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"La bambina dagli occhi viola" racconto di Rossella Ceccarelli - Milvia Di Michele - Daniela Trinci - Stefania Galleschi



LA BAMBINA DAGLI OCCHI VIOLA
Ormai era sempre la stessa storia! Ogni volta che Maria iniziava un disegno, finiva così: prima abbozzava schematicamente figure e soggetti vari, poi usava colori sempre più allegri e brillanti, in seguito abbondava con il rosso... infine cancellava tutto e copriva il suo lavoro con il nero.
Quanti bei quadri aveva sporcato e picchiato con il carboncino! Erano tutti buttati in un angolo del suo laboratorio ma avevano anche il loro fascino, così diversamente velate di nero, misteriose e accattivanti nel loro celare scene perse e rinnegate.
Sempre la stessa cosa! E ora vedeva gli stessi suoi gesti ripetuti con ossessione da quella piccola bimba con gli occhioni viola grandi e tristi, che quest’anno era entrata nella sua classe della scuola materna.
L’osservava da un po’ di giorni: era bravissima a disegnare le sue figure che, anche se semplici, erano piene di vita e allo stesso tempo sognanti. Ma erano immagini che riusciva a vedere solo lei che la seguiva mentre usava i pennarelli, prima che le cancellasse come sempre; iniziava colorando un sole rosso-rosso che ingigantiva e con i cui raggi dava forma ad un’enorme ragnatela infuocata, poi cominciava ad usare le sue matite come armi, picchiando sul foglio con il pennarello nero fino a coprire tutto il suo lavoro.
Non solo, ma aveva anche notato come cambiava l'espressione del suo viso secondo il colore che adoperava per disegnare. Infatti quando disegnava il sole i suoi lineamenti erano distesi e rilassati, l'espressione quasi sognante e la sua mano era morbida mentre faceva scorrere il pennarello rosso sul foglio; al contrario i lineamenti si indurivano, le sopracciglia si aggrottavano, gli occhi si riducevano a due fessure scintillanti, la bocca diventava una linea sottile, mentre la mano cominciava ad aggredire il foglio con il pennarello nero con sempre più forza, come se una rabbia troppo a lungo trattenuta, fosse esplosa all'improvviso.
Maria seguiva molto da vicino la piccola Chiara, perché sapeva, per sua esperienza personale, che ogni volta che si comportava così, stava vivendo un malessere interiore che la catapultava al di fuori di questo mondo, isolandola da tutto e da tutti.
Maria sapeva quanto si possa star male e soffrire pur essendo piccoli, senza avere la capacità di rivolgersi a qualcuno per cercare sostegno. Lei aveva un segreto, seppellito in un angolo della mente, ma che riaffiorava inconsciamente quando dipingeva.
Il segreto negato alla lucidità della sua memoria le faceva cancellare i colori: era un dolore che aggrediva soprattutto gli azzurri che parlavano di vastità serene, fatte d'aria o d'acqua, ma anche i verdi che erano portatori di vita e di linfa e si espandono nei prati e nei boschi.
Resisteva il rosso che, insieme alla vitalità gioiosa, possedeva pure l'aggressività della lotta e del sangue.
Ma per poco, infine tutto veniva coperto, nascosto a far compagnia al suo segreto.
E gli occhi viola della bambina le chiedevano aiuto, quello sguardo lei lo conosceva bene, lei sapeva cosa significasse aver bisogno di aiuto.

Quindici anni prima era ancora piccola e i suoi occhi erano come quelli della bimba, non viola, ma feriti, feriti e supplicanti.
Doveva fare chiarezza, affrontare il suo problema.
Così decise di prendersi una breve vacanza e partire: si trattava più di un ritorno che di una partenza, aveva esitato a lungo, ora finalmente si sentiva pronta.
Quindici anni segnano non solo le persone, anche i paesaggi, le mode, i costumi.
Il treno la trasportava dentro una realtà che non ricordava: stupita, mentre si inoltrava nella sua terra d’origine, guardava fuori dal finestrino i luoghi della sua infanzia, senza provare emozioni, questo film non era il suo, era una protagonista capitata in un set sbagliato.
