Un re?
NO !!
Un mondo di fate ?
Nemmeno !
Ma allora cosa c'era ?
C'era.....c'era…c'era
in un mondo irreale, tanto ma proprio tanto .....Amore.
Sì, quello con la A maiuscola,
anzi, con la A grande, come amano definirla i bambini a scuola. Amore vero, puro,
non dettato dalle falsità della vita, dalla ipocrisia della gente, dalla
durezza del vivere quotidiano. Amore condiviso, che faceva palpitare i cuori, che
inebriava gli animi, che trasmetteva sensazioni surreali. Un amore fatto di
....Amore, insomma.
Dove si trovava questo
sentimento?
Lo raccontiamo subito, spiegandolo
nel modo più semplice possibile. Era un sentimento nato insieme all'uomo, radicato
nel suo essere più profondo. Era in simbiosi con il suo corpo, la sua anima, viveva
in lui senza abbandonarlo mai, ma proprio mai !!!
Per secoli e secoli,
l'uomo,ovunque vivesse, portava con sè questo splendido dono, offrendolo ai
suoi simili senza, chiedere un ritorno.
Ed ecco che riappare
"c'era!.
C'era un piccolo paese,
ubicato ai piedi di una fantastica montagna, con di fronte un mare splendido dai
colori dell'arcobaleno, dove la gente amava 'Amore, dove i sorrisi erano
d'obbligo e le parole venivano sussurrate con dolcezza. Erano felici, forse
troppo, non desideravano altro.
Ma un giorno,un
particolare giorno il cielo si oscurò all’improvviso e cupi nuvoloni celarono
il sole che fino a pochi istanti prima irradiava il paese e i dintorni,
offrendo alla vista una magica visione d’insieme. In un attimo tutto cambiò. Il
grigiore avvolse ogni cosa e i cuori delle persone, che non riuscivano più a
provare sentimenti positivi. L’amore aveva perduto la sua A maiuscola e si
tramutava gradualmente in antipatia prima, intolleranza e infine…odio!
Impossibile crederlo,
non è vero?
Eppure la situazione
cambiò radicalmente in quel paese fino a poco prima felice. I suoi abitanti non
si resero conto della radicale mutazione nel modo di pensare e agire; sembrava
avessero cancellato dalla memoria i tempi sereni e la condivisione di qualcosa
di grande, come l’amore. Quale crudele entità poteva aver pianificato un tale
maleficio?
Di certo una sorta di
magia nera.
Già,una magia nera che
nessuno mai avrebbe creduto potesse esistere. Un gruppo di uomini , provenienti
da molto lontano, un giorno arrivò nel paese dell'amore e portò cattiveria, litigi,
odio. Sì, avevano una sorta di furbizia che si infiltrava nel cuore degli
uomini buoni trasformando l'amore in odio.
Organizzavano grandi
feste invitando le persone felici, innamorate e gli offrivano una pozione
magica, facendola passare per pozione fatata, che rafforzava l'amore.
Era invece una farina
colorata che avevano avuto in dono dal Mago Magogno e che trasformava l'amore
in odio.
Il Mago aveva promesso
loro un baule pieno di soldoni se fossero riusciti a trasformare tutti gli
innamorati in persone cattive, che sapessero soltanto odiare.
Il gruppetto furbetto
si diede da fare per accontentare il Mago e ottenne un discreto successo.
I giorni passavano
lenti e gli abitanti del paese dell'amore cominciavano a sentirsi strani, insicuri,
diversi. Si chiesero cosa stesse loro succedendo; i litigi erano ormai
all'ordine del giorno, perfino i cagnolini si contendevano le ossa che qualche
abitante, non ancora colpito dal maleficio, aveva dato loro. Il paese era in
subbuglio. Si erano formate due fazioni:gli abitanti buoni, generosi, tranquilli
e quelli litigiosi, sempre pronti a far caciara.
Mago Magogno era
soddisfatto di questo caos che si era venuto a creare e sogghignava tra i denti
con una espressione mostruosa, sfregandosi le mani rugose e violacee.
Era arrivato il suo
momento.
Preparò la sua
valigetta, si pettinò, si vestì di tutto punto, si profumò; ma non fece il
bagno, quello no e partì per quel piccolo paese ubicato ai piedi di una
fantastica montagna e con di fronte un mare splendido.
