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IL QUADERNO DEI SOGNI di Daniela Bonifazi, Cecilia Bonazzi, Milvia di Michele

Immagine tratta dal web
-Eccolo qui!- esclamò Elisa , porgendo a sua figlia un bel quadernone dalla copertina coloratissima, che rappresentava una leggera e bellissima donna-farfalla.
-Questo è il quaderno, te lo affido, ma tienilo con cura e sappi che poi lo rivoglio indietro!-
Marisa sorrise, affacciando dalle pieghe del lenzuolo e delle coperte, il bel faccino rosso per la febbre; sapeva bene quanto sua mamma ci tenesse ed era contenta che le dimostrasse il suo amore cedendoglielo, anche se temporaneamente.
-E' questo? E' carino! Lo leggerò subito, sono molto curiosa, me ne hai parlato tanto!..Mamma?...Ma in quanti ci avete scritto ?
- Sai piccola mia che non ricordo? Chiunque poteva scriverci, bastava avesse un sogno da confidare. Chiunque, anche chi non era proprio un amico strettissimo-
Elisa si fermò un attimo, come a riflettere...
- Accogliere sogni è sempre bello! ... guarda in fondo! Vedi? Abbiamo lasciato delle pagine bianche, sono una porta aperta per chi volesse entrarvi e poggiarvi il suo sogno.-
Marisa adorava quando la mamma le si mostrava in questa veste, sì l'adorava e dimenticava la mamma che severa le ordinava: - Raccogli le tue cose, devi essere responsabile della tua stanza, è importante che la curi!-
Ecco, allora si stizziva, le pareva di essere troppo controllata, di essere privata della sua libertà. Però ora stava male e la sua mamma si comportava come fosse impastata di zucchero e miele.
-Grazie mamma della tua fiducia, non lo stropiccerò, ha tanti anni ed è così ben conservato...tu quanti anni avevi quando è stato scritto?-
-Più o meno la tua età, figlia mia...sì, più o meno la tua età, ma mi pare ieri.-
-Qui c'è scritto pure il tuo sogno?- chiese ancora.
- Sì... e sarai stupita quando lo leggerai.-
Elisa baciò sua figlia sulla fronte, anche per sentirle se la febbre aumentava e poi disse...-Ora vado in cucina, ti preparo un brodino per oggi.-
Marisa guardò la madre uscire; i suoi occhioni, anche se lucidi per la febbre, esprimevano gioia e gratitudine per una così bella sorpresa.
Strinse il quadernone contro il suo petto e sentì il cuore battere più forte, quasi come se anch'esso avesse un cuore che batteva all’ unisono col suo... e le parve di addormentarsi.
Sì, forse andò così, perché vide la donna-farfalla della copertina staccarsi dal quadernone e avvicinarsi al suo volto.
-Povera piccola, sei bollente !- La figurina accarezzò sui capelli.
-Ma non preoccuparti, ti accompagnerò in un posto bellissimo e, se vorrai, sarà il tuo sogno-
Marisa si scosse per un brivido di freddo e l’immagine svanì. La bambina sì sentiva stanca e spossata, ma non voleva rinunciare a leggere i sogni di quel quadernone tanto desiderato.
Iniziò a sfogliarlo. Voleva leggere subito il sogno della mamma, ma si sentì osservata. Di fianco a lei, sulla sua spalla destra, la donna-frafalla la osservava con attenzione.

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-Così non vale piccola- Disse con un sorriso malizioso. Inizia a leggere dalla prima pagina, dal primo sogno-
-Ma tu sei vera o sei una fantasia ?- Chiese Marisa ingenuamente.
-Dipende da te, cara- Rispose dolcemente la figurina.
-Io sono Marisa. Tu... tu come ti chiami ?-
- Io mi chiamo...- E la figurina si fermò perplessa.
-Ora che ci penso, non ho un nome; nessuno non me ne ha mai dato uno…Vorresti darmi tu un nome ? Mi farebbe molto piacere, sai !- Rispose con entusiasmo la donna-farfalla.
Marisa ci pensò qualche secondo. Non era facile ragionare con quel febbrone, ma ciò che stava vivendo era ai confini tra realtà e fantasia e la bambina si sentiva eccitata ed emozionata.
Si sollevò appoggiandosi meglio ai cuscini e chiuse gli occhi. La sua mente si mise all’opera. Non doveva poi essere così difficile trovare un nome adatto a quella creatura così piccola e bella, delicata e affascinante. La sua maestra la elogiava spesso per la fervida fantasia che aveva e che le faceva inventare racconti fantastici con i personaggi più singolari che si potessero immaginare. Era davvero brava e sapeva trovare il nome giusto a ogni personaggio uscito dalla sua fantasia.
Ora non poteva deludere se stessa e la donna – farfalla, che aspettava. D’un tratto Marisa riaprì gli occhi e sorrise, poi esclamò compiaciuta: 
- Licena ! Ricordo che un giorno ero nel giardino della mia scuola con i miei compagni ed abbiamo visto una splendida farfalla posarsi su un fiore. La maestra ci disse che il suo nome era Licena. Tu le assomigli molto, le tue ali sono belle come lo erano le sue. Che ne pensi? Ti piace questo nome?
- Non avrei saputo scegliere meglio, mia piccola amica. È un nome che sento già mio, e ti ringrazio per avermelo dato. Ora direi che possiamo considerarci amiche tu ed io, non credi? Se ti fa piacere ti aiuterò a sfogliare questo prezioso quaderno e a leggere il primo sogno di cui si narra.-
La bambina annuì e si accinse a riaprire il dono della sua mamma, ma questa volta iniziò dalla prima pagina. La scrittura era ordinata, quasi artistica nella sua perfezione, inchiostro blu e piccole decorazioni colorate ai lati.
