L'Arlecchino di Picasso |
Il potere dell'arte
Sognare mi piace ma quella notte ero così inquieta che mi giravo e rigiravo nel mio lettone, senza prender sonno...poi, finalmente, ecco un'immagine coloratissima... che cosa era? C'erano tutte le forme ed i colori reali..l'azzurro dei mari e del cielo, il giallo dei girasoli, il rosso del fuoco, il verde dei campi...ma...ma tutto così intricato in un groviglio.
Poi il sogno....meraviglioso.. ero su un prato delle nostre colline, avevo in mano un fascio di fiori primaverili olezzanti, il sole colpiva i miei occhi sfavillante ohhhhhhhhhh io ero quei colori, io vi sguazzavo con tutta la gioia della mia adolescenza...ecco ora correvo, facevo capriole, le mie gambe erano leggere... leggere, leggere. Ma cosa stavo facendo? Volavo, sì volavo ...mi libravo nel cielo, toccavo l'azzurro, le nuvolette bianche ed ero FELICE!
GRANDE IL POTERE DELL'ARTE e del BELLO! G R A N DE !
Lalla Tosi
Il gioco di Picasso
Povero Babboo-ele… ma chi gli aveva dato quel nome?
Un nome decisamente bizzarro, almeno quanto il suo aspetto.
Quando lo vedevi, non sapevi da che parte guardarlo, non riuscivi a capire se fosse umano, animale, o persino vegetale.
E lui era il primo a non sapere chi era.
Da molto tempo cercava di scoprirlo. Nonostante i suoi sforzi e le sue infinite ricerche, non era mai riuscito a trovare un suo simile
Aveva così provato ad avvicinarsi a chi possedeva le sue stesse caratteristiche. Aveva cominciato con le foche, si era unito a loro tra i ghiacci del Polo Nord, aveva pescato nelle acque gelate e mangiato pesce crudo, era sfuggito agli assalti dei cacciatori di pellicce e rischiato la vita per gli attacchi delle orche, ma quando, alla fine di quelle lunghe giornate, tutte le foche si riunivano in gruppo per dormire e riscaldarsi, a lui non veniva concesso di avvicinarsi…
”Perché io no?” chiedeva Babboo-ele stanco ed intirizzito.
“Tu non sei uno di noi” rispondevano le foche.
“Ma come? Non sono una foca anch’io? guardate le mie pinne” replicava Babboo-ele mentre gli salivano le lacrime agli occhi
“No di certo! Hai le pinne come noi, è vero, ma noi non abbiamo tutti quei colori, né una faccia schiacciata come la tua, né tanto meno foglie o capelli biondi…è ovvio, non sei uno di noi, te ne devi andare”
Allora Babboo-ele provò a cercare chi avesse foglie come le sue.
Trovò un bel giardino pieno di piante tropicali, entrò e si avvicinò agli alberi, sembravano tranquilli, se ne stavano lì fermi e buoni.
“Forse sono un albero anch’io” si disse Babboo-ele e provò a piantarsi nel terreno, ma le formiche che gli salivano addosso gli facevano il solletico, le api che si posavano su di lui attratte dai suoi vivaci colori, gli facevano paura. Non riusciva proprio a stare fermo, come gli altri alberi.
“Che ci fai tu qui? Non sei uno di noi, vattene” gli urlarono in coro tutte le piante del giardino.
“Ma io credevo di essere un albero…non vedete le mie belle foglie verdi?”
“Si, le vediamo, ma noi non abbiamo una faccia, ne tanto meno dei capelli…tu devi essere uno di quegli umani senza posa che passano di qui…vai con loro, non lo vedi che, proprio come loro, non riesci mai a stare fermo?”
Babboo-ele pensò che forse avevano ragione. In quel momento passarono di lì due studentesse, con i libri sottobraccio. Avevano vestiti colorati e i biondi capelli raccolti in una coda alta sulle loro teste.
“Aspettatemi, vengo con voi” gridò loro Babboo-ele, mentre si liberava dalla terra in cui si era piantato.
Le due ragazze si voltarono, lo videro e si spaventarono. Cominciarono a correre. Babboo-ele le seguiva agitando le pinne.
“Vi prego aspettatemi, ho bisogno di parlare con voi” insisteva ansimando mentre correva dietro alle due giovani.
Le ragazze allora si scambiarono una breve occhiata e decisero di fermarsi ad ascoltarlo.
“Chi sei? Che cosa vuoi da noi?” gli chiesero.
“Non so chi sono, proprio questo è il mio problema. Sto cercando qualcuno che mi aiuti a capirlo, per questo volevo parlare con voi. Avete una coda di capelli biondi, proprio come me, così, mi chiedevo…se forse anch’io non sono una di voi”
Le due ragazze si misero a ridere forte e Babboo-ele capì che questo non era un buon segno.
“Ma tu non sei una ragazza! Come diavolo ti è venuto in mente? Non vedi che faccia che hai? E questo corpo, così goffo, non è certo un corpo da donna.”
“E’ vero” continuò l’altra ragazza “ A me sembri piuttosto un papero, e queste palle bianche che hai, io credo che siano le tue uova.” “Si, certo, devi essere un papero, o un’oca, insomma uno di quelli che vivono nel pollaio…guarda ce n’è uno là in fondo, perché non vai a sentire loro?”
Babboo-ele ringraziò le ragazze, guardava le bianche sfere sospese sul suo corpo e le parole delle ragazze gli sembravano sensate. Si incamminò verso il pollaio pieno di speranza.
Certo non aveva mai pensato di poter essere un pollo o un’oca… ma che importanza poteva avere, se finalmente fosse riuscito a trovare i suoi simili.
