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SERENELLA MENICHETTI

INCERTEZZE
(Serenella Menichetti)

Questi fili d'argento
lenti, arrabbiati, tristi.
s'attaccano ai sogni
come zecche grigie.
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Latitanze sospese, impregnano
l'atmosfera d' incertezze
e vane attese.
Il boato del vuoto esplode,
dentro le coscienze.

Pesci senz'acqua, rantolano.
Pipistrelli sordi sbattono contro
muri di gomma.
Per non cadere si aggrappano al
nido del falco.
La dimensione illusoria degli
specchi ha gettato la sua rete.
Molte le prede catturate.

Il vociare strapazza il tubo catodico.
La volgarità e l'arroganza mietono vittime.
Macerie d'intrighi e menzogne inumano
gli ultimi capelli bianchi dell'umanità.

E la storia a tempo di valzer
ripete lo stesso ritornello.

MIELE E FIELE

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Rantoli permanenti

rintronano le menti.
Pianti capienti
erompono vanamente
dalla crosta.
Ininterrottamente.

L'orecchio sordo
a dolore assurdo.
L'occhio cieco
guarda di sbieco.
Non vuol vedere.

Solo potere
denaro e miele.
No pianto amaro.
Tu mangia fiele !
 
FRUSCIO

Serpeggia e sguscia,

nei riflessi del tempo,
un sospiro, un lamento,
piano lento quieto:
un fruscio di dolore,
un languore intermittente.

Per udirlo, devi sussurrare,
le orecchie sturare.
Devi vivere silente
e avere nella mente
e nel cuore,
una goccia di poesia.








NOI:SOLO BARILLA!

La mia casa brilla


tutto qui scintilla
Tutte le mattine
metto le pattine.
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Sono la regina
della mia casina.
Donna ideale
e sposa speciale.

Mamma perfetta
che i figli alletta
con cibi speciali
e giochi geniali.

E la mia famiglia ?
-Una meraviglia !-
Ho un bel marito
sempre l'ho servito!

Porta i pantaloni.
Ama i rigatoni
la tavola sfavilla
Noi solo “BARILLA!”

OLTRE

I tuoi occhi chiari
sono pozzi oscuri.
Cupi. 
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Le trasparenze si sono colmate
di cenere azzurrina.
Combustione del presente ?
Opachi vagano.
In una traiettoria, troppo distante.
dal tempo, dallo spazio.
Guardano orizzonti lontani.
Che io non riesco a scorgere.
Ti cerco e non ti trovo.
Volto amato che mi sfugge.
Immerso nell'opacità dell'assenza.
Non riesco più a leggerti.
Le parole si sono sciolte
lasciando un alone d'inchiostro
sulle tue pagine bianche.
E' tutto grigio e nebbioso.
Ogni lettera si è persa nei labirinti, dell'infinito.
Ascolti remoti richiami, dove presente e passato
non esistono.
Il futuro è una nebulosa sconosciuta.
Vorrei aprire quella porta ed entrare 
nel mondo in cui sei immerso
per non lasciarti solo.
Per non restare sola.


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VITA

Scivoli, fuori catapultato nell'ignoto.

Gridi per il freddo, per il nuovo.

Sganciato dalle calde viscere.

Violenza inaudita.

Defraudato del tuo spazio caldo.

Della tua musica nota.
Manipolato, confezionato, imballato.
Che un caldo seno possa essere il tuo inizio.




MAGIA DI PERIGEO


Unica gemma al mondo
tra cielo e terra in bilico.
Stanotte, in un abbraccio rosa
la luna t'ha avvinghiata.
Mentre tu storta, nell'inchiostro svetti,