 Marisa iniziò a leggere: - Il vento mi scompiglia i capelli e l’acqua del mare mi lambisce i piedi nudi sul bagnasciuga. Mi inoltro, finchè il mio corpo è immerso totalmente nel mare azzurro. Mi lascio andare e galleggio come una ninfea, osservando il cielo ed i gabbiani che volteggiano sopra di me. All’improvviso divento una di loro e mi scopro a volare in alto, sempre più in alto, e da lassù ogni cosa sembra piccolissima. Mi avvicino al sole, ne percepisco il calore ed ho paura. Allora mi allontano e mi tuffo in picchiata, e cado…cado senza controllo. Sto per toccare il suolo, temo per la mia incolumità, ma infine mi ritrovo sdraiata su un prato pieno di fiori meravigliosi dal profumo inebriante. Mi sveglio con quell’odore intenso che ancora sollecita i mio olfatto. È giorno ed io sono qui, nel mio letto, e vorrei volare ancora.
Sonia.
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Marisa aveva appena letto un sogno di sua cugina, che era molto più grande di lei. La bimba non aveva mai sognato niente del genere e provava un po’ d’invidia:
- Riuscirò mai a fare sogni così belli? Di solito ho incubi, specie quando ho la febbre-. 
- Ora riposa piccola, ti prometto che quando avrai letto tutti i sogni che questo quaderno contiene, ti aiuterò a sognare qualcosa di talmente bello che lo potrai scrivere anche tu. Dormi Marisa .– 
...E la donna- farfalla, che ora aveva un nome, tornò sulla copertina dicendo: -Tornerò da te ogni volta che mi chiamerai!-
- Portami con te bella Licena...portami ...con te a ... volare ...come Sonia...- mormorò Marisa, mentre già era quasi entrata nel mondo dei sogni... -Po...rta...mi...- e crollò!
Si svegliò di soprassalto dopo quasi un'oretta, madida di sudore. Sconcertata. Certamente aveva sognato, e forse il suo sogno non era stato nemmeno molto bello, perchè si sentiva agitata e stanca, ma ...non lo ricordava! Niente...non ricordava niente!
Indecisa se disperarsi o rassegnarsi, con saggezza si arrese all'evidenza, si tirò sù, aggiunse un altro cuscino dietro le spalle, prese il quaderno magico e iniziò di nuovo a leggere, aspettando la mamma con la sua buona minestrina della quale però non aveva nessuna voglia.
-Il mio sogno è un segreto, lo affido a te caro quaderno e a coloro che ti regalano i loro amati sogni.
Io ho un amico che appare sempre dentro i miei sogni, è piccolo ma non è un bambino, mi fa sempre tanto ridere, s'inventa giochi e fa mille magie.
Quando sono triste io cerco sempre di andare a dormire, così lui viene e mi consola.
L'altra notte mi ha portato in un posto bellissimo pieno di fiori e musica, poi mi ha regalato un vestito bellissimo da ballerina e io ho danzato tutta la notte.
Quando mi sono svegliata la gamba ha cominciato a farmi male di nuovo, e zoppicavo come sempre. Però io sorridevo ancora, ricordando il mio ballo.
Stanotte forse torna, ma non so se ballerò...magari andrò a sciare sulla neve, o a pattinare sul ghiaccio... o semplicemente andrò a spasso senza barcollare perchè le mie gambe avranno la stessa lunghezza.
Gina.
Marisa era già piuttosto depressa per quella febbre che non se ne voleva proprio andare, ma il suo stato d’animo si fece ancora più triste dopo aver letto in calce al racconto il nome Gina.
Si trattava di un’amica di sua madre,ora adulta. Ma quando aveva scritto sul quaderno il suo sogno era una bambina,proprio come lei. La vita era stata crudele, gravandola di un doloroso fardello da portare: una malattia contratta nella prima infanzia che pian piano le aveva inibito il normale uso di una gamba. Gina aveva iniziato a zoppicare e  imparare a convivere con il dolore.
-Chissà se ora che è adulta continua a fare lo stesso sogno? – si chiese Marisa. 
Calde lacrime cominciarono a bagnarle il viso e non ci fu bisogno di chiamare Licena. La piccola donna – farfalla aveva percepito il suo dolore e si materializzò di nuovo.
-Sei triste?- le chiese con dolcezza.
-Sì Licena, sono triste per la signora Gina, il suo sogno non è stato realizzato, ancora oggi fa fatica a camminare-
- OH! Cara, non devi esserlo...il suo sogno si è realizzato!-
-Ma come?...Ti dico che zoppica!-
-Amor mio ingenuo, non era quello, lei non lo sapeva quale fosse davvero il suo sogno-
-Ma nel quaderno c'è scritto così!-
- Sì, nel quaderno tu leggi così, ma questo è un quaderno magico e sa comprendere oltre le parole, legge dentro i cuori...dimmi...che lavoro fa Gina?-
-Mi pare che sia una scrittrice, la mamma una volta mi portò a teatro a vedere uno spettacolo, perchè la storia era stata scritta da lei, e mamma le è molto amica-
-...ma davvero? E che storia era?-
-...una storia di una bimba che diventa...Una ballerina! Oh! Licena...credo di aver capito sai!-
E Licena scomparve smuovendo un po' l'aria intorno. Le pagine del libro si aprirono, Marisa lo prese e lesse con bramosia...
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Il mio sogno è imparare a nuotare, voglio diventare bravissimo, riuscire a diventare un atleta che vince tutte le gare,pure quelle delle Olimpiadi.
Ti prego quadernino mio aiutami, così Bertone non mi prenderà più in giro dicendo che sono fragile e che un giorno o l'altro il vento mi porterà via con sè! Io voglio vincere pure lui a nuoto.
P. S. caro quaderno, Bertone è mio fratello gemello, sì, è proprio mio gemello, ma lui è grande e grosso e io piccoletto e magro magro.