Fuori del pollaio si fermò ad osservare gli esseri che si muovevano all’interno… a prima vista non gli sembravano poi così simili a lui, ma guardando meglio notò la forma dei loro corpi, la posizione delle loro teste. Alcuni di loro erano colorati, quasi come lui. Sì, forse era proprio uno di loro.
Scavalcò il recinto e si mise a razzolare tra i sassolini come facevano gli altri, paperi, galline oche e tacchini. Con le pinne spostava il ghiaino ma poi, quando era il momento di beccare il vermiciattolo che usciva dalla terra smossa, non sapeva proprio cosa fare. Qualcosa non funzionava, neppure stavolta.
“Ah ah ah ah” ridevano e starnazzavano i paperi.
“Guardate quello, è troppo scemo per essere anche un pollo…ih ih ih”
Babboo-ele si rintanò in un angolo, umiliato, e tutti i volatili gli si radunarono intorno.
“Chi sei? Cosa ci fai nel nostro pollaio?”
“Io…io sono….non lo so chi sono, nessuno me lo ha mai detto, pensavo…speravo di essere uno di voi”
“Ah ah ah ah ah ah…” continuarono a ridere, rumorosamente, i polli.
“Uno di noi…. Ah ah ah ah ah, ma come ti è venuto in mente?”
“Ma… ho le uova… un corpo rotondeggiante come il vostro…e, la mia posizione…”
“Ma non ti se accorto che non hai il becco? Come pensi di poter essere uno di noi se non hai il becco? “ esclamò un grosso papero scuro e gli altri ricominciarono a ridere rumorosamente mentre Babboo-ele si sentiva sempre più umiliato e tratteneva a stento le lacrime.
“E… come la mettiamo con le uova…quelle le ho anch’io.”
“Ma quali uova?… quelle due palle bianche non sono certo uova, le uova stanno sotto, e hanno un’altra forma… quelle devono essere tette…tette di silicone…fatte da un chirurgo plastico non troppo bravo” di nuovo tutti i paperi scoppiarono a ridere sguaiatamente.
Babboo-ele si sentiva distrutto, ma non voleva mollare.
“E quindi… se queste mie palle bianche sono, come dite voi, tette di silicone… allora chi sarei io, secondo voi?”
Beh sicuramente non un papero, forse un transessuale, o una prostituta… difficile a dirsi, dalla tua faccia potresti essere sia l’uno che l’altra”
“Come faccio a scoprirlo?… ditemi… dove vivono queste due specie che avete nominato?”
“Mah… e chi lo sa dove vivono? un po’ dappertutto. Ma, c’è un’enorme villa con un grande parco qui vicino…la sera, quando si accendono le luci, molti di questi individui arrivano, scendono da delle grandi e scintillanti automobili ed entrano nella villa. Si sente la musica e loro che cantano una strana canzone tutti insieme…”
“Quale canzone?” domandò Babboo-ele
“Mi sembra che faccia bunga bunga, o qualcosa del genere”
A questo punto i paperi si misero a ballare tutti in fila, sculettando e cantando “bunga bunga”, con le loro voci sgraziate e starnazzanti.
Babboo-ele si sentiva triste. Sentiva che questa era la sua ultima possibilità.
Si appostò dietro la siepe della villa ed aspettò che facesse buio. Quando la notte calò vide delle lunghe automobili che arrivavano, entravano nel parco si fermavano davanti alla villa e da esse scendevano individui colorati, dalle forme bizzarre, quasi come la sua, alcuni di essi avevano persino le stesse sfere bianche e rotonde, sospese davanti, proprio come lui.
Tuttavia c’era qualcosa in quel luogo che non gli piaceva molto, che non lo convinceva. Chissà che cosa facevano quegli esseri là dentro? Ma se finalmente aveva trovato i suoi simili… lo avrebbe presto scoperto.
Si insinuò sotto la siepe e raggiunse l’ingresso della villa.
“Ehi tu…chi sei? dove credi di andare?” gli intimò una guardia armata.
Babboo-ele non sapeva cosa rispondere. Se avesse detto la verità, che non sapeva di era e che sperava di scoprirlo la dentro, come al solito lo avrebbero cacciato.
Si ricordò allora delle parole dei paperi e li rivide, sculettanti, che scimmiottavano quella canzone
Allora anche lui si avvicinò alla guardia, sculettando e imitando la voce dei paperi disse “bunga bunga?”
Le guardie si scambiarono un sorrisetto malizioso. Il loro capo in fatto di stranezze era imbattibile. Ne avevano visti entrare di soggetti strani, ma questo li batteva tutti.
Lo lasciarono entrare.
Babboo-ele si inoltrò nelle grande villa, c’erano saloni immensi affrescati. Piante rigogliose facevano da cornice a delle gabbie che contenevano animali stranissimi, le stanze erano piene di giovani donne dalle grandi sfere e di vecchi uomini dall’aspetto sgradevole. La musica era assordante.
Notò uno dei vecchi uomini, un piccoletto, che sicuramente come lui soffriva per il suo aspetto bizzarro e poco gradevole, ma che tuttavia sembrava essere perfettamente a suo agio.
Capì che doveva essere il padrone di casa, perché tutti gli strani esseri colorati gli si inchinavano davanti. Decise di farlo anche lui… si avvicinò sempre con il passo sculettante che aveva imparato dai paperi e si inchinò davanti all’ometto.
