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UN PAESE DI NOME A COME AMORE di Maria Laura Celli, Daniela Bonifazi, Cecilia Bonazzi


C'era....c'era...una volta!
Immagine tratta dal web
Un re?
NO !!
Un mondo di fate ?
Nemmeno !
Ma allora cosa c'era ?
C'era.....c'era…c'era in un mondo irreale, tanto ma proprio tanto .....Amore.
Sì, quello con la A maiuscola, anzi, con la A grande, come amano definirla i bambini a scuola. Amore vero, puro, non dettato dalle falsità della vita, dalla ipocrisia della gente, dalla durezza del vivere quotidiano. Amore condiviso, che faceva palpitare i cuori, che inebriava gli animi, che trasmetteva sensazioni surreali. Un amore fatto di ....Amore, insomma.
Dove si trovava questo sentimento?
Lo raccontiamo subito, spiegandolo nel modo più semplice possibile. Era un sentimento nato insieme all'uomo, radicato nel suo essere più profondo. Era in simbiosi con il suo corpo, la sua anima, viveva in lui senza abbandonarlo mai, ma proprio mai !!!
Per secoli e secoli, l'uomo,ovunque vivesse, portava con sè questo splendido dono, offrendolo ai suoi simili senza, chiedere un ritorno.
Ed ecco che riappare "c'era!.
C'era un piccolo paese, ubicato ai piedi di una fantastica montagna, con di fronte un mare splendido dai colori dell'arcobaleno, dove la gente amava 'Amore, dove i sorrisi erano d'obbligo e le parole venivano sussurrate con dolcezza. Erano felici, forse troppo, non desideravano altro.
Ma un giorno,un particolare giorno il cielo si oscurò all’improvviso e cupi nuvoloni celarono il sole che fino a pochi istanti prima irradiava il paese e i dintorni, offrendo alla vista una magica visione d’insieme. In un attimo tutto cambiò. Il grigiore avvolse ogni cosa e i cuori delle persone, che non riuscivano più a provare sentimenti positivi. L’amore aveva perduto la sua A maiuscola e si tramutava gradualmente in antipatia prima, intolleranza e infine…odio!
Impossibile crederlo, non è vero?
Eppure la situazione cambiò radicalmente in quel paese fino a poco prima felice. I suoi abitanti non si resero conto della radicale mutazione nel modo di pensare e agire; sembrava avessero cancellato dalla memoria i tempi sereni e la condivisione di qualcosa di grande, come l’amore. Quale crudele entità poteva aver pianificato un tale maleficio?
Di certo una sorta di magia nera.
Già,una magia nera che nessuno mai avrebbe creduto potesse esistere. Un gruppo di uomini , provenienti da molto lontano, un giorno arrivò nel paese dell'amore e portò cattiveria, litigi, odio. Sì, avevano una sorta di furbizia che si infiltrava nel cuore degli uomini buoni trasformando l'amore in odio.
Come, vi chiederete.
Immagine tratta dal web
Organizzavano grandi feste invitando le persone felici, innamorate e gli offrivano una pozione magica, facendola passare per pozione fatata, che rafforzava l'amore.
Era invece una farina colorata che avevano avuto in dono dal Mago Magogno e che trasformava l'amore in odio.
Il Mago aveva promesso loro un baule pieno di soldoni se fossero riusciti a trasformare tutti gli innamorati in persone cattive, che sapessero soltanto odiare.
Il gruppetto furbetto si diede da fare per accontentare il Mago e ottenne un discreto successo.
I giorni passavano lenti e gli abitanti del paese dell'amore cominciavano a sentirsi strani, insicuri, diversi. Si chiesero cosa stesse loro succedendo; i litigi erano ormai all'ordine del giorno, perfino i cagnolini si contendevano le ossa che qualche abitante, non ancora colpito dal maleficio, aveva dato loro. Il paese era in subbuglio. Si erano formate due fazioni:gli abitanti buoni, generosi, tranquilli e quelli litigiosi, sempre pronti a far caciara.
Mago Magogno era soddisfatto di questo caos che si era venuto a creare e sogghignava tra i denti con una espressione mostruosa, sfregandosi le mani rugose e violacee.
Era arrivato il suo momento.
Preparò la sua valigetta, si pettinò, si vestì di tutto punto, si profumò; ma non fece il bagno, quello no e partì per quel piccolo paese ubicato ai piedi di una fantastica montagna e con di fronte un mare splendido.
Arrivò in tarda mattinata, sulla sua mercedes nuova fiammante, guidata dall’ autista personale, per presentarsi al Sindaco.
Evaristo il Sindaco era alle prese con un litigio fra vicini e aiutato dal vigile Mario stava cercando di capire quale sanzione massima erogare ai cittadini coinvolti. Non ascoltò, quindi, la segretaria che gli stava annunciando la presenza del Signor Illustrissimo Cavalier  Magogno, ma, anzi, la redarguì per il disturbo che gli stava arrecando.
Mago Magogno si sentì colpito nel suo orgoglio e deluso per la poca attenzione che stava ricevendo dal primo cittadino. Decise che avrebbe bevuto un caffè nel bar di fronte e atteso pazientemente il termine della disputa.
Al bar Code la gente era spazientita nel dover aspettare il proprio turno: il gestore aveva licenziato i dipendenti e si occupava lui di tutto, per non dover poi condividere l’incasso della giornata con nessuno.
Magogno si mise in fila, ma ben presto gli passò davanti un ragazzino.
“Hey, tu, non dovresti essere a scuola?” Chiese Magogno al ragazzo.
“E tu nonno? Non potresti sceglierti un altro bar ? “.
Magogno rimase sorpreso da tanta arroganza in un ragazzino così giovane; rinunciò al caffè e si sedete su una panchina del giardino pubblico che nessuno puliva più da settimane e che pullulava di insetti e personaggi sospetti.
E lì seduto pensò e ripensò e pensando e ripensando, trovò una soluzione alla situazione che gli stava sfuggendo di mano: variare di poco gli elementi della pozione magica ed irrorarli dal cielo per avere un miglior rendimento.
E così fece.
E così fu.
Immagine tratta dal wb

