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"Crescendo musicale" racconto a più mani di Fata Scrittrice Di Fiabe- Stefania Galleschi- Milvia Di michele



Crescendo musicale
Prima di tutto fatemi mettere le mani avanti: non è che io sia un'intenditrice, per la musica ho sempre avuto passione, devo averla ereditata dal mio papà, buonanima, che cantava le canzoni dei Giganti mentre liberava i canarini dalle gabbie. I canarini si erano abituati a sentir cantare 'Proposta'  o 'Mettete dei fiori nei vostri cannoni' e allora volavano via dalle gabbie.
Quando fu il mio tempo per la musica mi mancò la volontà e la passione per le note e poi  a ventuno anni già mi impiegavo e a ventitrè mi sono sposata.
Da quando sono in pensione il tempo non mi manca, ascolto alla radio le canzoni dell'Equipe 84 e mi concedo il lusso di un abbonamento ai concerti.
Ma non dell'Equipe, il complesso non esiste più.
Ma cominciamo con calma tutta la storia.
Avevo una quindicina d'anni ed ero sempre innamorata. Mi accontentavo di guardare l'amore mio di turno, da lontano, vederlo con gli amici sotto il balcone di casa mia che si affacciava sulla piazzetta dove c'era la fermata dell'autobus che portava in città, e.. sperare che mi guardasse ogni tanto.
Quella volta ero innamorata di Sergio, l'americano, figlio di paesani emigrati a Toronto una ventina di anni prima e venuto con i genitori a far vacanza al paesello natio... dal Canada!
Proprio un americano: ciuffo americano, accento americano, vestiti americani.
Aveva legato subito con i suoi coetanei, era dolcissimo e non si accorgeva d'essere preso continuamente in giro, ma affettuosamente, dai ragazzotti locali.
Io, che mi trovavo nel mio periodo di letture " tritatutto" : Salgari, Delly, Grand-Hotel, Capitan Miki e sognavo una qualsiasi evasione dal mio mondo contadino, m'innamorai prima della sua provenienza, poi di lui
Ah! Le cascate del Niagara! Lui raccontava che s'era stufato di andarci...
L'americano sembrava proprio l'immagine di Little Tony, ma non era così bello né sapeva cantare. Io ero sognatrice come Salgari, che ha descritto l'India senza esserci stato e i sogni allora venivano dagli attori americani, e tutti noi eravamo le copie dei divi di Holliwood : sigaretta in bocca, pantaloni scampanati, urli mentre cantavamo, pianisti di piano bar che di giorno facevano i camionisti.
Sergio però era davvero nato a Toronto e per questo mi affascinava da morire. Parlava un dialetto abruzzese misto all'americano, non era molto alto, ma aveva la mascella forte che , in quel periodo, mi piaceva molto.
Il sabato sera, al paese si ballava sempre nella casa di Eugenio, il comunista, che ci metteva a disposizione la " sala" e poi andava alle sue riunioni a fare le " chiacchiere morte", diceva ironicamente sua madre.
I nostri balli erano niente affatto romantici : twist, hully-gully..un po' di rock and roll, solo qualche lento. Si sudava e si rideva mentre dalla cucina vicina ci spiavano gli anziani, dai trenta anni in su; una decina di persone vicino al fuoco a far 'pettele'!
Io ero la più piccola del  gruppo,  andavo a ballare rubando il permesso a mia madre. Le dicevo:- Io vado!- e lei - No... io dico di no..come fai?-  Ed  io:-  Così!- e aprivo la porta e fuggivo via ridendo, lasciando mamma a ridere pure lei: sapeva che era impossibile tenermi, io adoravo ballare!
Il ballo era allora l'unica vera festa nel piccolo paese, l'occasione di incontro che segnava il tempo della crescita. A mano amano che crescevo il ballo era diventato qualcosa di diverso. Prima si ballava con le amiche e si avevano le calzette corte e poi, a mano a mano, si sentiva il respiro di chi si apprestava a diventare uomo. Un abbraccio bastava per far arrossire e l'incontro di corpi timidi e sconosciuti generava l'inizio del sogno.
Anche quel giorno corsi verso il ballo. Stranamente, erano assenti i soliti 'guardiani' rintanati in cucina. Erano andati a trovare una vicina tornata dall’ospedale, dove era stata ricoverata per operarsi la cistifellea e, come sempre, erano andati in gruppo portando il solito pacchetto incartato di zucchero e caffè ( ma quanto caffè bevono i malati ?)
E il ballo fu più allegro e libero per tutti. Venne anche l’americano, che conosceva pure qualche parolina di francese.
Ad un tratto dal giradischi partì una bella musica lenta, che mi pareva romantica, se non fosse per certi sospiri che non sapevo spiegarmi. Sergio si avvicinò e m’invitò a ballare dicendomi: " Ti piace questo disco?"
Ed io: "Molto dolce ..un po’ noioso, forse!"
Scoppiò a ridere. Fu forse l’unica volta in cui, invece che essere preso in giro, poteva essere lui a farsi gioco di qualcuno...ma non lo fece, smise subito la sua risata e aggiunse: "Sciocchina, si vede proprio che sei ancora piccola!"