Tutti quegli anni in cui aveva avuto bisogno del meccanismo di difesa della negazione, in cui, anestetizzando la sofferenza, si era negata anche la gioia, parevano una sua costruzione mentale, si sentiva visionaria.
Con la mano toccò la sua cicatrice vicino al labbro, la carezzò, quella era reale!
Quel giorno la bambina dagli occhi viola arrivò a scuola in ritardo, mentre Maria andava verso il suo passato, lei viveva il suo presente, sola e senza neanche lo sguardo attento della sua maestra, uno sguardo che avrebbe notato i piccoli lividi scuri che, quando la camicetta si apriva, le brillavano sulla carnagione bianca del piccolo collo. Ma la maestra Maria non c'era e i bimbi da guardare erano tanti, troppi per chi nemmeno li conosce già.

Maria intanto si preparava a pettinare i suoi nodi, senza più paura di farsi male, decisa, molto decisa, ad esigere almeno chiarezza, se non scuse o pentimenti.
Arrivò alla stazione a sera, una stazione ridipinta da poco, gialla e bianca, con la scritta arancio, come gli aranci del giardino della casa natia. Ritornava a guardare da vicino ciò che dopo un tempo infinito, ma mai cancellato, la riportava ad affetti e vissuti della sua infanzia. Quanti flash davanti agli occhi: le urla di suo padre, le suppliche di sua madre, poi i giochi, le risa, le raccolte dei frutti, e poi lui che la strattonava per avventarsi su quella povera donna di sua madre che, da sempre, subiva botte e indegne parole! Miserie, serate al bar, e poi la stessa storia.
Rammentava le corse lungo i filari tra una vigna e l'altra, l'uva da assaggiare al volo sotto il sole giallo, il colore da lei preferito. Ma poi le urla divennero più forti e lei osò pararsi di fronte a quella furia di suo padre, ne aveva ancora i segni addosso e fu l'inizio..... fu l'inizio di un'esistenza piena di paure, dei timori del ritorno, delle notti insonni, della paura di soffocare.
Ancora rabbrividiva al ricordo dei passi pesanti di suo padre che, ubriaco, entrava in casa sbatacchiando la porta e prendendo a calci qualsiasi cosa gli si parasse davanti.
Sua madre, per non farla assistere a quelle tristi scene, la metteva a letto presto e lei, per tranquillizzarla, quando la sentiva entrare nella sua cameretta, fingeva di dormire e restava in attesa.
La notte, spesso, non riusciva a dormire, sudava e faticava a respirare come se una mano invisibile le stringesse la gola.
A volte, quando sentiva suo padre sbraitare ed inveire contro sua madre, per paura che le facesse del male, silenziosamente si alzava dal letto ed andava a sedersi in cima alla scala, in un punto da cui poteva vedere la cucina sottostante, pronta a scendere in aiuto della mamma se ce ne fosse stato bisogno.
E purtroppo sempre più spesso ce n'era bisogno: anche lei, come sua madre, prendeva le botte.
Tutto questo durò per mesi, poi i mesi divennero anni fino a che Maria, ormai adolescente, non riuscì più a sopportare la situazione.
Andava a scuola spesso segnata sul volto, sulle braccia, sulle gambe e ormai non ricordava più quante bugie aveva dovuto dire per nascondere ciò che realmente avveniva nella sua casa.
Fino a che una sera, i ricordi erano ancora nitidi come se fossero stati vissuti poche ore prima, rientrata a casa, dopo essere andata a studiare da una compagna di scuola per prepararsi ad un compito di matematica, trovò la mamma con il volto tumefatto: c'era stato l'ennesimo episodio di violenza di suo padre, che si era arrabbiato soltanto perché la cena non era ancora pronta.
Una rabbia sorda le scoppiò da dentro e come una furia si avventò sul padre insultandolo. Il padre, sorpreso, per arginare quella sua forza, si sbilanciò e cadde all'indietro picchiando pesantemente la testa nello spigolo del camino, rimanendo immobile, ormai senza vita, mentre un rivolo di sangue rosso scuro si allungava sul pavimento della cucina.
