mentale. Stentavo a riconoscere in me quel
brillante professionista che traeva tali e tante gratificazioni dal proprio
lavoro. Chi ero diventato? Non mi riconoscevo più.
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Chi sono? |
Clelia non mi riconosceva
più ed io avevo solo voglia di fuggire per ritrovare me stesso. La Malesia è
conosciuta come uno di quei posti dove, nonostante la lontananza dalla nostra
civiltà e dai nostri modi di vivere, ti senti comunque a casa. Era il posto
giusto, lo sentivo. Il percorso da casa all’aeroporto fu caratterizzato dal
silenzio, una forma di comunicazione anch’essa, che stava a significare il
rancore di Clelia per quell’esclusione a suo giudizio immotivata,
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La delusione di Clelia |
il silenzio
di Mafalda, a dieci anni abbastanza matura da percepire una crisi, della quale
faceva involontariamente parte e che le causava sofferenza e sgomento, mai
manifestati per non ferire sua madre e me. Le avevo parlato, le avevo spiegato,
l’avevo rassicurata, o almeno ci avevo provato. Avrebbe capito, ne ero certo.
Forse anche mia moglie sarebbe riuscita a darmi una chance. Ma non adesso, non
ancora. Il suo saluto fu freddo e sbrigativo. Un abbraccio di Mafalda mi fece sentire
meno colpevole per quella fuga e per la delusione che probabilmente le stavo
dando, e contro la quale lei stava combattendo, mostrandosi comprensiva e
fiduciosa. Dal mio posto, accanto al finestrino,
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E anche la fantasia volò! |
potevo ammirare il panorama e
lasciarmi andare alle fantasticherie che speravo mi avrebbero condotto
“all’isola che non c’è”, dove avrei potuto riappropriarmi della mia identità.
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Viaggio per l'"Isola che non c'è"! |
Ritrovare me stesso! Il volo sarebbe durato parecchie ore. Non avevo voglia di
pensare a nulla, perciò misi gli auricolari e mi persi tra le meravigliose note
di Pachelbel, Beethoven, Albinoni, Chopin, Bach e altri artisti che amo alla
follia. La musica classica mi rigenera e mi dona emozioni note alla mia
sensibilità, eppur sempre nuove.
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La musica è sempre una buona idea! |
Chiusi gli occhi e mi rifugiai nel mio angolo
di paradiso, che risiedeva tra i meandri della mia mente, nella mia memoria
visiva che evocava immagini del mio vissuto, nei miei desideri più reconditi.
Probabilmente mi addormentai, cullato da quelle affascinanti melodie. Fu
l’assistente di volo a distogliermi dal torpore in cui ero caduto: - Siamo in
avvicinamento all’aeroporto internazionale di Kuala Lumpur signore, e sta per
iniziare la fase di atterraggio. La prego di togliere gli auricolari ed
allacciare la cintura di sicurezza. Benvenuto in Malesia!
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Un augurio e tante speranze |
Mi attenni alle
istruzioni. Ero impaziente di vivere il “mio” sogno, finalmente, dopo aver
realizzato unicamente quelli di altri. Il cambiamento iniziava in quel luogo
dell’Oriente, così distante dalla mia quotidianità, divenuta per me
intollerabile. La prima cosa che realizzai subito era che non avevo con me
nessun biglietto di ritorno.
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C'è sempre una prima volta in cui è lecito osare |
Era la prima volta che viaggiavo senza conoscere
la data in cui avrei fatto dietro-front, anche se si trattava di un ritorno,
che comunque non era nei miei pensieri e nei miei programmi, anche perché
“non avevo programmi”. Non conoscevo la Malesia,
se non dai ricordi del mitico Sandokan, della sua donna, la perla di Labuan
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La "tigre" della Malesia |
e
del Sarawak, la regione dove, nella mia fantasia di bambino e nella
musicalità della parola stessa, la tigre della Malesia viveva, viaggiava,
amava e combatteva. Ma la Malesia, quella vera, non tardò a farsi
conoscere. Kuala Lumpur si presentò con tutto il suo calore, quasi da
shock, con un’umidità impressionante; non era certo la situazione migliore
per le mie particolari vacanze ma avevo deciso, prima di
fare l’avventuriero alla scoperta di uno spazio a mia misura, che avrei
dovuto dare una sbirciatina alla città. Abbandonai i bagagli nel
deposito in attesa di decidere cosa fare, mentre un’ incantevole ragazza
malese, alla reception di un punto di accoglienza mi sorrise parlandomi in
inglese – “ Good evening Sir, J hope you have a good time here,
in Malaysia. If you want a taxi, j call for you”.