“Ma che scherzo è questo?” esclamò il piccolo uomo
“Che diavolo ci fa il mio Picasso quaggiù…”
Babboo-ele non capiva, sentì che l’uomo parlava con altri uomini di una sparizione, di una preziosa collezione, di una cassaforte…tutte parole che non avevano senso per lui. Ma era stanco, non aveva più la forza di replicare, così non disse nulla quando uno degli uomini robusti lo afferrò di peso e lo trasportò al piano di sopra. Lo depositarono in una stanza buia e lo chiusero a chiave lì dentro.
Babboo-ele aveva paura, non sapeva dove si trovava, la stanza era completamente buia e silenziosa.
Pian piano un po’ di luce cominciò a filtrare dalla grande finestra e lui poté guardarsi intorno.
Vide vicino a sé il volto di una bella signora, dallo sguardo un po’ triste, che lo guardava.
Aveva gli occhi asimmetrici, i suoi colori erano sgargianti e bizzarri, proprio come i suoi, ed il suo corpo aveva la stessa forma indefinita del suo.
La signora stava immobile, ma nessuno mai più di lei gli era sembrato vivo. Guardandola si sentiva bene, un senso di pace e di armonia lo invasero e, anche se il suo volto non era in grado di sorridere, si sentiva felice. Ancora non sapeva chi era, ma forse aveva trovato la sua mamma.
Un nome decisamente bizzarro, almeno quanto il suo aspetto.
Quando lo vedevi, non sapevi da che parte guardarlo, non riuscivi a capire se fosse umano, animale, o persino vegetale.
E lui era il primo a non sapere chi era.
Da molto tempo cercava di scoprirlo. Nonostante i suoi sforzi e le sue infinite ricerche, non era mai riuscito a trovare un suo simile
Aveva così provato ad avvicinarsi a chi possedeva le sue stesse caratteristiche. Aveva cominciato con le foche, si era unito a loro tra i ghiacci del Polo Nord, aveva pescato nelle acque gelate e mangiato pesce crudo, era sfuggito agli assalti dei cacciatori di pellicce e rischiato la vita per gli attacchi delle orche, ma quando, alla fine di quelle lunghe giornate, tutte le foche si riunivano in gruppo per dormire e riscaldarsi, a lui non veniva concesso di avvicinarsi…
”Perché io no?” chiedeva Babboo-ele stanco ed intirizzito.
“Tu non sei uno di noi” rispondevano le foche.
“Ma come? Non sono una foca anch’io? guardate le mie pinne” replicava Babboo-ele mentre gli salivano le lacrime agli occhi
“No di certo! Hai le pinne come noi, è vero, ma noi non abbiamo tutti quei colori, né una faccia schiacciata come la tua, né tanto meno foglie o capelli biondi…è ovvio, non sei uno di noi, te ne devi andare”
Allora Babboo-ele provò a cercare chi avesse foglie come le sue.
Trovò un bel giardino pieno di piante tropicali, entrò e si avvicinò agli alberi, sembravano tranquilli, se ne stavano lì fermi e buoni.
“Forse sono un albero anch’io” si disse Babboo-ele e provò a piantarsi nel terreno, ma le formiche che gli salivano addosso gli facevano il solletico, le api che si posavano su di lui attratte dai suoi vivaci colori, gli facevano paura. Non riusciva proprio a stare fermo, come gli altri alberi.
“Che ci fai tu qui? Non sei uno di noi, vattene” gli urlarono in coro tutte le piante del giardino.
“Ma io credevo di essere un albero…non vedete le mie belle foglie verdi?”
“Si, le vediamo, ma noi non abbiamo una faccia, ne tanto meno dei capelli…tu devi essere uno di quegli umani senza posa che passano di qui…vai con loro, non lo vedi che, proprio come loro, non riesci mai a stare fermo?”
Babboo-ele pensò che forse avevano ragione. In quel momento passarono di lì due studentesse, con i libri sottobraccio. Avevano vestiti colorati e i biondi capelli raccolti in una coda alta sulle loro teste.
“Aspettatemi, vengo con voi” gridò loro Babboo-ele, mentre si liberava dalla terra in cui si era piantato.
Le due ragazze si voltarono, lo videro e si spaventarono. Cominciarono a correre. Babboo-ele le seguiva agitando le pinne.
“Vi prego aspettatemi, ho bisogno di parlare con voi” insisteva ansimando mentre correva dietro alle due giovani.
Le ragazze allora si scambiarono una breve occhiata e decisero di fermarsi ad ascoltarlo.
“Chi sei? Che cosa vuoi da noi?” gli chiesero.
“Non so chi sono, proprio questo è il mio problema. Sto cercando qualcuno che mi aiuti a capirlo, per questo volevo parlare con voi. Avete una coda di capelli biondi, proprio come me, così, mi chiedevo…se forse anch’io non sono una di voi”
Le due ragazze si misero a ridere forte e Babboo-ele capì che questo non era un buon segno.
“Ma tu non sei una ragazza! Come diavolo ti è venuto in mente? Non vedi che faccia che hai? E questo corpo, così goffo, non è certo un corpo da donna.”
“E’ vero” continuò l’altra ragazza “ A me sembri piuttosto un papero, e queste palle bianche che hai, io credo che siano le tue uova.” “Si, certo, devi essere un papero, o un’oca, insomma uno di quelli che vivono nel pollaio…guarda ce n’è uno là in fondo, perché non vai a sentire loro?”
Babboo-ele ringraziò le ragazze, guardava le bianche sfere sospese sul suo corpo e le parole delle ragazze gli sembravano sensate. Si incamminò verso il pollaio pieno di speranza.
Certo non aveva mai pensato di poter essere un pollo o un’oca… ma che importanza poteva avere, se finalmente fosse riuscito a trovare i suoi simili.