Giovannino
Marisa lesse e...- Licena! - Chiamò di nuovo a voce alta...- ma questo non è un sogno!-
La voce della paziente Licena le arrivò subito, non appena si materializzò il suo corpo..
-Nooo?... Cos'è allora?-
-E' un desiderio!-
Nella stanza riecheggiò la risata argentina della donna-farfalla..
-Già....i sogni son desideri....-
La conosci, vero? Te la canta sempre la mamma...già...la mamma!-
E la mamma, come per un richiamo magico, entrò nella stanza con in mano una scodella di minestrina, un cucchiaio ed un tovagliolo.
Marisa non seppe nascondere la sua sorpresa nel vederla e quando il suo sguardo tornò al libro, Licena non c’era già più.
-Si sarà nascosta perché le fate non si mostrano agli adulti, ma solo ai bambini- Pensò tra sé e sé.
-Prima riposavi e non ti ho voluta disturbare. Vedo che hai già iniziato a leggere tesoro – disse la mamma con un sorriso.
-Ora, però, mangia qualcosa- Le porse la scodella, sistemò il tovagliolo e le diede un altro bacio sulla fronte.
Marisa ubbidì, più per far contenta la mamma che altro, ma solo per qualche cucchiaiata.
Madre e figlia si fecero compagnia ancora per qualche minuto, silenziosamente, poi Marisa si riaddormentò.
Il suo sonno fu profondo ma disturbato; profondo come le immagini che scorrevano dentro di lei; profondo come quando si cade in un burrone senza fine: così si sentiva la bambina. Si percepiva nel vuoto con lo sguardo rivolto verso l’alto, ma nel vuoto e nel buio. Le sue tempie battevano, il suo cuoricino batteva e rumori sordi alimentavano lo stato di malessere e insicurezza che l’avvolgevano. Era stanca e spossata, incapace di reagire a quella infinita discesa che, pure, la intimoriva. Si lasciava cadere, senza difese e senza più desideri o volontà.
Una mano l’afferrò.
-Licena !- Esclamò.
-Non temere piccola, ci sono io, qua, con te: è solo un brutto sogno- Rispose la figurina.
-Ma io volevo fare un bel sogno !- Singhiozzò la bambina.
-I sogni non dipendono dalla nostra volontà. I sogni rappresentano ciò che siamo, ciò che stiamo vivendo; sono i nostri desideri e sono agganciati alla nostra vita: per questo sono un dono. Ora tu stai male, hai la febbre, ma se apri gli occhi…-
Improvvisamente si svegliò con un salto sopra il letto. Era tutta sudata e tremava. Aveva freddo.
La mamma le era vicina..- E' andata via la febbre- le disse- effetto della medicina, però tra pochi giorni sarai guarita davvero. Ora bisogna che ti cambi, amore mio, sei tutta bagnata...vieni! Ho portati tutti i panni, li ho scaldati vicino alla stufa-
E Marisa si lasciò cambiare e mettere il borotalco che tanto le piaceva, si sentiva debole e stanca..- mamma... non riesco nemmeno a tenere il quaderno in mano - si lagnò...- mi leggi tu una paginetta?-
E la mamma sorrise, si sedette sul lettino, accomodò la bimba tra le sue braccia e iniziò a leggere..
( Licena era dietro le sue spalle, Marisa non disse niente, sia per la grande spossatezza, sia perchè immaginava che la vedesse soltanto lei).
 
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Caro quaderno stanotte ho sognato una bimba piccina piccina, forse appena nata, io l'ho presa in braccio, era come aspettasse solo questo, si è addormentata e pareva sorridesse nel sonno. Caro quaderno magico, io sento che prima o poi incontrerò davvero quella bimba...o almeno, io l'amo così tanto che non potrò fare a meno d'incontrarla di nuovo.
E la mamma lesse piano il nome...
Elisa.
-Tu???- si meravigliò la bimba rianimandosi.
-Io- sorrise la mamma - e tu sei il mio sogno realizzato, la più bella magia compiuta dal quaderno!-
Marisa abbracciò la mamma, poi guardò alle sue spalle Licena, che le fece l'occhietto .
Mamma Elisa si sciolse delicatamente dall'abbraccio e, facendole una lunga e dolcissima carezza disse:
- Ed ora il quaderno magico è tuo, aspetta il tuo sogno!-

Licena volò ad ali aperte tuffandosi  nella copertina del quaderno.

Quella luce lassù – “Una missione per Giada e Johnny” – Quarto ed ultimo racconto di una quadrilogia narrativa

Sul nostro pianeta erano trascorsi trent’anni  dal matrimonio di Giada e Johnny, su Giochino corrispondenti a circa 850 dei nostri. Il tempo, si sa, non scorre ovunque allo stesso modo. Durante questo  periodo, comunque lungo con qualsiasi misurazione del tempo si voglia valutarlo, molti erano stati i cambiamenti. I nostri protagonisti, ormai adulti, non più spensierati  e un po’ incoscienti come da giovani, avevano assunto grandi responsabilità e si occupavano di portare e tutelare la pace in ogni parte dell’immenso universo. Ormai la diversità tra i loro pianeti era considerata del tutto irrilevante. Giada sosteneva che in seno all’Universo siamo tutti uguali, pur con le rispettive diversità che tuttavia non dovevano costituire alcuna barriera!
La strada che ci unisce nell'Universo
Una mattina Giada e Johnny, convocati d’urgenza dal Gran Maestro,  procedevano con passi lenti e l’animo inquieto, ben  sapendo quale sarebbe stato l’argomento di cui avrebbero dovuto discutere. Tuttavia non potevano tirarsi indietro di fronte al gravissimo problema che si era venuto a creare: il “male blu” dilagava su Giochino, togliendo vitalità e allegria, mentre sulla Terra, parallelamente, non nascevano più bambini da ben tre anni.