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Accolto con un sorriso! |
Mi ritrovai in un attimo
al centro della città davanti a due miracolose torri gemelle con almeno
un centinaio di piani ad edificio; sembravano quasi una risposta ad
altre due torri, più tristemente presenti nella memoria collettiva.
Trovavo queste due imponenti costruzioni un’ enorme forzatura ma
l’emozione, quella che provavo, era reale, per cui il loro compito lo
stavano assolvendo completamente.
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Petronas Towers |
Ad un tratto squillò il telefono.
Era mia moglie, ma io non avevo voglia di parlarle, almeno per ora.
Lo avrei fatto solo quando ne avrei avuto desiderio, quella sensazione che
da necessità diventa impellenza, che parte dall’intimo di ognuno di noi ed
esplode senza poterla controllare.
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Chiamata rifiutata! |
“Voltai pagina”, ed ecco… il mio viaggio ora
era davvero iniziato, anche se di tanto in tanto mi veniva in mente mia
figlia Mafalda, ma cercavo di non soffermarmi troppo sulla sua immagine e sul
fatto che potesse sentirsi abbandonata. Lei però mi conosceva bene; intuiva, ne
ero certo,come solo una figlia sa fare, grazie anche al rapporto speciale che
ci legava, che non avevo reciso nulla, ma solo allentato un po' la distanza,
una distanza che nessuna "Kuala Lumpur" avrebbe mai potuto creare con
ciò che sentivo carne della mia carne, al di là della mia scelta del momento.
Non lo avrei mai detto, ma lo pensavo: Mafalda mi ricordava in alcuni tratti somatici
ed atteggiamenti Artel, il mio grande amore perduto nell'etere della vita
passata; me la ricordava nel sorriso, nei modi, nel suo mordersi le labbra
quando era in difficoltà, nel suo toccarsi i capelli quando intendeva
confondermi, nel suo giocare con la sua femminilità ancora acerba, me la
ricordava soprattutto perché era in gioco il sentimento più grande che ci
fosse... l'amore.
|
Il suo mordersi le labbra... |
|
|
toccarsi i capelli... |
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Amore! |
Ma ora basta! Avevo un obiettivo ben preciso: dovevo
dedicarmi a me stesso e alla ricostruzione del mio carattere e di quei piccoli
brandelli di dignità emotiva che sembravano essersi lacerati. Ad un tratto mi
resi conto di essere arrivato, passo dopo passo e assorto nelle mie riflessioni,
nello scimmiottante quartiere cinese; pensando e fantasticando avevo camminato
tantissimo fino a giungere davanti ad una stupenda quanto intrigante Chinatown
malesiana, dove i colori avrebbero attirato anche i daltonici inguaribili.
Odori, movimenti, giochi di luci, tessuti e costumi inconfondibili erano lì che
attendevano di essere percepiti, colti, compresi, ammirati e, perchè no,
vissuti. Stavo iniziando a farmi catturare dal territorio e dalle sensazioni
che emanava... mi sentivo proprio bene.
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Il frenetico quartiere cinese |
Tutto era un vorticare pazzesco
di energia, di vita che potevo respirare a pieni polmoni; un pullulare di
immagini, intriganti, esotiche, inafferrabili se non lasciandosi andare. Ma
proprio qui stava il problema, l’ostacolo insormontabile: lasciarsi andare.
Abituato com’ero al controllo e alla repressione delle emozioni più forti,
avevo sempre indossato la maschera della diplomazia che, senza accorgermene,
era diventata la mia seconda pelle, ormai impossibile da distinguere dalla
realtà.
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Quando sei costretto a indossare una maschera |
Ma è così, in fondo; ci costruiamo un mondo, inconsapevolmente, perché
quello che stiamo vivendo, o che siamo costretti a vivere, ci va troppo
stretto. E io stavo ancora indossando un vestito troppo stretto, scarpe troppo
strette e nonostante il dolore e la sofferenza, ancora mi vestivo di quegli
indumenti. Non mi rendevo ancora conto che quando ci allontaniamo dal luogo che
identifichiamo come nostra prigione, in realtà quella prigione, la portiamo con
noi perché fa parte di noi e la riconosciamo come unica sicurezza. Intimamente
invidiavo quella gente che, con molta serenità, nonostante le condizioni di
vita, sorrideva con dolcezza ad ogni battito di ciglia. La cultura
orientale mi aveva sempre affascinato, con i suoi contrasti e contraddizioni
tremendamente evidenti come la luce del sole, come un segno nero su un foglio
bianco. Era il mio sogno, un sogno che stavo vivendo ad occhi aperti tra i
mille colori della strada colma di bancarelle, frutta, animali, persone, wok
fumanti.