Fuori del pollaio si fermò ad osservare gli esseri che si muovevano all’interno… a prima vista non gli sembravano poi così simili a lui, ma guardando meglio notò la forma dei loro corpi, la posizione delle loro teste. Alcuni di loro erano colorati, quasi come lui. Sì, forse era proprio uno di loro.
Scavalcò il recinto e si mise a razzolare tra i sassolini come facevano gli altri, paperi, galline oche e tacchini. Con le pinne spostava il ghiaino ma poi, quando era il momento di beccare il vermiciattolo che usciva dalla terra smossa, non sapeva proprio cosa fare. Qualcosa non funzionava, neppure stavolta.
“Ah ah ah ah” ridevano e starnazzavano i paperi.
“Guardate quello, è troppo scemo per essere anche un pollo…ih ih ih”
Babboo-ele si rintanò in un angolo, umiliato, e tutti i volatili gli si radunarono intorno.
“Chi sei? Cosa ci fai nel nostro pollaio?”
“Io…io sono….non lo so chi sono, nessuno me lo ha mai detto, pensavo…speravo di essere uno di voi”
“Ah ah ah ah ah ah…” continuarono a ridere, rumorosamente, i polli.
“Uno di noi…. Ah ah ah ah ah, ma come ti è venuto in mente?”
“Ma… ho le uova… un corpo rotondeggiante come il vostro…e, la mia posizione…”
“Ma non ti se accorto che non hai il becco? Come pensi di poter essere uno di noi se non hai il becco? “ esclamò un grosso papero scuro e gli altri ricominciarono a ridere rumorosamente mentre Babboo-ele si sentiva sempre più umiliato e tratteneva a stento le lacrime.
“E… come la mettiamo con le uova…quelle le ho anch’io.”
“Ma quali uova?… quelle due palle bianche non sono certo uova, le uova stanno sotto, e hanno un’altra forma… quelle devono essere tette…tette di silicone…fatte da un chirurgo plastico non troppo bravo” di nuovo tutti i paperi scoppiarono a ridere sguaiatamente.
Babboo-ele si sentiva distrutto, ma non voleva mollare.
“E quindi… se queste mie palle bianche sono, come dite voi, tette di silicone… allora chi sarei io, secondo voi?”
Beh sicuramente non un papero, forse un transessuale, o una prostituta… difficile a dirsi, dalla tua faccia potresti essere sia l’uno che l’altra”
“Come faccio a scoprirlo?… ditemi… dove vivono queste due specie che avete nominato?”
“Mah… e chi lo sa dove vivono? un po’ dappertutto. Ma, c’è un’enorme villa con un grande parco qui vicino…la sera, quando si accendono le luci, molti di questi individui arrivano, scendono da delle grandi e scintillanti automobili ed entrano nella villa. Si sente la musica e loro che cantano una strana canzone tutti insieme…”
“Quale canzone?” domandò Babboo-ele
“Mi sembra che faccia bunga bunga, o qualcosa del genere”
A questo punto i paperi si misero a ballare tutti in fila, sculettando e cantando “bunga bunga”, con le loro voci sgraziate e starnazzanti.
Babboo-ele si sentiva triste. Sentiva che questa era la sua ultima possibilità.
Si appostò dietro la siepe della villa ed aspettò che facesse buio. Quando la notte calò vide delle lunghe automobili che arrivavano, entravano nel parco si fermavano davanti alla villa e da esse scendevano individui colorati, dalle forme bizzarre, quasi come la sua, alcuni di essi avevano persino le stesse sfere bianche e rotonde, sospese davanti, proprio come lui.
Tuttavia c’era qualcosa in quel luogo che non gli piaceva molto, che non lo convinceva. Chissà che cosa facevano quegli esseri là dentro? Ma se finalmente aveva trovato i suoi simili… lo avrebbe presto scoperto.
Si insinuò sotto la siepe e raggiunse l’ingresso della villa.
“Ehi tu…chi sei? dove credi di andare?” gli intimò una guardia armata.
Babboo-ele non sapeva cosa rispondere. Se avesse detto la verità, che non sapeva di era e che sperava di scoprirlo la dentro, come al solito lo avrebbero cacciato.
Si ricordò allora delle parole dei paperi e li rivide, sculettanti, che scimmiottavano quella canzone
Allora anche lui si avvicinò alla guardia, sculettando e imitando la voce dei paperi disse “bunga bunga?”
Le guardie si scambiarono un sorrisetto malizioso. Il loro capo in fatto di stranezze era imbattibile. Ne avevano visti entrare di soggetti strani, ma questo li batteva tutti.
Lo lasciarono entrare.
Babboo-ele si inoltrò nelle grande villa, c’erano saloni immensi affrescati. Piante rigogliose facevano da cornice a delle gabbie che contenevano animali stranissimi, le stanze erano piene di giovani donne dalle grandi sfere e di vecchi uomini dall’aspetto sgradevole. La musica era assordante.
Notò uno dei vecchi uomini, un piccoletto, che sicuramente come lui soffriva per il suo aspetto bizzarro e poco gradevole, ma che tuttavia sembrava essere perfettamente a suo agio.
Capì che doveva essere il padrone di casa, perché tutti gli strani esseri colorati gli si inchinavano davanti. Decise di farlo anche lui… si avvicinò sempre con il passo sculettante che aveva imparato dai paperi e si inchinò davanti all’ometto.