Male blu
Il dubbio era che  tra i due fenomeni ci fosse una correlazione e, per questo motivo,  il Gran Maestro voleva affidare loro l’incarico di indagare con ogni mezzo, per monitorare ed analizzare l’evento  e contrastarlo con ogni possibile mezzo.
Giada era la più silenziosa, lei sapeva cosa significasse la gioia della maternità. Ricorderete che su Giochino, ogni anno astrale, gli ultramillenari la cui carica vitale giunge ad esaurimento, vengono messi dentro una speciale capsula, che dopo una procedimento particolare e sofisticato, genera neonati che vengono poi adottati da giovani coppie.
Capsula della vita
Ed è proprio ciò che avevano fatto tanti anni prima quei due ragazzi innamorati, appartenenti a due diversi pianeti, a testimoniare che l'amore è universale: avevano adottato un bel maschietto ed una femminuccia deliziosa. Ma di loro parleremo in un secondo momento.
Mentre camminavano, la mente di Giada era in piena attività: il Gran Maestro avrebbe di certo chiesto loro di ipotizzare le soluzioni possibili e più immediate per arginare e risolvere in modo definitivo il grave problema che gravava sulle loro teste. Era inconcepibile che su Giochino regnasse la tristezza e la malinconia,
Malinconia e tristezza, i peggiori tra i mali
quando fino a tre anni prima la giovialità e la straordinaria allegria, tipica della popolazione, risuonavano in tutto l'Universo. D'altro canto la donna, poichè questo era diventata Giada, aveva a cuore anche le sorti del suo Pianeta d'origine, la Terra, sconvolta dalla tremenda piaga dell'infertilità. "Una cosa alla volta... - pensò - troveremo una soluzione...dobbiamo trovarla ad ogni costo"!
Distratta dalle sue meditazioni non si era accorta che erano davanti alla casa del G.M. e che Johnny la stava fissando perplesso. Poi egli ricordò l'indomita ragazza che aveva sposato trent'anni prima, ricordò la forza di lei, e capì che anche in questa circostanza Giada avrebbe avuto un ruolo importante, che il suo contributo sarebbe stato decisivo.
"Andiamo tesoro! - le disse dolcemente prendendole la mano - Entriamo"!
Il Gran Maestro era alla sua scrivania, assorto e preoccupato, come spesso avveniva negli ultimi tre anni. Era talmente preso dai suoi pensieri che non udì bussare alla sua porta.
Quanti pensieri, Grande Maestro!
Johnny guardò la moglie, non nascondendo la sua preoccupazione, condivisa da Giada: l'anno Astrale era alle porte ed il G.M. era ormai ultramillenario; per lui si avvicinava sempre più il momento del distacco dal suo Mondo attuale. Sì...avrebbe generato una nuova vita, ma gli dispiaceva lasciare i suoi giochiniani e spesso si estraniava da tutto e da tutti, entrando in uno stato di profonda meditazione, che tuttavia lo isolava dal suo popolo, che aveva bisogno di lui, in quanto massima autorità del Pianeta. Giada bussò ancora, più forte questa volta, e finalmente la porta si aprì, facendo tirare ai due sposi un sospiro di sollievo. "Oh, che bello vedervi ragazzi! - Eh sì, per lui erano rimasti i ragazzi di trent'anni prima - Sono felice che siate qui. E' il momento di agire...non possiamo più aspettare, lo sapete questo"! - aggiunse l'anziano tristemente - Il mio tempo sta per finire, ma prima di andarmene voglio rivedere il sorriso e la gioia sul nostro Pianeta e nuove vite sul tuo, Giada". "Maestro...io...noi... - la donna non sapeva come replicare. Era profondamente turbata al pensiero di dire addio a quello straordinario giochiniano che era stato come un padre per lei, specie quando il suo se ne era andato, lasciando sua madre Cinzia nello sconforto.
"No, no! Non dovete preoccuparvi per me...lo sapete. Nulla di noi giochiniani svanirà mai nel nulla. Ho ancora molte e importanti cose da attuare...e le farò al più presto, col vostro aiuto naturalmente"!
"Potete contare su di noi, come sempre, Maestro"! - aggiunse Johnny commosso.
La priorità del vecchio saggio era trovare una soluzione al "male blu" che aveva contagiato tutti gli abitanti di Giochino, nessuno escluso. D'altro canto gli stava molto a cuore anche il grave problema del pianeta Terra e degli umani, a rischio d'estinzione per la mancanza di nascite.
Occorre un rimedio!

"Bene, ragazzi. Da tre anni ci affligge la piaga del terribile male che ha colpito il nostro Pianeta. Finora abbiamo fatto ben poco, ci siamo limitati ad attendere pensando che fosse un fenomeno passeggero, ma ora è giunto il momento di trovare delle risposte, prima di poter risolvere il problema. Perchè? Me lo sto chiedendo ormai da tre anni...perchè secondo voi è accaduta una cosa simile"? - e l'anziano guardò Johnny e Giada, con aria inquieta.
Come rispondere? Giada e Johnny avrebbero voluto avere una risposta da dare, ma non c’era. Era come fosse andata perduta una linea bella che univa i due pianeti dall’epoca del gemellaggio,
La linea del cuore unisce
un filo dolce, un legame d’amore che, spezzandosi, aveva fatto ammalare entrambi i pianeti. Ma per quanto si sforzassero di capirne i motivi, non riuscivano a vedere un evento, una causa concreta.  "Un filo d’amore che si spezza- pensava Giada tra sé – non ha una causa scientifica, il mal d’amore non ha cure mediche, bisognerebbe cercare nel mondo dei sentimenti".
Chiese quindi a voce alta, ma un poco tremante: "Secondo voi esiste un
“ Mondo dei sentimenti”? Il G.M. sorrise misteriosamente:" Giada tu hai doni di comprensione quasi magici.- le rispose- Come fai a conoscere questo segreto? Devi sapere che solo CHI è Gran Maestro ne conosce l’esistenza"!