Arrivò in tarda
mattinata, sulla sua mercedes nuova fiammante, guidata dall’ autista personale,
per presentarsi al Sindaco.
Evaristo il Sindaco era
alle prese con un litigio fra vicini e aiutato dal vigile Mario stava cercando
di capire quale sanzione massima erogare ai cittadini coinvolti. Non ascoltò,
quindi, la segretaria che gli stava annunciando la presenza del Signor
Illustrissimo Cavalier Magogno, ma, anzi, la redarguì per il disturbo che
gli stava arrecando.
Mago Magogno si sentì
colpito nel suo orgoglio e deluso per la poca attenzione che stava ricevendo
dal primo cittadino. Decise che avrebbe bevuto un caffè nel bar di fronte e atteso
pazientemente il termine della disputa.
Al bar Code la gente
era spazientita nel dover aspettare il proprio turno: il gestore aveva
licenziato i dipendenti e si occupava lui di tutto, per non dover poi
condividere l’incasso della giornata con nessuno.
Magogno si mise in
fila, ma ben presto gli passò davanti un ragazzino.
“Hey, tu, non dovresti
essere a scuola?” Chiese Magogno al ragazzo.
“E tu nonno? Non
potresti sceglierti un altro bar ? “.
Magogno rimase sorpreso
da tanta arroganza in un ragazzino così giovane; rinunciò al caffè e si sedete
su una panchina del giardino pubblico che nessuno puliva più da settimane e che
pullulava di insetti e personaggi sospetti.
E lì seduto pensò e
ripensò e pensando e ripensando, trovò una soluzione alla situazione che gli
stava sfuggendo di mano: variare di poco gli elementi della pozione magica ed
irrorarli dal cielo per avere un miglior rendimento.
E così fece.
Noleggiò un aereo e
spruzzò la nuova combinazione della pozione sul paese e sulla campagna, sul
mare e sulla montagna e la gente si adeguò immediatamente.
Quella pozione era
veramente magica e agiva non solo su persone e animali, ma anche sull'ambiente
e sul clima: Mago Magogno aveva fatto un capolavoro di cattiveria.
Era proprio
orgoglioso del suo capolavoro. I risultati in positivo, secondo le sue vedute,
già si mostravano proprio sull'ambiente.
Il bosco, che si
trovava alle spalle del paese e che con i suoi abeti bianchi dava asilo ad
uccelli dai colori meravigliosi, improvvisamente seccò. I rami dei pini
perdevano gli aghi in un battibaleno, rimanendo spogli, nudi come un bimbo
appena nato. Mago Magogno sogghignava felice ma di una felicità cattiva, tanto
cattiva da far diventare il suo viso ancora più brutto .
Era la realizzazione
del suo pensiero, del
suo sogno: portare discordia, odio e rancore là, dove una
volta regnava serenità
e amore.
Se la rideva Mago Magogno,
sicuro di non avere ormai più rivali, di aver sbaragliato
completamente il campo
da ogni forma di sentimento, di collaborazione, di aiuto
reciproco.
Se la rideva a crepapelle.
Era lui il signore di tutto
e di tutti.
Era lui il signore.
Immagine tratta dal web |
Rientrato nella dimora da
poco requisita al sindaco del paese, si sedette sul divano, soddisfatto del suo
operato, col suo solito sorriso arcigno di chi non accetta sconfitte
nonostante tutto e
crede di avere la verità in pugno. E lui quella verità la stringeva con tutte
le sue forze: per non lasciarsela sfuggire non la condivideva con nessuno,
restando così, solo, nel suo oblìo.
A poco a poco un lieve tepore
s’impadronì delle sue membra; gli occhi sempre più stanchi per il duro lavoro
della giornata, si chiusero. Si lasciò andare il mago, ad un sonno
dapprima leggero e
soddisfatto, poi sempre più pesante e profondo, fino a diventare inquieto.
La sua mano si aprì e ne
uscì la verità. Quella che teneva stretta, che non condivideva con nessuno e che
nessuno, mai, avrebbe conosciuto. Si ridestò improvvisamente, tremante e
con uno strano
malessere che non riusciva a spiegarsi.