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Wok |
Ma ancora una volta ero in mezzo alla gente, la cui quotidianità mi
ruotava attorno, mi avvolgeva. Se pur affascinante, quella folla, i grattacieli
di Kuala Lumpur e gli altrettanto imponenti Dipterocarp, alberi i cui tronchi
sembrano modellati da uno scultore, all’improvviso mi soffocarono.
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Dipterocarp |
Avevo
bisogno di spazio, di natura. Per quanto il mio viaggio fosse stato poco
programmato, sapevo che in Malesia i voli interni si possono prenotare da un
giorno all’altro. È ciò che feci, d’impulso e con entusiasmo. L’indomani mi
ritrovai a sorvolare, poco prima dell’atterraggio, la cima del monte Kinabalu,
nel Borneo Malese.
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Il monte Kinabalu |
Ad attendere me e altri turisti un minibus che ci avrebbe
condotti in un lodge all’interno della foresta, sulle sponde del fiume
Kinabatangan. Il viaggio in bus durò alcune ore, ma non fu faticoso. La guida
ci illustrò il programma: all’arrivo ciascuno di noi avrebbe avuto la chiave
del proprio alloggio, dove avrebbe potuto riposare un po’, rinfrescarsi e
cambiarsi prima della cena. Quando mi trovai nella mia camera lasciai cadere a
terra il bagaglio e mi guardai attorno. Mi sentii a casa. Effettivamente era
vero ciò che si diceva della Malesia. Da anni ormai non provavo quella
sensazione di appagamento e serenità interiore!
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La Malesia e le sue bellezze |
Tutto il resto era rimasto in
un angolo della mia memoria, che per il momento non volevo affiorasse. Dovevo
dimenticare per potermi riappropriare della mia identità, per decidere cosa
fare della mia vita, una volta che quell’avventura fosse finita. Una doccia
ritemprante, un veloce cambio d’abito e mi ritrovai in un ampio gazebo, dove
sarebbe stata servita la cena.
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Una piacevole serata |
Condivisi il tavolo con una coppia di Americani,
una famiglia giapponese e due ragazzi inglesi. La serata fu davvero splendida: rumori provenivano dagli alberi, facendoci
intuire una vita notturna che si palesava quasi amplificata dai movimenti delle
foglie. Il buffet era vario e gustoso, a base di carne, pesce, verdure, riso,
frutta, dolci e the a volontà, ovviamente.
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Non resta che scegliere |
Feci onore alla tavola, scoprendomi
affamato di cibo, oltre che di novità. Un breve scambio di informazioni
personali in inglese con i miei compagni di tavola e poi tutti in camera. Il
programma per il giorno dopo era piuttosto impegnativo. Quella notte dormii
profondamente, senza sognare. Il mio sogno, quello che aspettavo da tanto di
poter realizzare, era ancora latente e in attesa di contorni ben definiti.
C’era tempo! Quando bussarono alla porta
ero già in piedi da circa mezz’ora. Una colazione veloce e il tour iniziò con
la navigazione sul fiume per vedere il risveglio degli animali: oranghi,
scimmie, coccodrilli, elefanti, rinoceronti, tucani. Che meraviglia! La
mattinata passò senza che ce ne accorgessimo.
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Esperienza unica! |
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Tucano |
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Scimmie |
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Il possente elefante |
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Rinoceronte |
Tornammo a terra per il pranzo e
godemmo di qualche ora di relax e tempo libero, che ognuno gestì a proprio
piacimento. Poi partenza per il trekking a piedi nella giungla, dove grazie
alla guida malese appresi di piante ed erbe, storie legate ad esperienze
vissute in quello straordinario habitat, che si cercava disperatamente e
ostinatamente di preservare, cercando ogni giorno di salvare quel poco che era
rimasto della giungla, delle specie animali in difficoltà, delle abitudini
della popolazione. Mi sentii parte di qualcosa di grande e di unico.