Johnny era incredulo e si sentiva escluso dal loro intendersi: "Cosa dite? Di che mondo parlate”? Allora il G.M.  :" Poiché ormai il nome è stato fatto, posso parlarvi del  “ Mondo dei sentimenti”, ascoltatemi bene, perché è proprio lì chi dovrete andare.
Love!
E tu Giada avrai un ruolo fondamentale in questa missione, poichè il tuo destino è ormai palese. L'avevo già intuito da tempo, forse già la prima volta che ci siamo incontrati, che tu possedessi un dono speciale". "Maestro...Giada...vi prego, spiegatemi cosa sta succedendo, altrimenti impazzisco"! - esclamò smarrito Johnny. Il G.M. stava per rispondere, ma Giada gli appoggiò la mano sul braccio e, guardandolo intensamente gli chiese:"Vi prego, lasciate che sia io a spiegare a mio marito"! L'anziano saggio annuì, e sedette sulla sua poltrona. "Spiegare? Cosa c'è da spiegare? Ti prego, non lasciarmi in questa angoscia...parla dunque"! E Giada iniziò: "Pochi mesi dopo il nostro matrimonio, dopo l'adozione del piccolo Halil
Halil
e della dolcissima Leila
Leila
la nostra vita era perfetta; regnava nella nostra casa un'armonia da fiaba. Proprio questa meravigliosa condizione, giorno dopo giorno suscitava in me una grande inquietudine. Tu non te ne rendevi conto, avevi dimenticato la diversità delle nostre origini, ciò che il domani ci avrebbe riservato. Vivere su Giochino non voleva dire essere una di voi in tutto e per tutto. Io ero ancora una terrestre, destinata ad invecchiare e a morire un giorno, mentre il tuo destino e quello dei ragazzi lo conosciamo bene entrambi. Non ti sei accorto, in questi trent'anni, che io non sono cambiata, non esteriormente almeno, come te, dato che il processo di invecchiamento qui è di molto rallentato rispetto agli abitanti della Terra. Devi sapere che mi rivolsi al Gran Maestro, per chiedere consiglio e se possibile, trovare una via che mi permettesse di trasformarmi in una giochiniana, con tutte le caratteristiche della vostra gente".
"Ed io lo feci - proseguì il grande saggio - poichè sapevo che Giada era destinata a succedermi. Ella possiede le particolari doti che un Gran Maestro deve necessariamente avere per governare questo Pianeta. So cosa stai per replicare Johnny, ragazzo mio, cioè che mai nella storia di Giochino una donna ha governato le sorti del Pianeta. Tuttavia, dovresti ormai sapere che da noi l'impossibile non esiste...guardatevi! Voi ne siete la prova vivente"! E Johnny chinò il capo, per alcuni istanti rimase silenzioso, poi sollevò il viso sorridente e disse:" Mia cara, da te c'è da aspettarsi di tutto e di più, come al solito. Non finirai mai di stupirmi. Dunque...ancora una volta insieme, per cambiare le cose e ritornare ai tempi felici, sui nostri due pianeti. Parlate dunque Gran Maestro, e diteci come raggiungere il "Mondo dei sentimenti. Esiste una mappa planetaria in cui sia scritto il suo nome"? E il G.M.: “ Giada, diglielo tu”! “Non dovremo viaggiare con le astronavi, amore mio! Dobbiamo cercare la strada dentro il nostro cuore, e non ci sarà nessuno oltre noi stessi che possa indicarci la via”! Poi aggiunse per confortarlo: “ Ce la faremo, non dubitare. Noi ci amiamo e questo è un buon inizio. Ci sono mille strade e mille piani di realtà, noi ci muoveremo cercando porte invisibili”. Poi, con dolcezza aggiunse:”Salutiamo il Gran Maestro, quel che doveva dirci l'ha già detto, ora tocca a noi trovare il percorso che ci permetterà di portare a buon fine la nostra missione”! Giada non lo sapeva, ma già si comportava con il carisma di una Maestra - guida. I due si avviarono verso casa, dove i loro figli li attendevano. Il "male blu" aveva colpito tutti, nessuno escluso, neanche i giovani, che solitamente sprizzano allegria da tutti i pori, su Giochino poi ancor di più. Anche per essi Giada sentiva la necessità impellente di trovare al più presto il "Mondo dei sentimenti" e riportare l'armonia e la gioia perdute. Durante il tragitto, mentre attraversavano  i "Giardini della tranquillità"
Giardini della tranquillità
e subito dopo il "Ponte dei desideri",
Ponte dei desideri
Johnny prese tra la sua la mano di Giada, ricordando i momenti felici che avevano trascorso assieme quando sul Pianeta tutto andava per il verso giusto. La donna lo guardò con la tristezza nel cuore, che trapelava anche dai suoi occhi, solitamente luminosi, mentre ora vi si leggeva tutta l'angoscia che sentiva nel suo animo.
Mano nella mano, uniti per sempre!
"Ce la faremo...dobbiamo farcela"! - disse con dolcezza...e Johnny la baciò teneramente sulle labbra, poi annuì.
“E come sempre, la saggezza degli antichi è un insegnamento prezioso. Vieni! Sediamoci su questa panchina anatomica. -  disse con un sorriso misterioso Giada - Voglio parlarti di un filosofo terrestre che tu sicuramente conosci, ma che entrambi da tempo non interroghiamo più: voglio dirti di Socrate”.
Socrate
“Che c’entra con la nostra missione”?- fu la risposta di suo marito, alquanto disorientato. “C’entra, c'entra: lui è la nostra bussola, il nostro viaggio comincerà dalle sue parole: conosci te stesso.
Conosci te stesso!
Amore mio,  per trovare la soluzione ai mali dei nostri due pianeti, dovremo “entrare”  dentro di noi, non so come, ma è quella la via”.