Liberazione...nemmeno un piccolo rimorso aveva provato per ciò era accaduto.
Poi la polizia, le foto oltre che a suo padre morto anche al volto segnato di sua madre e alle sue cicatrici, le inevitabili indagini, l'incubo del processo, l'assoluzione per legittima difesa, il trasferimento in un'altra città, una nuova vita lontano dai tristi ricordi: ma i ricordi fanno parte del passato e segnano irreparabilmente il futuro!
Tra sua madre e lei, come per un tacito accordo, non si parlò mai dell'accaduto, anche se le loro vite rimasero segnate per sempre. Maria fu allontanata, ospitata dalla dolce zia Clotilde, per riposare il corpo e l'anima, ma vi restò per sempre, per tutti quei quindici anni in cui il suo sforzo principale era stato quello di dimenticare. Aveva cercato di rimuovere tutta la sua infanzia, anche l'affetto verso sua madre, una madre che non era mai andata a trovarla e non aveva nemmeno mai chiesto di vederla. Eppure diceva di adorarla!
Si può vivere allontanando una figlia?

Intanto la bambina dagli occhi viola disegnava la sua casa bianca, in cima ad una collinetta verde, con un fil di fumo nel camino, poi, dal camino, fece uscire pure il fuoco rosso, infine tanto fumo, tantissimo fumo nero che coprì tutto.
La maestra supplente urlò: “Chiara!!!”( ricordava bene il suo nome, era lo stesso di sua sorella) “Chiara!!!” Strabuzzando gli occhi.
La bimba dagli occhi viola sobbalzò, come colta in flagrante mentre rubava qualcosa.
Non disse una parola, non ne era capace e non capiva perché la nuova maestra fosse così irritata con lei. Proprio non lo capiva. Per la bambina non c'era più niente da ascoltare e neppure da disegnare: solo il gusto di sfregare i colori sul foglio, tanti cerchi concentrici, invadenti, scomposti e tanti fogli da usare freneticamente! La voce alta, stridula, le arrivava ovattata e la invadeva procurandole un senso di inadeguatezza, di disagio, un ricordo familiare, quella bocca spalancata che la sovrastava e quel tono la affliggevano, quell'invasione era un sussulto che la riportava, suo malgrado, ad un altro vissuto di cui Chiara non sapeva ancora realizzare o dire, e gridare tutta la sua disperazione, urlare tutta la sua rabbia di bambina privata dei diritti di un'infanzia felice.
Chiara avrebbe avuto semplicemente bisogno di un abbraccio, uno di quelli forti forti, che quasi stritolano le ossa e arrivano all’anima. Un abbraccio che la facesse ridere e dimenticare!
Invece la maestra non lo immaginava proprio, non ci pensava, le si avvicinava per rimproverarla, non sapendo che quel rimprovero nella testa e nel cuore della bimba si ingigantiva e la impauriva perché lo viveva come una minaccia, una nuova violenza, come quella subita poche ore prima. Per questo era arrivata tardi e con gli occhioni umidi, più viola del solito.
Così, quando l'insegnante le si avvicinò, solo per dirle di comportarsi bene e non sporcare, vide una nemica che l'avrebbe picchiata e istintivamente si difese e con il suo pennarello nero, aggredendola.
Sarebbe bastato un abbraccio, forse un sorriso, invece accadde altro.
Chiara ferì la maestra ad un occhio, dalla ferita uscì un rigolo di sangue rosso che fece nascere urla di orrore. Tutti accorsero, strillarono, piansero.
Qualcuno chiamò il pronto soccorso, una collega si offrì di portarla in ospedale,
in quel trambusto non si pensò più alla bimba dagli occhi viola, neanche per rimproverarla.

Intanto il treno che portava Maria era arrivato alla stazione del suo paese: quindici anni! Ci sarebbe stato qualcuno ad attenderla?
Con grande emozione intravide e riconobbe una cara figura nota, cambiata tantissimo dagli anni ma non abbastanza da non riconoscerla: “ Mamma!” Esclamò e il cuore voleva uscirle dal petto.