lanci a chi guarda, petali di quarzo,
Alla stazione, nel suo cartone avvolto,
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sereno, un clochard di rosa sogna.
Prima che il suo giorno, solitamente lasci,
la veste tenebrosa della notte.
In questo raro notturno, pure l'Arno
pare ora, sia, trasparente e vivo.
Che sembra di vedere guizzi d'argento.
Immersa nel rosato plenilunio,
Io, percepisco suggestivi influssi.
Immobile e rilassata, sul lungarno,
mi sento trasportare avanti e indietro.
Sbalzi di tempo e spazio mi percorrono.
Improvviso, un bisbiglio d'acqua, una scia reca.
Nel fiume, un feroce caimano è all'attacco.
Mentre ignara sotto la luna Pisa dorme,
s'alzano fiamme a rosicchiarle gli arti.
Solo Kinzica che per amore veglia
avvista il rosso crepitare e, avvisa.
E le campane destano i dormienti.
Fugge l'alligatore. L'acqua spegne.
Nel rosa stregato di questo perigeo
Un grande salto avanti mi sorprende:
Un mare tra due rigogliose sponde,
e gente attraversarle facilmente.
Strette di mano e pacche sulle spalle,
ceste di rispetto colme e frutti dolci.
Batti cinque tra mani diseguali
s'alternano tra l'una e l'altra sponda.
E, mentre dalle risa Pisa scoppia
La Torre allunga il collo e, a raddrizzarsi prova
per sapere il continuo della storia.


SONORITA'



Materia sonora della nostra terra

eternità e infinito che l'uomo cerca,
nel moto ondoso del suo microcosmo.
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Sei l'universo che in punta di piedi danza 
sull' oscura faccia della luna,
per aiutarla a rivelarsi.

Sei la risonanza della marea.
Il sospiro e il grido del cosmo.
Sei zefiro gentile che fa dondolare 
i rami dei nostri sensi.
E, maestrale impetuoso che li fa vibrare.

Sei fuoco che brucia le stoppie
di un sogno finito.
E goccia che diventa sconfinato mare.

Sei l'angolo celato dell'isola che non c'è, 
dove ascoltare del mare, le odi, carpite
dalla bocca dischiusa d' una conchiglia.


PANE NOSTRO

Acqua e farina e avrai di che sfamarti.

Ho visto uomini dissodar la terra
e fazzoletti a quadri zuppi di sudore.
Altri, con gesta ampie, spargere sementi.
Ho scorto la terra aprirsi all'accoglienza.

Acqua e farina e avrai di che sfamarti

E sventolar dell'universo le bandiere

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e, un oceano giallo verso il sole librarsi.
Bagliori di fuoco e scintille purpuree

Acqua e farina e avrai di che sfamarti

Ho visto in mezzo all'oro chiazze rosse,
come il sangue dei soldati in guerra.
E scarpe giganti calpestar le messi.
E scarne mani tese, tornar vuote.

Acqua e farina e avrai di che sfamarti

E, mentre l'alba fa corse di luce.
ho distinto in aurea nebbia corpi, immersi
E udito di gioia gridar la trebbiatrice

Acqua e farina e avrai di che sfamarti.

E, mulini senza prender fiato, cantare.
Ho percepito della farina il vagito.
mentre l'acqua proponeva un'alleanza
per insieme sconfiggere la fame.

Acqua e farina e avrai di che sfamarti.

Ho visto abili mani mescolare
ed impastar, acqua amore e polvere.
Gesti materni, a crescer un pane, atti.

Acqua e farina e avrai di che sfamarti

Cibo essenziale, che la fame toglie
Universale alimento, dalla terra nato
Creato d'acqua e grano, fuoco ed aria

Che ogni mensa possa esserti culla.
Ogni corpo in te trovar giusto ristoro
ed equilibrio fra l'abbondanza e il nulla.
Tu sia “PANE NOSTRO” di tutti diritto.


ONIRICO


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Quando la realtà si tuffa nel firmamento 

Naufraghi navighiamo in acque ignote.
Un viaggio oltre il tempo, oltre lo spazio.

Dalla cortina di polvere di luna affiorano paesaggi,
nel gorgoglio di un “déjà vu” che ci sovviene.
Un puzzle di tessere note e oscure prende forma

Corpi fatti di sguardi, voci, andature, giungono.
A troncare della notte il cruento silenzio:
si staccano dalla loro bocca frasi strane, 
il cui senso è un rebus da svelare.