“Ma che scherzo è questo?” esclamò il piccolo uomo
“Che diavolo ci fa il mio Picasso quaggiù…”
Babboo-ele non capiva, sentì che l’uomo parlava con altri uomini di una sparizione, di una preziosa collezione, di una cassaforte…tutte parole che non avevano senso per lui. Ma era stanco, non aveva più la forza di replicare, così non disse nulla quando uno degli uomini robusti lo afferrò di peso e lo trasportò al piano di sopra. Lo depositarono in una stanza buia e lo chiusero a chiave lì dentro.
Babboo-ele aveva paura, non sapeva dove si trovava, la stanza era completamente buia e silenziosa.
Pian piano un po’ di luce cominciò a filtrare dalla grande finestra e lui poté guardarsi intorno.
Vide vicino a sé il volto di una bella signora, dallo sguardo un po’ triste, che lo guardava.
Aveva gli occhi asimmetrici, i suoi colori erano sgargianti e bizzarri, proprio come i suoi, ed il suo corpo aveva la stessa forma indefinita del suo.
La signora stava immobile, ma nessuno mai più di lei gli era sembrato vivo. Guardandola si sentiva bene, un senso di pace e di armonia lo invasero e, anche se il suo volto non era in grado di sorridere, si sentiva felice. Ancora non sapeva chi era, ma forse aveva trovato la sua mamma.
Francesca Barberi
Perché le viole si chiamano così...
Una fitta nebbia avvolgeva il malvagio Pianeta Viola. Solo la Cometa Gialla avrebbe potuto illuminare la via spaziale che avrebbe permesso ai suoi due satelliti, Idrogeno e Ossigeno, di sfuggirgli, di separarsi da lui, per sempre.
La Grande Voce aveva parlato ed ormai mancava poco al grande evento. Dopo milioni e milioni di anni era giunto il tempo che avvenisse la separazione.
Pianeta Viola era adirato con la Grande Voce. Non era abituato a concedere la libertà ai suoi prigionieri.
Chiamò a rapporto le sue due guardie fidate: Rapa e Foglia Verde. Comandò loro di nascondere i due satelliti dentro le caverne segrete del Monte Roccia dove stavano già nascosti tutti gli altri prigionieri.
Le due guardie ubbidirono e nascosero i due satelliti nella prigione segreta.
Fu lì che Idrogeno ed Ossigeno, fecero conoscenza con altri prigionieri: Terra, Seme e Ferro. Tutti insieme iniziarono subito a pensare ad un piano di fuga, ad un modo per
poter essere raggiunti anche da un solo raggio di luce della Cometa Gialla.
Serviva qualcosa che potesse aprire un varco nelle caverne del Monte Roccia.
Dopo alcune notti insonni, fu Terra che ebbe una brillante idea e la espose subito ai compagni di sventura. Chiese a Ferro di colpire fortemente la parete di roccia della loro prigione e di riuscire a staccare alcuni pezzetti rocciosi e consegnarli ad Idrogeno ed Ossigeno.
Ferro si dette subito da fare e con due colpi precisi, staccò alcuni frammenti di roccia e li porse ai suoi due compagni come gli aveva detto Terra.
A quel punto, Terra disse ad Idrogeno ed a Ossigeno di avvicinarsi e di strofinare insieme quei frammenti di roccia. Entrambi così fecero e lo strofinamento dei
frammenti produsse alcune scintille che improvvisamente, a contatto dei due satelliti,
divennero: Fuoco.
Fuoco, Idrogeno ed Ossigeno, insieme, innescarono una enorme esplosione che fece aprire un varco nel Monte Roccia.
La luce della Cometa Gialla entrò immediatamente dentro la prigione ed illuminò la via alla Grande Voce che subito duplicò Ossigeno ed insieme ad Idrogeno si trasformarono in: Acqua.
Acqua spense subito il fuoco perché si potesse salvare Seme e, tutti insieme, salirono sulla coda della Cometa Gialla e fuggirono nello Spazio, immenso. Si unirono a loro anche i due guardiani Rapa e Foglia Verde, spaventati da quell'evento. Viaggiarono finché non trovarono un punto di Spazio illuminato da una stella di nome: Sole.
Idrogeno si fermò in alto a fare da guardiano. Ossigeno scese più in basso e costruì: Aria.
Terra si sedette, respirò Aria, guardò in alto e salutò gli amici Ossigeno ed Idrogeno, poi chiamò Acqua e la divise in Fiumi e Mari ed infine si cosparse tutta la superficie di Seme e chiese a Rapa ed a Foglia Verde di vegliare, perché da lì a poco sarebbe nata: Vita.
Foglia Verde fece un grande lavoro ed irrorando di Acqua il Seme nella Terra, costruì grandi Foreste e bellissimi Prati pieni di Fiori che dettero Frutti.
Vennero Animali e Umani portati da: Vita. Ferro fu di grande aiuto agli Umani.
A Primavera, per ricordare la fuga dal suo malvagio padrone come qualcosa di bello, Foglia Verde, fece nascere sui Prati, le Viole.
Rapa invece si addormentò, non fece niente. Nacque Rapa e rimase tale.
Tiziano Consani
Il villano
Una bimba dai capelli rossi, mise ai capelli un fiocco viola a forma di mano.
Passò vicino a lei un villano che rise a più non posso, della bimbetta dal codino rosso, con il fiocchetto a forma di mano.
Ridi, ridi – gli disse il rene - perché non pensi alle tue pene? Guarda come sei ridotto, tutto acciaccato e tutto rotto. Devi sapere che ogni persona, come una pianta si condiziona, ha bisogno di acqua e sole, e pure di belle parole. Se vuoi aver fogliame verde e brillante, e cioè una buona salute, bisogna che, come le piante, tu ti faccia delle belle bevute. Lascia che la bimba ti dia la mano, non pensare ad essere villano: guarda c’è un’altra piccina che il codino ce l’ha biondino!-
Milvia Di Michele
Amico Mago Arlecchino!
