DUE FIGLIE
Sono una madre criticabile e assai criticata, lo so.
Ammetto di avere la tendenza a viziare i miei figli, a dedicarmi a loro il più possibile, li vorrei tenere al riparo dalle brutte cose della vita, ma soprattutto ritengo doveroso, dal momento che sono io che li ho portati qua, che parte del mio tempo e della mia energia debbano essere impiegati per farli stare bene.
Questa premessa serve solo a spiegare perché tutte le sere accompagno Alice, la mia figlia più piccola a letto e, sebbene abbia ormai quasi 8 anni, rimango con lei finché non si addormenta. E’ un momento prezioso per noi, l’unico in cui possiamo vivere un’intimità tutta nostra, l’unico in cui lei mi sente tutta per lei, l’unico in cui io riesco a essere davvero tutta sua.
Il problema è che spesso crollo dalla stanchezza e mi addormento anch’io accanto a lei. Quando mi risveglio gli altri sono già andati tutti a letto e inevitabilmente si lamentano perché si sentono trascurati. Soprattutto mio marito.
Ieri notte è accaduta una cosa che ha dell’incredibile, che forse ha cambiato la mia vita in modo drastico e definitivo, anche se ancora non mi sono resa conto di cosa sia accaduto realmente. Forse dovrei consultare un dottore, se ancora non l’ho fatto è perché questa situazione sembra apparire sconvolgente solo a me, gli altri sono tutti tranquilli, per loro tutto sembra essere normale.
Mi ero addormentata, come al solito, accanto a mia figlia, nel suo lettino. Verso le due la posizione scomoda in cui mi trovavo mi ha fatto svegliare. Mi sono alzata stiracchiando la schiena indolenzita, ho raccolto da terra le scarpe e mi sono avviata verso le scale, per scendere al piano di sotto e terminare quella notte in modo più comodo.
Prima di uscire dalla stanza ho rimboccato le coperte alla bimba e le ho dato il consueto bacetto sulla fronte che serve a proteggerla fino al mattino.
Mentre scendevo le scale annebbiata dal gran sonno, ho sentito dal pianterreno una voce che chiamava mamma. Era la voce di Alice. Ho spalancato gli occhi e nella penombra ho visto la sua figura che saliva gli scalini nella mia direzione. Era proprio lei… ma come diavolo aveva fatto? l’avevo appena baciata nel suo letto ed ero certa che stesse dormendo profondamente.
“Mamma”, ha ripetuto la bimba, “avevo sete, mi riaccompagni a letto?”
“Certo amore”, ho risposto mascherando la mia incredulità. L’ho presa in braccio e l’ho baciata, non c’erano dubbi, era la mia piccina.
Ma quando siamo arrivate nella cameretta, il letto era già occupato da un’altra Alice, identica a quella semiaddormentata che stavo accompagnando: quella che poco prima avevo sistemato per la notte.
La bimba che tenevo per mano non ha battuto ciglio, si è sdraiata accanto all’altra e si è addormentata all’istante mentre io sempre più convinta che si trattasse di un sogno o di un acutizzarsi del mio incredibile livello di stress, chiudevo la porta alle mie spalle per dirigermi verso il mio letto.
Ero veramente stanchissima e sono crollata addormentata, per poche ore però, perché ben prima della sveglia mi ha svegliato l’inquietudine generata dal vago ricordo dello strano sogno che avevo fatto.
Sono saltata giù dal letto e mi sono precipitata nella camera di Alice dove ho trovato due biondine identiche che dormivano, come angioletti, con la testa appoggiata sullo stesso guanciale…
Forse stavo sognando... la mia Alice era solo “una”. Ero sicurissima in quell'occasione di aver partorito una sola bambina. Provai a mordermi il pollice e sentii male. Questo mi dimostrò che ero sveglia. Mi sedetti sulla poltrona a pois della cameretta di Alice. Della mia unica Alice. I miei occhi non si staccavano dal letto, anzi da sopra il cuscino color lavanda, dove erano sparsi i morbidi riccioli d'oro, appartenenti alle bellissime chiome di due bambine assolutamente identiche: una era la mia Alice. Ma l'altra? Oddio stavo diventando pazza, lasciai con lo sguardo quel tenero quadretto. E lo diressi verso lo scaffale dove la mia unica Alice teneva il suo bellissimo orso, con la speranza di vedere anche il doppio dell'orso.- Che fosse qualcosa nella mia retina che non andava?- Pensai. Niente l'orso era uno. Cocciuta, cercai la bambola con il vestito verde. Una! Solamente una. Capii allora che non erano i miei occhi a vedere doppio. Mi venne spontaneo mettermi le mani nei capelli. Poco dopo: una donna spettinata, con gli occhi sbarrati mi apparve, ed io mi spaventai molto alla sua visione.
Per poi, subito dopo, mettermi a ridere perché avevo riconosciuto in quella donna scomposta e sconvolta la mia immagine riflessa nello specchio ovale della cameretta di Alice. Come ero ridotta! Mi misi a ridere e continuai come una matta, la risata mi usciva dalle labbra stonata e un tantino isterica. Non riuscivo più a smettere.
A quel punto Alice si svegliò! Ma che dico Alice! Ambedue le Alice si svegliarono.
Si misero sedute sul letto esclamando all'unisono: - Mamma che sta succedendo!?-
La sincronia del movimento delle bambine, quella delle loro voci e quella delle loro espressioni era talmente perfetta che mi impressionò...
Le bambine vedendo il mio volto sconvolto, rimasero immobili. Ed io mi ritrovai davanti a due bocche spalancate e due occhi stupiti, che mi guardavano esterrefatte.