Quando la luce prosciuga il sogno,
non rimane che un lembo di sabbia,
su cui scrivere ancora, versi.



IL SILENZIO

Il silenzio ha il colore dell'oro
della sabbia del deserto.
Oppure, quello, della notte.

Ha il profumo della nigritella
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o quello putrido della morte.

Ha il sapore d' acqua di sorgente.
Oppure quello quasi amaro, del mar morto

Il silenzio ha la trasparenza del cristallo.
o l'opacità della pietra grezza.

La sottigliezza di un velo di seta.
oppure lo spessore di un velluto.

Il silenzio vola, con ali di farfalla.
Oppure, plana, con ali di falco.

Il silenzio, parla, con parole essenziali.
Ci ascolta, mentre ci ascoltiamo.
Fruga nelle nostre verità nascoste.
Strato su strato, le spoglia,
fino a mostrarci le loro nudità.

Oppure ci avvolge in un drappo di niente
e ci conduce in altri mondi,
dove le parole si sfumano nella nebbia
fino a scomparire.

Ci trasporta fino alla porta del vento,
in un vortice che ci risucchia.
Scivoliamo nell'oblio.
dove il mistero ci attende.





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FILI D'ORO




Ho trovato fili d’oro

e li ho usati
per acconciarmi.

Ho trovato fili d’oro
e li ho usati
per divertirmi.

Ho trovato fili d’oro
e li ho usati
per arricchirmi.

Ho trovato fili d’oro
e li ho usati
per rammendare l’anima.




UN FIOCO PENSIERO
 
La colpa del mare non era 
e l'onda sembrava cullare 
l'azzurro intenso parlava 
la barca si mise a ballare.
In bilico corpi ammassati 
sull'orlo del baratro nero 
sostavano stanchi e stremati 
in mente un pensiero. 

La barca è oltremodo gremita
un fuoco ad un tratto s'attacca 
migranti si gettano in acqua. 
Ancora una sorte vigliacca 
si scaglia su povera gente.
Scafista crudele e negrerio 
che ruba la vita, la mente 
e spegne il pensiero 

Nel mare galleggiano lievi
quei miseri corpi perduti. 
Il cielo pudico s'arrossa 
un forte strillar di gabbiani 
rasenta quel gran cimitero.
Poi giungono uomini umani 
si schianta il pensiero.

Un numero lieve si salva 
un numero vasto perisce.
La fila di sagome uguali 
protetta da identici teli
supina in terreno straniero
rivolge a limpidi cieli
un fioco pensiero.

Chiedevano solo rifugio 
da guerre, soprusi e conflitti.
E gocce di tregua e speranza
non certo una morte fallace 
del corpo, dell'io veritiero 
adesso né guerra né pace 
estinto è il pensiero.



LUNA PIENA

Quando la luna prende il cielo tutto:
la notte si trasforma in giorno pieno 
finestre aperte ,una leggera brezza 
entra la luce bianca e tutto è ameno.
Pareti vuote grondano tristezza 
luce lunare il corpo m'accarezza.
Bevo la luce ed il grigiore butto!




EUROPA SVEGLIA !
Sbarcano corpi in quel di Lampedusa 
son tutti morti in luogo straniero.
Scafisti aguzzini ogni uomo accusa
destino nero.
Grande vergogna, Bergoglio oggi dichiara.
Dolore immenso del popolo italiano.
Ennesima tragedia affatto rara
Sfugge di mano.
Dramma bestiale della disperazione
mare rosseggia di resti mortali
non sicurezza sull'imbarcazione
lerci animali !
Donne, bambini, uomini innocenti !
migranti in fila scippati di vita.
Silenzio dal mondo dei potenti
Europa unita ?
Accoglienza, rifugio e protezione
urgono per coloro che han bisogno,
non solamente la nostra nazione
può dare un sogno.



SONO SBOCCIATE LE GIUNCHIGLIE !

Lo sguardo scivolò sulle giunchiglie
gialle di sole e col sorriso pieno.
E s'aggrappò a quei petali odorosi
un caldo giallo scivolò all'interno
e tutto si placò come d'incanto.
Pillole d'oro sciolsero l'affanno.