Mi svegliai di soprassalto! La tempesta che c’era stata durante la notte mi aveva procurato sogni strani: presagivo disgrazie...ma non quello che vidi , quando riuscii ad aprire gli occhi.
Già, i miei occhi si erano spostati entrambi sulla stessa guancia. Raccolsi un triangolo di scarpa finito sul comò, una pallina bianca, che presumevo fosse il maglioncino che portavo la sera prima, mentre sotto il letto lasciai l’altra pallina gemella che era sicuramente la camicetta dello stesso colore.
Una coda di cavallo biondo mi faceva il solletico sul naso, un naso sul mento non sarebbe stata bella cosa da vedere, meno male che lo specchio era frantumato, e rifletteva solo foglie verdi, un’immagine riflessa proveniente chissà da dove!
Certo, mago Arlecchino questa volta aveva esagerato! La sua mania di dimostrare che la sua realtà a pezzi fosse la sola chiave per vedere il mondo, aveva confuso tutto, approfittando del vento della tempesta.
Un fagiolo volò sopra una delle mie due teste.
Allora cominciai a ridere! Io, in quella strana confusione, stavo proprio bene. Soprattutto avevo un’allegria dentro che non riuscirete mai a immaginare!
Feci male a ridere! La risata aveva una sua logica, vista la situazione … e la logica è contagiosa.
Invano mago Arlecchino, con le sue forbicione spezza-realtà tagliava le immagini: tutto si ricomponeva secondo il modello “ normale”.
Nello specchio vidi la mia immagine con i capelli da spauracchio, come tutte le mattine. Sulla sedia c’erano i miei vestiti, in quasi bell’ordine, le scarpe erano al loro posto, vicino alla finestra, le foglie verdi e la coda bionda del cavallo sparite.
Diventai triste. Dalla finestra, su nel cielo, scorsi un ultimo lampo. Tornai a sperare.
Ciao, amico mago Arlecchino! Mi raccomando!
Una coda di cavallo biondo mi faceva il solletico sul naso, un naso sul mento non sarebbe stata bella cosa da vedere, meno male che lo specchio era frantumato, e rifletteva solo foglie verdi, un’immagine riflessa proveniente chissà da dove!
Certo, mago Arlecchino questa volta aveva esagerato! La sua mania di dimostrare che la sua realtà a pezzi fosse la sola chiave per vedere il mondo, aveva confuso tutto, approfittando del vento della tempesta.
Un fagiolo volò sopra una delle mie due teste.
Allora cominciai a ridere! Io, in quella strana confusione, stavo proprio bene. Soprattutto avevo un’allegria dentro che non riuscirete mai a immaginare!
Feci male a ridere! La risata aveva una sua logica, vista la situazione … e la logica è contagiosa.
Invano mago Arlecchino, con le sue forbicione spezza-realtà tagliava le immagini: tutto si ricomponeva secondo il modello “ normale”.
Nello specchio vidi la mia immagine con i capelli da spauracchio, come tutte le mattine. Sulla sedia c’erano i miei vestiti, in quasi bell’ordine, le scarpe erano al loro posto, vicino alla finestra, le foglie verdi e la coda bionda del cavallo sparite.
Diventai triste. Dalla finestra, su nel cielo, scorsi un ultimo lampo. Tornai a sperare.
Ciao, amico mago Arlecchino! Mi raccomando!
Milvia Di Michele
Strani volti mi guardano......nel mio cervello.
Chissà chi ero nella vita precedente! La mia mente di continuo mi manda impulsi strani, difficili da comprendere. Strani volti con occhi piccoli, fissi mi guardano dal mio cervello e..... poi quella buffa bocca storta.
Ma oggi è successo qualcosa, ho capito......ho capito sì, il mio sogno ad occhi aperti mi ha improvvisamente illuminato! Ecco ero un extraterrestre!!! Uno di quegli ometti piccoli e buffi che da sempre i terrestri immaginano, tra la speranza e la paura che possano esistere.
Ora io so che esistono, perché io sono....sono stato.... uno di loro! Finalmente ho capito ed il sogno mi ha mostrato tutto.
Ho visto il mio pianeta, piccolo, molto più piccolo della terra, ma molto più bello e sapete perché?
Noi extraterrestri, abbiamo capito ciò che noi terrestri..... (eh sì ora sono un terrestre), non abbiamo ancora compreso: la vita sarà bellissima se il rispetto per sé, per gli altri e per la natura sarà alla base dell'esistenza.
Il mio pianeta Azzurro, questo è il suo nome, ha una natura rigogliosa, i fiori sono coloratissimi, i fiumi limpidi e gli animali parlano con noi. Quante cose ci hanno insegnato....anche a volare!
Noi extraterrestri che non abbiamo dovuto occuparci di litigi, risse, ingiustizie, illeciti, prevaricazioni, e men che meno di guerre, ci siamo concentrati nel migliorare noi stessi, le nostre tecnologie e abbiamo potuto visitare tutto l'universo. Anch'io ho visto tanti pianeti abitati e non, ma la Terra mi ha colpito.....è il pianeta dove i suoi abitanti si stanno distruggendo!
In nessun'altra parte dell'universo c'è un popolo così sciocco, un popolo che non ha ancora capito cosa vuole e che, certamente, non ha ancora imparato ad amarsi.