Noleggiò un aereo e spruzzò la nuova combinazione della pozione sul paese e sulla campagna, sul mare e sulla montagna e la gente si adeguò immediatamente.
Quella pozione era veramente magica e agiva non solo su persone e animali, ma anche sull'ambiente e sul clima: Mago Magogno aveva fatto un capolavoro di cattiveria.
 Era proprio orgoglioso del suo capolavoro. I risultati in positivo, secondo le sue vedute, già si mostravano proprio sull'ambiente.
Il bosco, che si trovava alle spalle del paese e che con i suoi abeti bianchi dava asilo ad uccelli dai colori meravigliosi, improvvisamente seccò. I rami dei pini perdevano gli aghi in un battibaleno, rimanendo spogli, nudi come un bimbo appena nato. Mago Magogno sogghignava felice ma di una felicità cattiva, tanto cattiva da far diventare il suo viso ancora più brutto .
Era la realizzazione
del suo pensiero, del suo sogno: portare discordia, odio e rancore là, dove una
volta regnava serenità e amore.
Se la rideva Mago Magogno, sicuro di non avere ormai più rivali, di aver sbaragliato
completamente il campo da ogni forma di sentimento, di collaborazione, di aiuto
reciproco.
Se la rideva a crepapelle. 
Era lui il signore di tutto e di tutti.
Era lui il signore.