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Sentiero nella giungla |
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Al seguito di una pittoresca guida |
Quella
sera decisi di chiamare Clelia. Non che ne avessi voglia e sembra orribile a
dirsi, ma ero ormai consapevole del baratro che ci separava da tempo, dopo
l’illusione iniziale di un rapporto in cui il sentimento sembrava sincero. La
verità era che nel mio cuore c’era una ferita ancora aperta dopo la separazione
forzata da Artel. Il profondo affetto che nutrivo per mia figlia aveva in parte
colmato il vuoto che si era impadronito della mia anima, ma non era
sufficiente, non più. Un matrimonio senza solide basi è destinato a fallire e
Clelia aveva il diritto di saperlo, ma di certo non per telefono, non in quel
momento. - Sono io! – le dissi quando
rispose. - Incredibile! – aggiunse lei – Sei riuscito a trovare un po’ di tempo
per la tua famiglia? Temevo ti avesse punto qualche strano animale e che avessi
perso la memoria. - Risparmiami il sarcasmo Clelia, ti prego. Non rendiamo le
cose più difficili di quanto già non siano. Dimmi piuttosto come state, tu e
Mafalda. - Oh, noi stiamo bene, stai tranquillo. Puoi continuare a goderti la
vacanza, e non disturbarti a richiamare. Ci vedremo al tuo ritorno, sempre che
tu abbia intenzione di tornare. Non c’è bisogno che mi avvisi e non aspettarti
che venga a prenderti in aeroporto. Puoi senz’altro permetterti un taxi, no? -
Clelia, tutto questo… - ma la conversazione fu bruscamente interrotta. Mia
moglie mi aveva, per così dire, sbattuto la porta in faccia.
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Frattura! |
Era palese la
frattura che si era creata tra noi. Ci avrebbe condotto alla separazione? Deluso
e arrabbiato per non aver potuto parlare con mia figlia, uscii dalla mia
camera. Una nebbiolina quasi irreale avvolgeva tutto, trasformando in
acquarello il paesaggio circostante, illuminato solo dalla luna.
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La luna padrona del cielo e delle emozioni umane |
Mi
riappacificai con me stesso e decisi che avrei continuato quel viaggio, in
realtà più una miracolosa terapia che forse mi avrebbe guarito dal male oscuro
che si era impadronito di me. Trascorremmo la settimana successiva sull’isola
di Manukan, godendo delle meraviglie del mondo sottomarino e soggiornando in
strutture perfettamente inserite nella natura.
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Isola Manukan |
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Meraviglie del mondo sottomarino |
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Ed altre ancora |
Non dimenticherò mai la
straordinaria accoglienza della popolazione malese, sempre educata e attenta
alle esigenze degli ospiti, che si manifestava anche solo con piccoli e
semplici gesti quotidiani. Vedevo la mia meraviglia e il mio stupore negli
occhi dei miei compagni di viaggio, di fronte a tanta gentilezza. Il ritorno fu
difficile, quasi traumatico, accompagnato dalla malinconia e dalla nostalgia,
che si faceva strada così precocemente, ancor prima del previsto. Quell’avventura
straordinaria mi avrebbe lasciato ricordi, emozioni, nuove conoscenze. Ultimo giorno, trascorso di nuovo a Kuala
Lumpur, dedicato allo shopping. Comprai spezie e piccoli manufatti per parenti
ed amici. Nel quartiere Little India, coloratissimo, un mercato molto vivo mi
avvolse.
|
Little India |
In un negozio acquistai un bellissimo braccialetto in oro per Mafalda
e un medaglione per Clelia. Un regalo non avrebbe risolto i nostri problemi, ma
forse sarebbe servito a mitigare i dissapori e ad aiutarci a gestire civilmente
il nostro rapporto, almeno lo speravo.
|
Piacerà a Mafalda |
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Servirà a mitigare la delusione di Clelia? |
Mentre i miei pensieri si accumulavano e
stavo realizzando che a breve la Malesia sarebbe stata lontanissima, il mio
sguardo si fissò su un volto mai dimenticato. La donna stava trattando
l’acquisto di una pregiata stoffa e mostrava la grinta che ricordavo di lei.
Rimasi immobile a fissarla. Quel momento portò alla luce antichi ricordi,
emozioni sempre vive, sentimenti mai sopiti. Mi avvicinai ed attesi. Quando
Artel si volse, vittoriosa con la stoffa in mano acquisita al prezzo da lei
offerto contro la proposta quasi oscena del venditore, mi vide. – Fabio?