-Eccoci, amico Mior, siamo tornati a prenderti! Per questo hai potuto ricordare tutto. La tua missione è fallita e devi tornare su Azzurro – All'improvviso si sono materializzati i miei amici extraterrestri.
Sono venuti a prendermi. E' vero! Ora ricordo.... son voluto venire sulla Terra per aiutare voi, poveri terrestri, ho cercato di farvi ragionare: quando un potente ha avuto un dubbio sullo scatenare una guerra, era la mia mente che stava cercando di convincerlo a rinunciare....ma non ce l'ho fatta! Quando sembrava che si decidessero misure a favore dei poveri del mondo, io ero là, ma sono uscito sconfitto! Quando.....
-Non ti crucciare Mior - mi dicono i miei amici – tu hai fatto tutto ciò che potevi e te lo avevamo detto che era una missione impossibile. Vieni, andiamo. Purtroppo il destino della Terra è segnato solo un miracolo la potrà salvare! -
Ciao Terra ti amo e ti ho amato, ma ora devo lasciarti ed una cosa ho capito: nessuno al di fuori di voi terrestri potrà aiutare la Terra a mettersi in salvo. Amore è la parola giusta, imparatela!!!
Ora io so che esistono, perché io sono....sono stato.... uno di loro! Finalmente ho capito ed il sogno mi ha mostrato tutto.
Ho visto il mio pianeta, piccolo, molto più piccolo della terra, ma molto più bello e sapete perché?
Noi extraterrestri, abbiamo capito ciò che noi terrestri..... (eh sì ora sono un terrestre), non abbiamo ancora compreso: la vita sarà bellissima se il rispetto per sé, per gli altri e per la natura sarà alla base dell'esistenza.
Il mio pianeta Azzurro, questo è il suo nome, ha una natura rigogliosa, i fiori sono coloratissimi, i fiumi limpidi e gli animali parlano con noi. Quante cose ci hanno insegnato....anche a volare!
Noi extraterrestri che non abbiamo dovuto occuparci di litigi, risse, ingiustizie, illeciti, prevaricazioni, e men che meno di guerre, ci siamo concentrati nel migliorare noi stessi, le nostre tecnologie e abbiamo potuto visitare tutto l'universo. Anch'io ho visto tanti pianeti abitati e non, ma la Terra mi ha colpito.....è il pianeta dove i suoi abitanti si stanno distruggendo!
In nessun'altra parte dell'universo c'è un popolo così sciocco, un popolo che non ha ancora capito cosa vuole e che, certamente, non ha ancora imparato ad amarsi.
-Eccoci, amico Mior, siamo tornati a prenderti! Per questo hai potuto ricordare tutto. La tua missione è fallita e devi tornare su Azzurro – All'improvviso si sono materializzati i miei amici extraterrestri.
Sono venuti a prendermi. E' vero! Ora ricordo.... son voluto venire sulla Terra per aiutare voi, poveri terrestri, ho cercato di farvi ragionare: quando un potente ha avuto un dubbio sullo scatenare una guerra, era la mia mente che stava cercando di convincerlo a rinunciare....ma non ce l'ho fatta! Quando sembrava che si decidessero misure a favore dei poveri del mondo, io ero là, ma sono uscito sconfitto! Quando.....
-Non ti crucciare Mior - mi dicono i miei amici – tu hai fatto tutto ciò che potevi e te lo avevamo detto che era una missione impossibile. Vieni, andiamo. Purtroppo il destino della Terra è segnato solo un miracolo la potrà salvare! -
Ciao Terra ti amo e ti ho amato, ma ora devo lasciarti ed una cosa ho capito: nessuno al di fuori di voi terrestri potrà aiutare la Terra a mettersi in salvo. Amore è la parola giusta, imparatela!!!
Stefania Galleschi
Il paese di UNPOEUNPO?
Un giorno, nel paese di UNPOEUNPO’, tutti i bimbi decisero di fare un regalo agli adulti. Stanchi di essere circondati da musi un po’ seri e un po’ tristi, volevano inventarsi un’occasione per insegnare agli adulti a ridere a crepapelle.
Giovannino disse - domani tutti a casa mia, dentro la mia taverna staremo tranquilli -
E Rosina – ma che diremo a casa?-
Giuseppe – diremo che prepariamo la festa di fine anno scolastico!-
Tutti furono d’accordo e così, il giorno dopo ci fu la riunione.
Però non ci furono proposte valide, solo tanti piccoli suggerimenti, nessuno davvero convincente.
Erano tutti rassegnati a considerare il loro problema irrisolvibile, quando il più sveglio di tutti, Concezio, da tutti chiamato Zio per via della lunghezza del nome e che aveva il compito di relazionare la riunione, se ne uscì con un’esclamazione – Che ridere!-.
-Cosa ti fa ridere. Zio? – chiesero tutti in coro.
- Mi fa ridere leggere insieme tutti gli appunti presi: sembra un PUZZLE!!-
- UN PUZZLE? – Tutti replicarono
Poi, come se qualcuno avesse acceso un interruttore in una stanza buia, tutti sorrisero perché avevano trovato una stessa soluzione.
Il mattino dopo, in processione, i bimbi andarono in piazza e poi, giunti lì si misero in cerchio e chiamarono tutti gli adulti ad ascoltarli :Era molto importante!!!
Accorsero parenti e amici. Quando ci fu silenzio, i bimbi cominciarono.