Allora la mia risata aumentò la sua intensità, adesso il mio riso saltellava per tutte le stanze della casa. Probabilmente un pezzo del suo suono saltellante si era propagato anche in giardino, stimolando Gino, il mio cane, a farne un'imitazione quasi perfetta.
Io non riuscivo a smettere di ridere, Gino rendendosi conto della sua bravura, continuava il concerto. E Le due Alice, ancora immobili, continuavano ad osservarmi con quell'espressione identica, di puro stupore, incollata sulle loro faccette.
Intanto gli altri dopo tutto questo baccano, si erano svegliati. Erano entrati nella stanza di Alice e adesso mi circondavano, guardandomi anch'essi con stupore e preoccupazione.
Ad un tratto la mia mente tornò a quando, da bambina, mia nonna, che mi accoglieva sempre tra le sue braccia come se io fossi un cesto di frutta di campagna pieno pieno di profumo, mi raccontava una storia di cui però non riuscivo a rammentare la fine ma ne percepivo fortemente una sorta di familiarità con il presente; una storia che ero certa di avere dentro di me e che ora tornava prepotente alla mia mente. Questa storia apriva, dentro il mio animo, una forma di compensazione psicologica e una forma di giustificazione secondo cui la mia riconosciuta saggezza non poteva essere in preda ad una allucinazione, ma solo ad una soluzione ai miei comportamenti non equilibrati rispetto ai miei figli. La storia riguardava un orsacchiotto che, gelosissimo delle attenzioni che mamma orsa dedicava al suo fratellino, abituato come era ad avere tutte, e dico tutte, le attenzioni da parte di Lei, inconsciamente, aveva creato una proiezione di sé talmente forte, una realtà incredibilmente reale, che sembrava fosse vera. La vedeva solamente lui, ma questa proiezione, questo orsacchiotto gemello, era diventato con il tempo il suo vero rifugio, il suo amichetto del cuore, il suo affetto non ricevuto, il simbolo inconscio della sua solitudine non palesata.
Intanto, i rumori attorno a me continuavano ed il cane, Gino, l’imitatore perfetto, non sembrava volersi fermare più, scodinzolando in modo forsennato quasi come se fosse l’unico, oltre me, a percepire una situazione “strana”.
Ma la mia attenzione ora era verso il ricordo di quella storia, la storia di quell’orsetto che si era “ripetuto” fisicamente per non trovarsi in uno strano vortice affettivo; in questo modo si era concesso non solo di vivere una forma di eterna felicità ma anche di combattere la sua scontrosa gelosia, vivendola in modo distaccato, vivendola senza nessuna forma di antipatia e di “piccole vendette da orsacchiotto” che, altrimenti, sarebbero state normali senza la presenza “dell’altro”.
E io percepivo, in modo chiaro, una miriade di piccoli punti in comune con quella storia, con quella situazione, con quella naturale reazione “delicatamente umana” anche se vissuta con i due protagonisti completamente ribaltati; nella mia situazione, infatti, ero IO che avevo creato un doppione per salvare la mia ansia e le mie mancanze affettive verso gli altri.
Ma la storiella dell’orso mi bussava dentro il cuore, prima ancora che nella testa, voleva farmi capire ..comunicarmi un messaggio che ancora non riuscivo a decodificare.
Alice..la mia Alice ora si era duplicata e, insieme a lei, si era raddoppiato il mio amore di mamma: ma l’amore è l’amore.. quando è vero è così grande che non può crescere di più: cos’era allora che mi faceva credere il contrario?
Forse si trattava solo del mio desiderio di comunicarglielo, forse era solo bisogno di dimostrarlo.
-Alice?- Chiamai la mia doppia figlia, e entrambe mi volarono tra le braccia e si accucciarono sul mio cuore.
-Amore di mamma dolce!- dissi, senza saper fare altro che stringerle entrambe- ti amerò sempre, ti amerò comunque , ti amerò qualunque forma tu prenda.. sei la mia vita, il mio fiore!-
E fu allora che le mie braccia, ad un tratto si allentarono. No, non erano state le mie braccia, ad allentarsi, io non mi ero mossa. Ero ferma immobile e stavo stringendo con tutto l'amore le due bambine bionde. Era stata una di loro, a lasciarsi scivolare fuori dal mio abbraccio: piano piano si era calata sul tappeto.
Guardai in basso, per riprendermela, ma non vidi altro che una nuvoletta di fumo disperdersi nella stanza e, nello stesso tempo percepii un bacio con lo schiocco sulla guancia destra.
-Mamma, mamma,-chiamò la mia Alice.- Mamma, mamma, -chiamarono gli altri, allora le mie braccia questa volta, si misero in movimento. Un movimento circolare. Che si ingrandiva a dismisura, per formare una grande circonferenza, un enorme cerchio d'amore, dove poteva entrare anche il resto della mia grande famiglia. E dove trovò posto, anche Gino, che si era calmato, e dava il suo buongiorno a tutti con grandi leccate.
Sono certa che nella vita, anche quando non sempre si è pronti a riceverli, arrivano dei segnali apparentemente illeggibili ma che riflettono, in modo forte, un equilibrio materno non raggiunto ma, senza dubbio, sul punto di farlo; un modo per incasellare meglio l'armonia di una famiglia, di un amore, di una gioia di vivere che una serie di simboli, creati dalla nostra mente, raccontano come una favola. A quel punto la fantasia se ne impadronisce e nasce la scenografia della storia fatta del nostro quotidiano, dei nostri affetti, dello scodinzolare di Gino o dell'orsetto dei ricordi, dove Alice diventa la protagonista inconsapevole...
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