Sei…tu? – balbettò con gli occhi sgranati, a manifestare tutto il suo stupore
di incontrarmi, dopo così tanto tempo, in quel posto lontano anni luce dalla
nostra quotidianità.
|
Il passato ritorna |
- Artel! – riuscii solo a pronunciare il suo nome, improvvisamente intimidito e
imbarazzato come la prima volta che le chiesi di uscire, convinto del suo
rifiuto. Lei, troppo bella per me, troppo indipendente e sicura di sé. Io, un
ragazzo di paese, che stava inseguendo un sogno non suo per compiacere i
genitori. - Non sei cambiato. Rivedo in te il ragazzo che amavo, – sussurrò lei
sfiorandomi il viso - …e che mi ha lasciata senza un addio. Nel suo sguardo non
c’era ombra di risentimento, solo trapelava una rinnovata tristezza. All’improvviso
mi riappropriai della mia sicurezza e disinvoltura, conquistate assieme
all’autostima derivante dal mio successo in campo medico e che aveva
trasformato quel patetico e arrendevole ragazzo, troppo condiscendente con
tutti per non deludere alcuno, se non se stesso. - Ehi! – le presi entrambe le
mani, baciandole con delicatezza – Io credo nel destino, Artel. Non mi sono mai
perdonato per quello che ti ho fatto, ma incontrarci ai “confini del Mondo”
vorrà pur significare qualcosa. Ho una nuova occasione, per spiegarti, se me ne
darai la possibilità. Non immagini quanto sia importante per me. Vuoi?
Artel sembrò esitare, ma poi annuì:- Conosco un posto davvero speciale per
parlare. Seguimi!
Ci ritrovammo a Lake Gardens, il primo e il più grande giardino
pubblico di Kuala Lumpur. Sarebbe più giusto dire complesso di
giardini, che coprono in totale un’area di 92 ettari.
|
Lake Gardens |
- Non temere, non ti
costringerò a visitarlo tutto. – disse Artel sorridendo. Mi guidò attraverso coloratissimi hibiscus e
meravigliose orchidee, finchè raggiungemmo il tunnel vegetale.
|
Le meravigliose orchidee |
|
Ancora fiori! |
Ci sedemmo,
rinfrescati da ventilatori installati sopra le panchine. Era il momento della
verità e gliela rivelai, senza omettere nulla: le esigenze e i sogni degli
altri, la mia debolezza e l’incapacità di impormi, di far valere i miei
desideri, la sofferta decisione di “scappare” da lei senza un perché, dal
momento che non sarei riuscito a fornirle un motivo plausibile. Le raccontai
anche il dopo, matrimonio e nascita di Mafalda, la menzogna che era diventata
la mia esistenza, la mia “fuga” strategica in Malesia. - Ora sai tutto. Non so se riuscirai mai a perdonarmi,
io non l’ho ancora fatto, e mi odio per averti lasciata. Che ne hai fatto della
tua vita Artel? Lei non rispose subito.
Forse non voleva o non poteva rispondere; sicuramente non poteva farlo
emotivamente, assalita come era, in pochissimo tempo, da quel fiume in piena
che si chiamava Fabio e che di certo non rappresentava ciò che in quel momento
realmente attendesse. Artel lo guardava, come una donna guarda un bambino che
ha perso tutte le difese e che il tempo sta cercando di far maturare e rendere
uomo, un uomo migliore di quello che era stato e che doveva dimostrare di
essere, prima di tutto a se stesso; lo guardava, lo ascoltava e tornava
indietro con la mente quasi a cercare i particolari che le avrebbero permesso
il controllo, la totale lucidità del momento, le giuste parole per raccontargli
cosa avesse provato a quel tempo e chi era quella donna che lui, Fabio,
richiedeva indietro, come se nulla fosse accaduto e come se la vita di lei, di
nuovo, non contasse nulla nelle mani di lui. Artel iniziò lentamente a
parlargli: "Sono felicissima davvero di averti incontrato di nuovo, di
rivedere i tuoi occhi, il tuo sguardo, di ritrovare il tuo entusiasmo. Sapevo
che ce l'avresti fatta. Fabio tu eri... sei una persona speciale. E poi hai
Mafalda. Ho letto, nelle pieghe del tuo sorriso, l'amore per lei e, Dio mi
perdoni, ti ho un po’ invidiato. Sai, io ho affrontato una vita difficile
dopo il tuo allontanamento. Ho conosciuto un uomo tempo fa, che ho amato di un
amore diverso dal nostro. Lui era sofferente, ed ho amato anche le sue
difficoltà, il suo aver bisogno di me, il suo abbandonarsi tra le mie braccia e
la sua comprensione della mia enorme disponibilità. Ed è allora che ho scoperto
di essere davvero innamorata, perdutamente, di qualcuno a cui non ho saputo
dire di no; sì, è così, hai compreso bene, sono innamorata in modo totale,
pervasa di luce e colma di calore umano. Mio dolce Fabio, mio ingenuo
amico di un'antica giovinezza acerba, piena di germogli in fiore... io amo il
Signore ed ho trovato me stessa, proprio come tu stai cercando te stesso.