Improvvisamente un arcobaleno apparve in cielo e unì i due Soli di Giochino, poi li avvolse trasportandoli  fino ad un piccolo globo nero, un mondo impenetrabile e buio.
I soli si uniscono
“Venite!- disse una voce - Presto, ora c’è una minuscola apertura, non perdete la concentrazione sul vostro amore … entrate”!
Giada e Johnny riuscirono ad entrare, appena in tempo prima della chiusura del portale.  Per fortuna non avevano neanche fatto in tempo a provare paura di quel nero che li inghiottiva, sarebbe stato un peccato, poichè quel che videro nell’oscurità era magnifico: colori nelle più varie sfumature,
Colori...
i suoni più dolci,
dolci suoni...
i sorrisi e le carezze dell’universo erano compressi in quel piccolo globo che all’esterno appariva nero e minuscolo, ma dentro si espandeva infinitamente.
sorrisi e carezze
Individuarono un’apertura,  che pareva l’accesso ad una grotta, vi entrarono e si ritrovarono  proiettati in uno schermo tridimensionale a rivivere la loro infanzia, come fossero i protagonisti di un film; si ritrovarono poi a ripercorrere le tappe di  un giorno speciale, videro un angelo bianco
Angelo bianco
che annunciava la nascita di un bambino, una farfalla che apriva il suo bozzolo,
Meravigliose farfalle
udirono un canto di pace nell’aria, e soprattutto percepirono armonia e felicità. “Vedi Johnny? Abbiamo trovato il Mondo dei sentimenti e questo è il filo dell'amore! – disse Giada indicando una sorta di gomitolo.
Filo dell'amore
Delicatamente prese il capo del filo di seta e cominciò a farne una matassa che tra le sue mani si trasformò e diventò un mantello, e il mantello avvolse i due che, anche se provenienti da mondi tanto differenti, avevano scoperto di amarsi, e fu proprio il loro amore a far sì che il mantello inglobasse il buco nero. L’universo si illuminò come mai prima.
Luce nell'Universo
Quella luce raggiunse  Giochino, si diffuse in ogni dove, e chiunque venisse avvolto dal fascio luminoso ritrovò il buonumore e l'allegria, caratteristici del pianeta. Il "Male blu" era debellato! Ma la luce non si fermò, viaggiò velocemente fino a raggiungere la Terra, dove sprigionò tutto il suo calore, che fece cessare la sterilità. Nuove vite si annunciarono, con grande gioia delle future mamme. Bambini stupendi avrebbero allietato tante famiglie, che avevano perduto la speranza.
Di nuovo la vita!
Ora vi erano solo certezze. "Bene! Missione compiuta! - esclamò raggiante Giada - Ora possiamo tornare a casa"!
Johnny la guardò ed annuì. L'emozione non gli consentiva di parlare, ma i suoi occhi esprimevano il sentimento che l'univa a quella splendida donna, donatasi a lui senza riserve. Poi un interrogativo lo indusse a chiedere:"Come faremo a tornare su Giochino"? "Semplice come bere un bicchier d'acqua, mio caro...prendimi la mano e stringila forte, poi chiudi gli occhi e pensami"! E mentre Johnny faceva ciò che Giada aveva detto, lei pose le sue labbra su quelle del suo sposo, che ricambiò il bacio con trasporto, riscoprendo il legame fortissimo che aveva unito entrambi. E come l'amore li aveva condotti nel Mondo dei sentimenti, lo stesso li riportò sul loro pianeta.
La strada del cuore
Il Gran Maestro li attendeva. "Ero certo che la vostra missione sarebbe stata un successo, miei cari ragazzi. Grazie Giada, per essere così speciale. Ora andate dai vostri figli, che vi stanno aspettando con impazienza. Noi due - disse rivolgendosi alla donna - ci vedremo domani. Devo istruirti per il compito che ti attende, non c'è più molto tempo. Il mio ciclo vitale sta per terminare...no...no..., niente tristezza. Siamo su Giochino, ricordate? A domani, Giada"!
Così è la vita! Chi mai avrebbe potuto immaginare che una terrestre sarebbe divenuta Maestra - Guida del nostro giocoso pianeta! Una nuova ed impegnativa prova attendeva la donna, forse la più difficile di tutta la sua vita, ma lei ne sarebbe stata all'altezza, questo è sicuro. Giada annuì, sorridendo al vecchio saggio. "Bene! - si disse - Coraggio...una nuova avventura mi attende!” Cari lettori, se vi capiterà di ammirare il bel cielo stellato, soffermatevi un istante e concentratevi su una luce lassù, più luminosa delle altre. Se vi piace credere nelle fiabe, convincetevi che quella luce sia il Pianeta Giochino.
Quella luce lassù!
E non abbiate timore se vi accorgerete che si stia avvicinando alla Terra, ma aspettate con fiducia sul prato del vostro giardino. Chissà…forse riceverete la visita di un alieno con le sembianze di Johnny Depp. Se ciò accadesse, dategli fiducia e accoglietelo come un ospite d’onore. Lui vi ricambierà con l’amore universale! 


Daniela Bonifazi - Milvia Di Michele

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UN PAESE DI NOME A COME AMORE di Maria Laura Celli, Daniela Bonifazi, Cecilia Bonazzi


C'era....c'era...una volta!
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Un re?
NO !!
Un mondo di fate ?
Nemmeno !
Ma allora cosa c'era ?
C'era.....c'era…c'era in un mondo irreale, tanto ma proprio tanto .....Amore.
Sì, quello con la A maiuscola, anzi, con la A grande, come amano definirla i bambini a scuola. Amore vero, puro, non dettato dalle falsità della vita, dalla ipocrisia della gente, dalla durezza del vivere quotidiano. Amore condiviso, che faceva palpitare i cuori, che inebriava gli animi, che trasmetteva sensazioni surreali. Un amore fatto di ....Amore, insomma.