Immagine tratta dal web
Rientrato nella dimora da poco requisita al sindaco del paese, si sedette sul divano, soddisfatto del suo operato, col suo solito sorriso arcigno di chi non accetta sconfitte
nonostante tutto e crede di avere la verità in pugno. E lui quella verità la stringeva con tutte le sue forze: per non lasciarsela sfuggire non la condivideva con nessuno, restando così, solo, nel suo oblìo.
A poco a poco un lieve tepore s’impadronì delle sue membra; gli occhi sempre più stanchi per il duro lavoro della giornata, si chiusero. Si lasciò andare il mago, ad un sonno
dapprima leggero e soddisfatto, poi sempre più pesante e profondo, fino a diventare inquieto.
La sua mano si aprì e ne uscì la verità. Quella che teneva stretta, che non condivideva con nessuno e che nessuno, mai, avrebbe conosciuto. Si ridestò improvvisamente, tremante e
con uno strano malessere che non riusciva a spiegarsi. 
Si alzò, andò alla finestra e l’aprì.
L’aria era fresca e Mago Magogno fece un gran respiro corroborante.
Rimase alla finestra osservando.
Tutto era suo ora; tutto gli apparteneva, anche le anime dei paesani, gli animali,
le cose, le case, l’aria che respirava: tutto !
E tutto era buio.
Non una luce, non una stella in cielo; niente luna. Tutto era
silenzio: nessuna voce, nessun latrato, nessun rumore di nessun genere.
-Ma dove son finiti tutti ?- Si chiese Magogno.
-Dove siete finiti ?- Urlò ora, con quanto fiato aveva in corpo. Ma era anche vecchio
e stanco e il fiato non era poi tanto.
Nessuno rispose, nessuna luce si accese. Niente di niente.
Un brivido percorse il mago che per un attimo si sentì solo e fragile. Si catapultò fuori dall’abitazione e il nero della notte lo imprigionò. Si sentì gelare, sentì le gambe cedergli sotto il peso di quel silenzio e quella solitudine e si inginocchiò. Era stupito, non credeva, non sapeva, non conosceva lui, che era il padrone del mondo, non era padrone di sé stesso. Gli tremavano le mani e le lacrime, inaspettatamente, iniziarono a scendere,
rigandogli il viso. Non riusciva più a stringere i pugni, non riusciva più a trattenere e crollò sfinito.

Passarono alcune ore, o forse giorni, nessuno lo sa con certezza. 
Qualcosa di umido gli sfiorò il viso.
Ancora non riusciva ad aprire gli occhi il mago.
Pensò ad un sogno riuscito male. Mosse un dito; poi la mano. Stese una gamba e finalmente iniziò ad intravedere qualcosa dalle piccole fessure che erano i suoi occhi.
Ora quel qualcosa di umido sembrava un naso; sì, un naso; di un cane.
Magogno si ritrasse con ribrezzo. Il cane si sedette di fronte a lui, con la lingua fuori, aspettando un segnale.
Immagine tratta dal web
Il mago realizzò che ciò che aveva vissuto non era stato un sogno ma la realtà. Si guardò intorno e non vide nessuno. Gli alberi ancora spogli facevano da sfondo al paesaggio irreale, silenzioso e con il sole coperto dalle nuvole.
Guardò il cane. Il cane scodinzolò.
-Vattene bestiaccia !- Bofonchiò. Il cane si ritrasse ma si sedette nuovamente.
-Cosa vuoi da me ?-
L’animale si alzò e riprese a scodinzolare.
Magogno cercò di alzarsi, ma le forze gli mancavano e non riuscì. Il cane gli si
avvicinò e lo leccò su una guancia.
L’uomo rimase paralizzato, incredulo, incapace di pensare o respirare e muoversi.
Il cane lo leccò nuovamente, questa colta su una mano. Quella lingua, umida,
calda, ruvida di un cane qualunque. No, non poteva essere. Il bipede sentì
qualcosa venirgli da dentro, molto forte, molto profondo, molto lontano. Il
quadrupede continuava a fissarlo scodinzolando e tentando, di tanto in tanto,
un approccio di naso o di lingua. 
Il mago era smarrito, non sapeva chi fosse, cosa facesse, che ora e che giorno.
Immagine tratta dal web
Contro ogni sua volontà aprì una mano e l’allungò verso il cane che smise di
scodinzolare per precauzione. L’uomo accarezzò la testa pelosa dell’animale e
questi gli si avvicinò festeggiandolo a suon di leccate sul volto.

-No, no fermo !- disse ridendo il mago – Fermo, fermo !- e le sue risa salirono fino
al cielo aprendo le nuvole per raggiungere il sole, che caldo brillava come sempre.
-Buono, buono bello ! Non sono io il tuo padrone - cercò di scusarsi; ma il cane che
notoriamente sceglie il padrone, non smetteva di leccare e strofinare e festeggiare.
Magogno si arrese e, seduto in terra come un bambino, prese a ricambiare le attenzioni
del cane. E così andò per una buona mezz’ora o forse più, nessuno può dirlo.

 C'era una volta un mondo irreale, fatto di amore con la A maiuscola...

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