Si alzò, andò alla
finestra e l’aprì.
L’aria era fresca e
Mago Magogno fece un gran respiro corroborante.
Rimase alla finestra
osservando.
Tutto era suo ora;
tutto gli apparteneva, anche le anime dei paesani, gli animali,
le cose, le case,
l’aria che respirava: tutto !
E tutto era buio.
Non una luce, non una
stella in cielo; niente luna. Tutto era
silenzio: nessuna voce,
nessun latrato, nessun rumore di nessun genere.
-Ma dove son finiti
tutti ?- Si chiese Magogno.
-Dove siete finiti ?-
Urlò ora, con quanto fiato aveva in corpo. Ma era anche vecchio
e stanco e il fiato non
era poi tanto.
Nessuno rispose,
nessuna luce si accese. Niente di niente.
Un brivido percorse il
mago che per un attimo si sentì solo e fragile. Si catapultò fuori
dall’abitazione e il nero della notte lo imprigionò. Si sentì gelare, sentì le
gambe cedergli sotto il peso di quel silenzio e quella solitudine e si
inginocchiò. Era stupito, non credeva, non sapeva, non conosceva lui, che era
il padrone del mondo, non era padrone di sé stesso. Gli tremavano le mani e le
lacrime, inaspettatamente, iniziarono a scendere,
rigandogli il viso. Non
riusciva più a stringere i pugni, non riusciva più a trattenere e crollò
sfinito.
Passarono alcune ore, o
forse giorni, nessuno lo sa con certezza.
Qualcosa di umido gli
sfiorò il viso.
Ancora non riusciva ad
aprire gli occhi il mago.
Pensò ad un sogno
riuscito male. Mosse un dito; poi la mano. Stese una gamba e finalmente iniziò
ad intravedere qualcosa dalle piccole fessure che erano i suoi occhi.
Ora quel qualcosa di
umido sembrava un naso; sì, un naso; di un cane.
Magogno si ritrasse con
ribrezzo. Il cane si sedette di fronte a lui, con la lingua fuori, aspettando
un segnale.
Il mago realizzò che
ciò che aveva vissuto non era stato un sogno ma la realtà. Si guardò intorno e
non vide nessuno. Gli alberi ancora spogli facevano da sfondo al paesaggio
irreale, silenzioso e con il sole coperto dalle nuvole.
Guardò il cane. Il cane
scodinzolò.
-Vattene bestiaccia !-
Bofonchiò. Il cane si ritrasse ma si sedette nuovamente.
-Cosa vuoi da me ?-
L’animale si alzò e
riprese a scodinzolare.
Magogno cercò di
alzarsi, ma le forze gli mancavano e non riuscì. Il cane gli si
avvicinò e lo leccò su
una guancia.
L’uomo rimase
paralizzato, incredulo, incapace di pensare o respirare e muoversi.
Il cane lo leccò
nuovamente, questa colta su una mano. Quella lingua, umida,
calda, ruvida di un
cane qualunque. No, non poteva essere. Il bipede sentì
qualcosa venirgli da
dentro, molto forte, molto profondo, molto lontano. Il
quadrupede continuava a
fissarlo scodinzolando e tentando, di tanto in tanto,
un approccio di naso o
di lingua.
Il mago era smarrito,
non sapeva chi fosse, cosa facesse, che ora e che giorno.
Immagine tratta dal web |
Contro ogni sua volontà
aprì una mano e l’allungò verso il cane che smise di
scodinzolare per
precauzione. L’uomo accarezzò la testa pelosa dell’animale e
questi gli si avvicinò
festeggiandolo a suon di leccate sul volto.
-No, no fermo !- disse
ridendo il mago – Fermo, fermo !- e le sue risa salirono fino
al cielo aprendo le
nuvole per raggiungere il sole, che caldo brillava come sempre.
-Buono, buono bello !
Non sono io il tuo padrone - cercò di scusarsi; ma il cane che
notoriamente sceglie il
padrone, non smetteva di leccare e strofinare e festeggiare.
Magogno si arrese e,
seduto in terra come un bambino, prese a ricambiare le attenzioni
del cane. E così andò
per una buona mezz’ora o forse più, nessuno può dirlo.
C'era una volta
un mondo irreale, fatto di amore con la A maiuscola...
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