Dove si trovava questo sentimento?
Lo raccontiamo subito, spiegandolo nel modo più semplice possibile. Era un sentimento nato insieme all'uomo, radicato nel suo essere più profondo. Era in simbiosi con il suo corpo, la sua anima, viveva in lui senza abbandonarlo mai, ma proprio mai !!!
Per secoli e secoli, l'uomo,ovunque vivesse, portava con sè questo splendido dono, offrendolo ai suoi simili senza, chiedere un ritorno.
Ed ecco che riappare "c'era!.
C'era un piccolo paese, ubicato ai piedi di una fantastica montagna, con di fronte un mare splendido dai colori dell'arcobaleno, dove la gente amava 'Amore, dove i sorrisi erano d'obbligo e le parole venivano sussurrate con dolcezza. Erano felici, forse troppo, non desideravano altro.
Ma un giorno,un particolare giorno il cielo si oscurò all’improvviso e cupi nuvoloni celarono il sole che fino a pochi istanti prima irradiava il paese e i dintorni, offrendo alla vista una magica visione d’insieme. In un attimo tutto cambiò. Il grigiore avvolse ogni cosa e i cuori delle persone, che non riuscivano più a provare sentimenti positivi. L’amore aveva perduto la sua A maiuscola e si tramutava gradualmente in antipatia prima, intolleranza e infine…odio!
Impossibile crederlo, non è vero?
Eppure la situazione cambiò radicalmente in quel paese fino a poco prima felice. I suoi abitanti non si resero conto della radicale mutazione nel modo di pensare e agire; sembrava avessero cancellato dalla memoria i tempi sereni e la condivisione di qualcosa di grande, come l’amore. Quale crudele entità poteva aver pianificato un tale maleficio?
Di certo una sorta di magia nera.
Già,una magia nera che nessuno mai avrebbe creduto potesse esistere. Un gruppo di uomini , provenienti da molto lontano, un giorno arrivò nel paese dell'amore e portò cattiveria, litigi, odio. Sì, avevano una sorta di furbizia che si infiltrava nel cuore degli uomini buoni trasformando l'amore in odio.
Come, vi chiederete.
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Organizzavano grandi feste invitando le persone felici, innamorate e gli offrivano una pozione magica, facendola passare per pozione fatata, che rafforzava l'amore.
Era invece una farina colorata che avevano avuto in dono dal Mago Magogno e che trasformava l'amore in odio.
Il Mago aveva promesso loro un baule pieno di soldoni se fossero riusciti a trasformare tutti gli innamorati in persone cattive, che sapessero soltanto odiare.
Il gruppetto furbetto si diede da fare per accontentare il Mago e ottenne un discreto successo.
I giorni passavano lenti e gli abitanti del paese dell'amore cominciavano a sentirsi strani, insicuri, diversi. Si chiesero cosa stesse loro succedendo; i litigi erano ormai all'ordine del giorno, perfino i cagnolini si contendevano le ossa che qualche abitante, non ancora colpito dal maleficio, aveva dato loro. Il paese era in subbuglio. Si erano formate due fazioni:gli abitanti buoni, generosi, tranquilli e quelli litigiosi, sempre pronti a far caciara.
Mago Magogno era soddisfatto di questo caos che si era venuto a creare e sogghignava tra i denti con una espressione mostruosa, sfregandosi le mani rugose e violacee.
Era arrivato il suo momento.
Preparò la sua valigetta, si pettinò, si vestì di tutto punto, si profumò; ma non fece il bagno, quello no e partì per quel piccolo paese ubicato ai piedi di una fantastica montagna e con di fronte un mare splendido.
Arrivò in tarda mattinata, sulla sua mercedes nuova fiammante, guidata dall’ autista personale, per presentarsi al Sindaco.
Evaristo il Sindaco era alle prese con un litigio fra vicini e aiutato dal vigile Mario stava cercando di capire quale sanzione massima erogare ai cittadini coinvolti. Non ascoltò, quindi, la segretaria che gli stava annunciando la presenza del Signor Illustrissimo Cavalier  Magogno, ma, anzi, la redarguì per il disturbo che gli stava arrecando.
Mago Magogno si sentì colpito nel suo orgoglio e deluso per la poca attenzione che stava ricevendo dal primo cittadino. Decise che avrebbe bevuto un caffè nel bar di fronte e atteso pazientemente il termine della disputa.
Al bar Code la gente era spazientita nel dover aspettare il proprio turno: il gestore aveva licenziato i dipendenti e si occupava lui di tutto, per non dover poi condividere l’incasso della giornata con nessuno.
Magogno si mise in fila, ma ben presto gli passò davanti un ragazzino.
“Hey, tu, non dovresti essere a scuola?” Chiese Magogno al ragazzo.
“E tu nonno? Non potresti sceglierti un altro bar ? “.
Magogno rimase sorpreso da tanta arroganza in un ragazzino così giovane; rinunciò al caffè e si sedete su una panchina del giardino pubblico che nessuno puliva più da settimane e che pullulava di insetti e personaggi sospetti.
E lì seduto pensò e ripensò e pensando e ripensando, trovò una soluzione alla situazione che gli stava sfuggendo di mano: variare di poco gli elementi della pozione magica ed irrorarli dal cielo per avere un miglior rendimento.
E così fece.
E così fu.
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Noleggiò un aereo e spruzzò la nuova combinazione della pozione sul paese e sulla campagna, sul mare e sulla montagna e la gente si adeguò immediatamente.
Quella pozione era veramente magica e agiva non solo su persone e animali, ma anche sull'ambiente e sul clima: Mago Magogno aveva fatto un capolavoro di cattiveria.
 Era proprio orgoglioso del suo capolavoro. I risultati in positivo, secondo le sue vedute, già si mostravano proprio sull'ambiente.