Sergio sapeva che ero ingenua e credulona ma che non ero la solita ragazza di paese da abbordare e portare nel primo fienile. Mi disse che avevo negli occhi quello strano fascino della malinconia che vuole uscire da sè. Era vero, grazie alle riviste avevo imparato a conoscere  il mondo fuori dal mio paese e, per me, quel ragazzo rappresentava lo straniero che, con una nave, avrebbe potuto portarmi via da lì: liberarmi della piccola gente di paese che vive di poche cose.
Nella nostra realtà quello era ed e' il sogno di ogni ragazza.
Il ballo dava a noi due un tempo e il tempo sembrava fermarsi in quell'attimo.
"Tu senti molto, col corpo, il ritmo della musica"- mi disse lui
"E’ la musica che mi fa muovere, non sono io, lei mi muove- dissi sovrappensiero- è troppo bella la musica!-
Poi restammo in silenzio ascoltando ' je t’aime..mois non plus'.
Oggi conosco il significato di quelle parole … ma non allora, meno male!
Ci svegliò un bel twist, io ero una maestra con le piroette e mi buttai a capofitto nel gruppo.
Allora, nel je t'aime sentivo sì un fremito, quella cantante però era così magra che non mi faceva pensare a nulla di male. Ma la musica passava il corpo e i lenti erano sensazioni mai provate. Pensandoci adesso il nostro silenzio era vibrazione nuova e io sentivo che non era solo la musica che mi faceva muovere. Mi staccai sollevata e mi buttai nel ballo veloce. Fu allora che mi accorsi che tutti mi guardavano e commentavano:
"E' proprio una bella ragazza e non sembra del nostro paese, sembra una di città. Vedrete che troverà qualcuno che ce la porterà via."
E, infatti, me ne andai. Passò solo qualche altro anno, appena preso il diploma, lasciai il paesello, non rapita da un ragazzo: io inseguivo un sogno...il sogno di diventare una ballerina, non di danza classica,  anche se quel tipo di danza mi incantava, ma ormai l'età non me lo avrebbe più consentito: ma volevo diventare una ballerina! Fu così che andai a Roma, il giorno lavoravo e la sera cominciai a frequentare un corso di ballo. Ero brava, sensuale al punto giusto, tutti lo dicevano ed io ero felicissima e volavo....volavo e...sognavo. Sempre ho amato sognare. Mi vedevo sui più importanti palcoscenici del mondo e con me c'era sempre accanto lo stesso uomo, eh sì mi ero di nuovo innamorata. Era il mio maestro di ballo! Ma amavo lui o..la sua arte? 
Un bellissimo giorno mi capitò una grande occasione. Durante il saggio che la mia scuola di ballo organizzava a conclusione del corso, per caso,  mi vide ballare un noto scopritore di talenti che mi volle in un suo spettacolo per una scena particolare.
Io avevo, secondo lui, un modo di ballare che si sposava bene col suono del violino e lui mi chiedeva di ballare vestita di veli dorati leggeri, mentre un violinista russo suonava una musica struggente. Si trattava d’impersonare l’autunno: lui con le sue note, io con i miei volteggi.
Fu magnifico. Il suono del violino era una voce, un pianto, un tramonto, un addio.
Io a passi di danza vivevo la sua musica, piangevo con le sue note tristi che raccontavano di foglie secche che ormai senza vita cadevano leggere fino al suolo dove andavano a marcire.
Ma quel “ morire” mi metteva uno strano desiderio di tornare a casa, di recuperare gli affetti lontani, della mia famiglia, del “ comunista Eugenio”, che quando ero partita aveva voluto accompagnarmi alla stazione con il suo macinino per dirmi : "Vai, fai le tue esperienze, ma sappi che io ti aspetterò, che per me sei speciale"
Mi aveva detto così e poi era rimato in silenzio, senza darmi nemmeno un bacio sulla guancia.
Sì mi piaceva il mio maestro di danza, ma sapevo che sarebbe finita: quello era un amore legato alla nostra passione per i ballo, a casa avevo lasciato altro! 
Eugenio infatti diventatava rosso di emozione quando mi vedeva e pendeva dai miei versi.
Sapeva che il ballo nella vita non è tutto e si sforzava di ballare l'esistenza per compiacermi.
"Tu sai ballare con le parole, intrecci i passi del mio sogno" le aveva scritto ma era tanto onesto da dire che la frase apparteneva a un poeta che aveva trovato su di un libro, in biblioteca.
Eugenio sapeva che al loro paese nessuna gatta cieca mangiava i figli appen nati, la cassa con lafarina di castagne pressata, il lume a petrolio, la scala di legno che scricchioava a piedi scalzi, i giochi sulla piazza di sera, il gabinetto nell'orto, le fette di pane con l'olio..
Quando tornai Lui era li ad attendermi, alla stazione.
Gli volai tra le braccia... ed Eugenio capì che la ragazzina era cresciuta.
Ma io sono ancora quella ragazzina, cambiata solo nell'aspetto..e tu, ora mi chiedi, bimba mia di lasciarti andare. So cosa provi, ricordo bene quello che sentivo, è giusto così, tu hai il tuo sogno ed io sapevo che questo momento sarebbe arrivato. Ma ricordati: questa casa sarà sempre la tua casa, in qualsiasi momento ti verrà nostalgia... tu torna! Ora danza la tua vita!
Ridi, e mi dici: "Mamma io vado a studiare musica!"
Ed io ripenso al suono di un violino...
Fata Scrittrice Di Fiabe- Stefania Galleschi- Milvia Di michele



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