Uno di loro cantò una canzone molto allegra, ma durò solo un po’, smise interrotto da un altro bimbo che declamò una poesia, ma durò solo un po’ perché lo interruppe un bimbo ,iniziando un balletto con una bimba che all’improvviso non ballò più e si mise a recitare la parte di Giulietta: ma Romeo non c’era, c’era invece Pulcinella che mangiava spaghetti e che però smise per dipingere madonne sul pavimento … allora un altro sistemò una bancarella per vendere fiori, ma ci fu chi prese i fiori e li cucinò, ma durò solo un po’, perché Giovannella si mise a spazzare per terra, ma durò solo un po’, infatti Maretta portò in piazza una bacinella d’acqua e si mise a lavare i suoi piedini, ma durò solo un po’, fino a quando Antonio volle visitare tutti facendo finta di essere medico , ma durò solo un po’, visto che Serafino cominciò a ridere.. e rise Anna Rosa, e Tito, e Nicolino, e Tommaso e… uno alla volta tutti i bimbi si aggiunsero e.. uno alla volta, cominciarono a ridere anche gli adulti.
Ben presto la piazza tutta si riempì di risate, non ci fu uno che rimase serio: il loro ridere si estese e s’intrufolò per i vicoli e le tante viuzze del paese, poi prese la strada dei sentieri e si dilatò per la campagna.
Così, da quel giorno, nel paese di UNPOEUNPO’, tutti impararono a ridere.
Perché fare tutto a pezzetti e poi ricucirli, un po’ e un po , insieme come ci pare.... è TROPPO DIVERTENTE!
Giovannino disse - domani tutti a casa mia, dentro la mia taverna staremo tranquilli -
E Rosina – ma che diremo a casa?-
Giuseppe – diremo che prepariamo la festa di fine anno scolastico!-
Tutti furono d’accordo e così, il giorno dopo ci fu la riunione.
Però non ci furono proposte valide, solo tanti piccoli suggerimenti, nessuno davvero convincente.
Erano tutti rassegnati a considerare il loro problema irrisolvibile, quando il più sveglio di tutti, Concezio, da tutti chiamato Zio per via della lunghezza del nome e che aveva il compito di relazionare la riunione, se ne uscì con un’esclamazione – Che ridere!-.
-Cosa ti fa ridere. Zio? – chiesero tutti in coro.
- Mi fa ridere leggere insieme tutti gli appunti presi: sembra un PUZZLE!!-
- UN PUZZLE? – Tutti replicarono
Poi, come se qualcuno avesse acceso un interruttore in una stanza buia, tutti sorrisero perché avevano trovato una stessa soluzione.
Il mattino dopo, in processione, i bimbi andarono in piazza e poi, giunti lì si misero in cerchio e chiamarono tutti gli adulti ad ascoltarli :Era molto importante!!!
Accorsero parenti e amici. Quando ci fu silenzio, i bimbi cominciarono.
Uno di loro cantò una canzone molto allegra, ma durò solo un po’, smise interrotto da un altro bimbo che declamò una poesia, ma durò solo un po’ perché lo interruppe un bimbo ,iniziando un balletto con una bimba che all’improvviso non ballò più e si mise a recitare la parte di Giulietta: ma Romeo non c’era, c’era invece Pulcinella che mangiava spaghetti e che però smise per dipingere madonne sul pavimento … allora un altro sistemò una bancarella per vendere fiori, ma ci fu chi prese i fiori e li cucinò, ma durò solo un po’, perché Giovannella si mise a spazzare per terra, ma durò solo un po’, infatti Maretta portò in piazza una bacinella d’acqua e si mise a lavare i suoi piedini, ma durò solo un po’, fino a quando Antonio volle visitare tutti facendo finta di essere medico , ma durò solo un po’, visto che Serafino cominciò a ridere.. e rise Anna Rosa, e Tito, e Nicolino, e Tommaso e… uno alla volta tutti i bimbi si aggiunsero e.. uno alla volta, cominciarono a ridere anche gli adulti.
Ben presto la piazza tutta si riempì di risate, non ci fu uno che rimase serio: il loro ridere si estese e s’intrufolò per i vicoli e le tante viuzze del paese, poi prese la strada dei sentieri e si dilatò per la campagna.
Così, da quel giorno, nel paese di UNPOEUNPO’, tutti impararono a ridere.
Perché fare tutto a pezzetti e poi ricucirli, un po’ e un po , insieme come ci pare.... è TROPPO DIVERTENTE!
Milvia Di Michele
Il signor Pisasso Pisassò
un quadro un giorno disegnò.
Era un signore coi baffi ma senza bombetta
che teneva fermi con una pinzetta.
I baffi non li hanno ne' folletti ne' elfi
perché con i baffi un po' ci si è' persi.
Al vecchio signore piaceva l'astratto
ed è' per questo che sembrava un po' matto.
I quadri astratti sono un po' strani
ma valgono sempre oggi e domani.
Quel vecchio signore nel quadro astratto aveva due mani
e diceva a tutti: "Dai in fiaba rimani!"
Gian Testa
I quadri astratti
ti dicono a tratti
cose che con le parole
non vedono il sole,
così, come col coltello dentro la piaga
la verità viene a galla e dilaga.
I quadri astratti hanno un loro linguaggio,
che riesce a parlarlo chi ha molto coraggio,
chi non si contenta del tutto ordinato,
ma fino al caos vuol vedere il creato.
Milvia Di Michele
Nel quadro astratto quel che tu vedi gatto
ad un altro sembra un ratto
non c'è nulla da dimostrare
e nemmeno ci si deve vergognare
perché il bello dell'astratto
è che tu vedi nel piatto
qualche sogno solo tuo
e nessuno puoi giurarci
ti potrà dare del matto
perché quello era soltanto
un quadro... astratto!
Maurizia Zucchetti
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