Copyright

COPYRIGHT Fantasia In Rete 2010-2012 Tutti gli scritti sono riservati e soggetti ad autorizzazione da parte degli Amministratori e degli Autori.
DISCLAIMER " Alcune immagini, fotografie e creazioni grafiche sono state trovate sul Web e non è stato possibile verificare se siano di pubblico dominio o meno. Se non fossero pubbliche, inviare una Email a 'galleschi.stefania@gmail.com' e la grafica in questione verrà rimossa."


"IL gatto nero" favola di Daniela Sassi



Il gatto nero
C’era una volta un gatto nero che volava sui tetti nelle notti di luna, che sfiorava le stelle con la sua lunghissima coda, che sfidava il buio con i suoi occhi gialli, che raccontava alle rosse tegole vecchie storie di tutte le sue vite. Erano storie antiche di cavalieri e dame, di maghi e di fantasmi vaganti nella nebbia, di draghi di fuoco, di eroi luminosi, di albe e di tramonti, di un mondo che era voce e non solo parola e scrittura, di uomini e di donne che si guardavano negli occhi senza trasformarsi in statue di pietra, di mani e di sorrisi, non di faccine colorate e di strane smorfie. Piacevano alle tegole le sue storie, lo ascoltavano scricchiolando di brividi di luce, piacevano alle civette e ai gufi le sue storie, lo ascoltavano arruffando le piume e ripetendo nell’oscurità il loro canto. 
Il gatto nero però era triste, le sue parole, infatti, non raggiungevano mai le persone dagli occhi chiusi sotto i tetti, nel silenzio delle loro stanze brillavano troppi ammiccanti occhi meccanici verdi e rossi, parlavano troppe complicate macchine perché la sua voce potesse arrivare a toccare i loro cuori, gli capitava a volte, ma molto, molto raramente, di riuscire ad infilarsi di nascosto in qualche loro strano, perduto sogno che svaniva però al sorgere di ogni nuovo sole. Restavano solo un lampo, un vago struggimento, che si perdevano col passare delle ore, che scivolavano via tra le tante cose da fare, tra i mille rumori, tra le mille parole, che al massimo usavano per ricavarne i numeri per un terno al lotto.
Un giorno il gatto decise di scendere nelle strade del mondo, di provare a vedere se da svegli gli uomini erano più disposti ad ascoltarlo, macché, con sua grande meraviglia vide che al suo passaggio tutti si bloccavano, facevano strani gesti, sembravano tremanti e impauriti. Fermò allora un vecchio signore –Perché mi guardi immobile?- disse –Perché sei nero- rispose il signore e scappo via. Si avvicinò ad una ragazza bionda – Come mai i tuoi grandi occhi sono spaventati?- le domandò – Perché tu sei il buio, la sfortuna, il male– balbettò e se ne andò rasentando i muri. Un bambino dai riccioli scuri gli tirò una pietra urlandogli -Gatto malvagio dal nero colore, figlio di streghe, tu rechi dolore, gatto fratello di un diavolo rosso, fuggi lontano o ti getto nel fosso.
Il gatto continuò a vagare e a fare domande per tutto il giorno e ricevette le risposte più strane ed oscure, era sconcertato e sempre più amareggiato mentre la luce rossa e radente del tramonto trasformava la città in lago incantato di luce, tutti sembravano avere fretta e pareva trovassero un attimo per fermarsi, per guardare, per pensare solo all’apparire della sua nera coda.
Si fermò a riposare in un giardino – Alberi e fiori, voi che siete qui da tanto tempo- chiese – Perché gli uomini hanno paura di me?. Non te lo possiamo dire- sussurrarono -Gli umani si vendicherebbero se ti rivelassimo il loro segreto, lo hanno già fatto molte volte quando abbiamo cercato di far sentire il nostro canto nel vento. Si avvicinò ad un ruscello -Tu sai il perché piccolo fiume?- sospirò -Io sono acqua che scorre- bisbigliò -Conservo traccia e memoria di tutto ciò che in me si riflette, ma la mia voce è troppo flebile, le persone non sanno più ascoltare il mormorio lieve della corrente e poi tu devi capire da solo- e se ne tornò a scivolare sereno verso il blu.
Al gatto le strade del mondo non erano piaciute molto, troppo rumore e pochi suoni, troppe facce e pochi volti, troppi segni e pochi significati, troppe parole e poca voglia di ascoltare, troppe maschere d’eroi ma pochi cuori d’eroe e così se ne tornò a raccontare le sue storie ai tetti bagnati di luna, ai gufi e alle civette dagli occhi attenti, al silenzio della notte. Ho capito perché gli uomini mi temono- disse - ma non diverrò bianco per costringerli a sentirmi. Forse un giorno comprenderanno perché li spaventa così tanto chi nel buio narra di un mondo lontano, di gesti perduti, di verde e d’azzurro, forse riusciranno a sentire la voce delle creature della notte senza che un brivido gelato li attraversi, forse riusciranno a conservare nella luce magica dell’alba il ricordo dei sogni luminosi in cui continuerò a cercare d’infilarmi di nascosto.
Forse… Forse. 



Daniela Sassi

Nessun commento:

Posta un commento