LA BALLATA DI THALIA

Le tre bare spostate, 
nel convento del frate.
Un teschio rinsecchito,
nel castello turrito.
Una salma seduta
su una sedia panciuta.

Il fantasma di Cecco,
che danza su uno stecco,
una notte di luna,
La Thalia sta digiuna.

La paura la invade
nessuno la persuade

Le tre bare spostate, 
nel convento del frate.
Un teschio rinsecchito,
nel castello turrito.
Una salma seduta,
su una sedia panciuta.

Il fantasma di Cecco
cade dallo stecco
in una notte di stelle
Thalia fa frittelle

Si riempie la pancia
poi va sulla bilancia

Tre bare spostate, 
nel convento del frate.
Un teschio rinsecchito,
nel castello turrito,
Una salma seduta,
su una sedia panciuta.

Il fantasma di Cecco,
che getta via lo stecco,
in una notte cheta
La Thalia fa la dieta.

Si mangia un' insalata
e, poi cade ammalata.

Le tre bare spostate,
nel convento del frate.
Un teschio rinsecchito,
nel castello turrito.
Una salma seduta,
su una sedia panciuta.

Il fantasma di Cecco
che, riprende lo stecco,
in una notte nera
La Thalia si dispera.

Poi, si mangia una torta,
subito dopo, è morta.

Tre bare spostate, 
nel convento del frate.
Un teschio rinsecchito,
nel castello turrito.
Una salma seduta,
su una sedia panciuta.

Il fantasma di Cecco,
ridanza sullo stecco.
a notte ventilata,
finisce la ballata.

della povera Thalia
che morì di malattia.




RIPRESA

La notte mi scivola dentro
chiudendo le porte anche al sogno.
Disperde le chiavi d'argento,
e tetro rimane il mio giorno


Fin quando una luce sottile
s'infiltra nei fili del buio.
Sbiadisce, il tormento corvino
e tutto diventa più chiaro.

Ritrovo le chiavi perdute
spalanco le porte serrate,
discosto le tende pesanti,
ed apro finestre al fulgore

Percorro le stanze assolate
dispongo nei vasi le rose.
Appendo sul muro sorrisi.
Dischiudo le braccia alla vita.


SOSTA SULLA MIA RIVA

Non riuscii eruttare lava e lapilli.
Né a vomitare energia in esubero.
Arduo sputare di serpe il veleno.
Mai fui vulcano e nemmeno fui terra.
Neppure nacqui rettile che uccide.

Ero madre, che non sapeva odiare.
Dovevo vomitare la mia rabbia,
urlare, ribellarmi, denunciare !
Espellere quel nero, come seppia
spruzzarlo in occhi chiari ed accecarli.

Mi ritrovai con una falce in mano.
Non desiderio di ledere alcuno.
Già troppo sangue bianco che sgorgava.
Per tamponare mi strappai la pelle.
Di lacrime cosparsi le ferite.

E la falce pesava come piombo.
Troppo, per queste mie fragili dita.
Non rami né virgulti avrei voluto,
staccare dalla pianta, né ferire.
Ma lama aguzza avevo per tagliare.

Fendeva raso terra la mia spada,
tra ciuffi d'erba verde e tra l'ortica.
La scelta, troppo dura, M'angustiava!
Cercavo di spezzar modica vita.
Intanto che quella falce radeva,

Nascosto tra cespugli, sotto l'erba,
minuscolo bocciolo se ne stava.
Bianco, di rosa, mite lui sostava.
Malerba solo videro i miei occhi, 
Quando intaccò la rosa, arma affilata.

Doveva essere difesa, non ferita.
Ed odio avrei dovuto tirar fuori.
La furia del fiume in piena, carpire.
Uscir dagli argini e tutto lacerare.
Solo una misera goccia d'acqua, ero. 

Un piccolo tranquillo microcosmo
che ignora della vita la violenza.
Ora che sono lago di montagna,
sosta sulla mia riva a riposare:
Frescura e refrigerio, potrai avere.






 

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