Ad attendere Maria c'era proprio sua madre, vestita di scuro come a lutto. I capelli erano diventati grigi, ma era sempre lei, la sua mamma.
L'emozione di aver potuto pronunciare quella parola, anche se la voce le era uscita soffocata, anche se non era stata ascoltata, era enorme: fuori ad aspettarla c'era lei.
Era felice nel vedere che sua madre non si era dimenticata di lei, come aveva temuto. Ma allora perché quindici anni di silenzio? Lei avrebbe avuto bisogno di carezze, di coccole, di abbracci dalla donna che amava più di se stessa e che aveva voluto difendere, rischiando di compromettere il suo futuro.
Perché tutto quel silenzio? Non aveva mai saputo ribellarsi sua madre, non aveva saputo difenderla. Forse era questo che non si perdonava? O c'erano altre spiegazioni, altri motivi che lei non riusciva a trovare, a capire.
Possibile che sua madre le avesse rimproverato, per tutto quel tempo, la morte di suo padre? E' possibile, si chiedeva Maria, continuare ad amare un uomo violento, distruttivo, che umilia e non si sa fermare neppure davanti ai pianti e al dolore di una figlia? Forse era proprio questo che sua madre non le perdonava, l'aver provocato, per aiutare lei, la morte del suo uomo, dell'uomo che nonostante tutto amava più di sua figlia.
Improvvisamente nella sua mente ecco apparire i bellissimi occhi di Chiara e una domanda le salì alla gola e le uscì come un gemito dalle labbra: "Chiara ha bisogno di essere difesa?" Quel pensiero la tormentò tutto il giorno, come quella domanda: “Mamma, perché mi hai abbandonata nel momento in cui avevo più bisogno di te?”

La giornata con sua madre trascorreva apparentemente serena, la donna aveva una nuova casa e viveva da sola. La conversazione però non scorreva con facilità, c'erano lunghi silenzi per cose da dire, per cose non dette per troppo tempo. Maria comunque raccontava alla madre la sua vita, le parlava con entusiasmo del lavoro che tanto amava e sua madre ascoltava e ascoltava in silenzio.
All'improvviso quasi un urlo, come se le parole per tanti anni racchiuse in gola fossero riuscite a liberarsi: “Maria perdonami! Non credo che mai ci riuscirai ma io te lo chiedo, perdonami. Sto uscendo solo ora da un incubo, da quell'incubo lungo quanto la mia vita da adulta. Sai ero follemente innamorata di tuo padre e i primi anni aveva meritato tutto il mio amore, poi nascesti tu e lui cominciò a sentirsi trascurato, non ne aveva motivo, ma qualunque cosa facessi non riuscivo a convincerlo che lo amavo più di me stessa. Cominciò l'Inferno e per voler aiutare lui, ho quasi ucciso te, mia figlia. E quando se ne è andato in modo così tragico, ancora una volta, ho sbagliato, mi sono sentita colpevole nei suoi confronti e non nei tuoi. Ma, forse nell'unico attimo di lucidità, ho capito che dovevo rinunciare a te, accanto a me avresti continuato ad avere un'esistenza infelice, dovevo allontanarti.”
Maria, mentre il suo cuore, pur se sofferente, si stava riappacificando con la madre, aveva il solito tarlo in testa: “Chiara...Chiara.” All'improvviso lo squillo del cellulare e la voce di una collega.
La telefonata la riportò ad una realtà che di nuovo si affacciava, come un tempo, ma questa volta sentiva una energia più forte del solito! La collega si perse a darle i più minuziosi particolari dell'accaduto: la supplente, il sangue, le urla, una cosa inaudita, una bambina ingestibile! Ecco la parola più devastante di tutto quell'episodio, possibile essere già ingestibili fin da piccoli? Possibile che a un educatore potesse sfuggire la sofferenza? E, soprattutto, come non riuscire a leggerla in quegli occhi viola?