Il bosco, che si trovava alle spalle del paese e che con i suoi abeti bianchi dava asilo ad uccelli dai colori meravigliosi, improvvisamente seccò. I rami dei pini perdevano gli aghi in un battibaleno, rimanendo spogli, nudi come un bimbo appena nato. Mago Magogno sogghignava felice ma di una felicità cattiva, tanto cattiva da far diventare il suo viso ancora più brutto .
Era la realizzazione
del suo pensiero, del suo sogno: portare discordia, odio e rancore là, dove una
volta regnava serenità e amore.
Se la rideva Mago Magogno, sicuro di non avere ormai più rivali, di aver sbaragliato
completamente il campo da ogni forma di sentimento, di collaborazione, di aiuto
reciproco.
Se la rideva a crepapelle. 
Era lui il signore di tutto e di tutti.
Era lui il signore.



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Rientrato nella dimora da poco requisita al sindaco del paese, si sedette sul divano, soddisfatto del suo operato, col suo solito sorriso arcigno di chi non accetta sconfitte
nonostante tutto e crede di avere la verità in pugno. E lui quella verità la stringeva con tutte le sue forze: per non lasciarsela sfuggire non la condivideva con nessuno, restando così, solo, nel suo oblìo.
A poco a poco un lieve tepore s’impadronì delle sue membra; gli occhi sempre più stanchi per il duro lavoro della giornata, si chiusero. Si lasciò andare il mago, ad un sonno
dapprima leggero e soddisfatto, poi sempre più pesante e profondo, fino a diventare inquieto.
La sua mano si aprì e ne uscì la verità. Quella che teneva stretta, che non condivideva con nessuno e che nessuno, mai, avrebbe conosciuto. Si ridestò improvvisamente, tremante e
con uno strano malessere che non riusciva a spiegarsi. 
Si alzò, andò alla finestra e l’aprì.
L’aria era fresca e Mago Magogno fece un gran respiro corroborante.
Rimase alla finestra osservando.
Tutto era suo ora; tutto gli apparteneva, anche le anime dei paesani, gli animali,
le cose, le case, l’aria che respirava: tutto !
E tutto era buio.
Non una luce, non una stella in cielo; niente luna. Tutto era
silenzio: nessuna voce, nessun latrato, nessun rumore di nessun genere.
-Ma dove son finiti tutti ?- Si chiese Magogno.
-Dove siete finiti ?- Urlò ora, con quanto fiato aveva in corpo. Ma era anche vecchio
e stanco e il fiato non era poi tanto.
Nessuno rispose, nessuna luce si accese. Niente di niente.
Un brivido percorse il mago che per un attimo si sentì solo e fragile. Si catapultò fuori dall’abitazione e il nero della notte lo imprigionò. Si sentì gelare, sentì le gambe cedergli sotto il peso di quel silenzio e quella solitudine e si inginocchiò. Era stupito, non credeva, non sapeva, non conosceva lui, che era il padrone del mondo, non era padrone di sé stesso. Gli tremavano le mani e le lacrime, inaspettatamente, iniziarono a scendere,
rigandogli il viso. Non riusciva più a stringere i pugni, non riusciva più a trattenere e crollò sfinito.

Passarono alcune ore, o forse giorni, nessuno lo sa con certezza. 
Qualcosa di umido gli sfiorò il viso.
Ancora non riusciva ad aprire gli occhi il mago.
Pensò ad un sogno riuscito male. Mosse un dito; poi la mano. Stese una gamba e finalmente iniziò ad intravedere qualcosa dalle piccole fessure che erano i suoi occhi.
Ora quel qualcosa di umido sembrava un naso; sì, un naso; di un cane.
Magogno si ritrasse con ribrezzo. Il cane si sedette di fronte a lui, con la lingua fuori, aspettando un segnale.
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Il mago realizzò che ciò che aveva vissuto non era stato un sogno ma la realtà. Si guardò intorno e non vide nessuno. Gli alberi ancora spogli facevano da sfondo al paesaggio irreale, silenzioso e con il sole coperto dalle nuvole.
Guardò il cane. Il cane scodinzolò.
-Vattene bestiaccia !- Bofonchiò. Il cane si ritrasse ma si sedette nuovamente.
-Cosa vuoi da me ?-
L’animale si alzò e riprese a scodinzolare.
Magogno cercò di alzarsi, ma le forze gli mancavano e non riuscì. Il cane gli si
avvicinò e lo leccò su una guancia.
L’uomo rimase paralizzato, incredulo, incapace di pensare o respirare e muoversi.
Il cane lo leccò nuovamente, questa colta su una mano. Quella lingua, umida,
calda, ruvida di un cane qualunque. No, non poteva essere. Il bipede sentì
qualcosa venirgli da dentro, molto forte, molto profondo, molto lontano. Il
quadrupede continuava a fissarlo scodinzolando e tentando, di tanto in tanto,
un approccio di naso o di lingua. 
Il mago era smarrito, non sapeva chi fosse, cosa facesse, che ora e che giorno.
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Contro ogni sua volontà aprì una mano e l’allungò verso il cane che smise di
scodinzolare per precauzione. L’uomo accarezzò la testa pelosa dell’animale e
questi gli si avvicinò festeggiandolo a suon di leccate sul volto.

-No, no fermo !- disse ridendo il mago – Fermo, fermo !- e le sue risa salirono fino
al cielo aprendo le nuvole per raggiungere il sole, che caldo brillava come sempre.
-Buono, buono bello ! Non sono io il tuo padrone - cercò di scusarsi; ma il cane che
notoriamente sceglie il padrone, non smetteva di leccare e strofinare e festeggiare.
Magogno si arrese e, seduto in terra come un bambino, prese a ricambiare le attenzioni
del cane. E così andò per una buona mezz’ora o forse più, nessuno può dirlo.

 C'era una volta un mondo irreale, fatto di amore con la A maiuscola...