|
E la sua vita cambiò! |
Oggi
vivo una serenità ed una mia profonda interiorità che non conoscevo, e non solo
perchè sono una suora. Fabio era rimasto senza parole, non tanto perchè
avesse ricevuto una risposta così netta, così chiara, ma perché, forse, si
aspettava che tutto potesse tornare magicamente come prima, come una volta, e
che potesse bastare un incontro, anche se casuale, a colmare il vuoto di anni.
Aveva ragionato scartando a priori che Artel avesse una vita, che non avesse
trascorso il tempo a realizzare i suoi sogni di donna, lo stesso tempo e gli
stessi sogni che si era concesso lui, cercando la propria strada e giungendo al
punto in cui era attualmente. La riconosceva però. Artel era sincera; aveva
trovato davvero la sua realizzazione interiore. Lei era sempre stata così, attenta ascoltatrice e straordinaria amica
del cuore, ciò che aveva permesso che lui si innamorasse di lei e lei di Dio.
Non aveva dubbi! Ora toccava a lui trovare il proprio sentiero. Quell’incontro
inaspettato con la ragazza che aveva amato così tanto, le sue scioccanti
rivelazioni, la sensazione di pace ed il sorriso di Artel, da cui trapelava
tutta la consapevolezza della sua scelta coraggiosa, dopo lo smarrimento
iniziale gli inviarono un chiaro messaggio. – Sei stata il mio sogno, per tanto
e tanto tempo, ma il destino ha deciso per entrambi. Abbiamo preso strade
diverse, e la tua è davvero difficile. Le barriere sociali e legali sono
elevate qui in Malesia, ma so che è comunque possibile per i Cristiani
condividere la propria fede. Abbi cura di te, Artel. E stringendole le mani,
non aggiunse altro. Sorrise e annuì, in segno di approvazione. Lei ricambiò lo
sguardo dicendogli :- Anche la tua strada è segnata, anche se ancora non sai
dove ti porterà. Ma hai tutto il tempo per riflettere e per nuove opportunità.
Sei ancora il ragazzo altruista e generoso che pensa agli altri prima che a se
stesso. Ma le tue scelte renderanno felice anche te, ne sono certa. Coltiva i
tuoi sogni. Ora puoi farlo. Addio amico mio!
|
Addio amico mio! |
Fabio si ritrovò sull’aereo, in volo verso il ritorno alla sua vita, che non
sarebbe stata più la stessa di prima. Il viaggio fu uno sguardo verso il futuro
e, su questo punto, Fabio, non aveva assolutamente cambiato idea. Era un uomo nuovo,
o meglio, sulla strada per diventarlo. La Malesia aveva fatto il suo piccolo
miracolo. Il pensiero ora era Mafalda... il suo piccolo batuffolo di donna, il
suo lavoro... da rifondare alla luce dei suoi desideri di uomo maturo, e sua
moglie, a cui doveva una spiegazione, chiara, onesta e aperta. In fondo si rese
conto che la donna che aveva vissuto al suo fianco aveva onorato le promesse
nuziali: “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella
salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.”
|
Prometto... |
Era stata la sua insoddisfazione, l’essersi sempre “venduto” per compiacere gli
altri che aveva minato il suo matrimonio, rendendolo cieco e sordo all’amore di
Clelia. Si odiò per averla ferita. Lei non lo meritava. Ora tutto era chiaro:
doveva risorgere dalle proprie ceneri come la fenice e costruire un domani
migliore, rileggendo senza rimpianti quello che era stato il suo ieri.
|
Risorgere dalle proprie ceneri |
|
|
|
Fu in
quel momento che ricordò una citazione di Coelho “ Tutto l’universo cospira
affinchè chi lo desidera con tutto se stesso possa riuscire a realizzare i
propri sogni”. E
Fabio ricordò tutti i suoi sogni, quelli che aveva tenuto rinchiusi in un
cassetto tanto a lungo che avevano perso freschezza, spontaneità e
brillantezza. Era giunto il momento di aprire quel cassetto.
Umberto Flauto – Cecilia Bonazzi – Serenella
Menichetti – Daniela Bonifazi
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