Maria decise di tornare subito indietro per rendersi conto di persona di come stessero veramente le cose. Si sentiva forte della serenità finalmente ritrovata, grazie al rapporto con la madre, che da quel momento aveva un nuovo punto di inizio, ma soprattutto si sentiva rafforzata interiormente, come se la fragilità che l'aveva accompagnata nel tempo, a poco a poco, si dissolvesse come la nebbia ai raggi del sole. Ed era così, perché all'orizzonte ora Maria non vedeva più il buio, ma incominciava ad intravedere la tenue luce dell'alba, inizio di un nuovo giorno, inizio di una nuova vita.

Il viaggio di ritorno sembrò a Maria più veloce dell'andata e, una volta scesa dal treno, con un taxi, andò direttamente a casa di Chiara.
Quando la madre della bambina le venne ad aprire, la scena che le si parò davanti la fece rabbrividire: Chiara, seduta in cima alla scala, guardava attraverso la ringhiera e per Maria fu come ricevere un pugno allo stomaco, perché si rivide bambina in quella stessa posizione. La mamma di Chiara era in cucina, truccata pesantemente, ma il trucco iniziava a sciogliersi come se avesse pianto.
Seduto, o meglio, semi sdraiato su una poltrona c'era un uomo che fumava con indolenza una sigaretta e al vederlo Maria provò ribrezzo. Aveva uno sguardo viscido che sembrava spogliarla con gli occhi. Maria sapeva che Chiara era orfana di padre e pensò, così, che quello fosse il nuovo compagno della madre.
Si fece raccontare cosa fosse successo a scuola e chiese il permesso di poter parlare da sola a Chiara.
La mamma acconsentì e Maria iniziò a salire la scala; una volta in cima, si sedette accanto a Chiara.
Senza dire una parola abbracciò forte la piccola, che, all'inizio rigida, lentamente allentò i muscoli e si fece avvolgere da quel caldo tepore. Maria avvertì il cambiamento e, continuando a tenerla stretta con un braccio, iniziò anche a carezzarle la testa.
Chiara alzò su lei gli occhioni viola e all'improvviso iniziò a piangere silenziosamente, mentre le lacrime le scendevano copiose sul volto. Ora le parole non le servivano più, l'abbraccio aveva detto tutto. Chiara sentiva che la maestra era dalla sua parte e finalmente il suo dolore sempre tenuto segreto e muto, era venuto a galla. Finalmente piangeva.
Maria l'accarezzò, le ricompose i capelli, le asciugò i begli occhi, infine le disse: “ Aspettami tranquilla parlo un po' con la mamma.”
Scese le scale, si accostò alla donna e le accarezzò le spalle, come una vecchia amica.
“ Posso chiederle un favore?” le disse “ Però sappia che io non le sono nemica, lei è la mamma di Chiara, lei l’ha messa al mondo, sarà sempre lei a decidere, ma scelga il suo bene, la prego!”
La mamma di Chiara l'ascoltò sollevata nel trovare finalmente una mano tesa all'aiuto e non agli schiaffi.
Intanto il suo compagno, traballante, con lo sguardo fosco e poco lucido per tutto l'alcol che aveva bevuto, si allontanò biascicando parole che sporcavano l'anima.
Maria parlò, dunque, più liberamente: “Mi lasci portare Chiara a casa mia, per un po' di tempo, per farla riposare, per il periodo che ci vorrà per risolvere questa brutta situazione.”
“Me la vuol portare via. E' giusto, me lo merito!”
“Oh no, mai! Una madre è sempre insostituibile” si affrettò a dirle Maria” mi creda, sempre! Però, l'aiuti, cambi vita per amore di sua figlia, dia luce ai suoi begli occhi!”
E, così dicendo, alzò lo sguardo e incrociò quello di Chiara che, in cima alle scale, attendeva fiduciosa. Di nuovo aggiunse, rivolgendosi alla donna: “Posso darti del tu? Abbiamo in comune molto più di quanto pensi!”
Le rispose l’abbraccio della donna, di nuovo un abbraccio!
Alcuni dicono che possano guarire da molti mali: ma forse solo quelli che partono dal profondo.
Daniela Trinci-Rossella Ceccarelli- Stefania Galleschi- Milvia Di Michele  

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